di Francesco Brancati
Esercizi di lettura, rubrica a cura di Francesco Brancati
Lettura di Amarti e non poter fare altro che amarti, inconvenienza di Amelia Rosselli (da Serie Ospedaliera, 1969)
[Con questo Esercizio di lettura Francesco Brancati inizia la sua collaborazione con LPLC: benvenuto e buoni esercizi di lettura!].
Un consolidato luogo comune critico riconosce nella lirica di Amelia Rosselli una sostanziale resistenza a qualsiasi tentativo di commento puntuale, dovuta tanto alla difficile interpretazione o parafrasi di immagini che faticano a essere trasposte sul piano razionale quanto alla netta prevalenza della macrostruttura del libro di poesia rispetto al singolo testo. Tale assunto, in realtà, perde sempre più consistenza se dalla prima raccolta Variazioni Belliche (1964) ci si sposta verso le successive Serie Ospedaliera (1969) e Documento (1976), nelle quali si assiste a una progressiva distensione delle torsioni linguistiche sperimentate durante la prima metà degli anni Sessanta. Un esempio di questo processo è costituito da Amarti e non poter fare altro che amarti, inconvenienza, un componimento di Serie Ospedaliera che tematizza, secondo i modi consueti della poetica rosselliana, l’ineluttabilità del sentimento amoroso. Infatti, se sotto il profilo linguistico-sintattico è possibile riconoscere una parziale normalizzazione del dettato rispetto a Variazioni, la componente tematica presenta un rapporto di continuità con altri testi di Rosselli nei quali il dialogo in absentia con un tu prende forma secondo modi turbati e luttuosi (si pensi alla Cantilena in morte di Rocco Scotellaro e a diversi testi di Variazioni Belliche e di Serie Ospedaliera).
Anche in questa lirica l’io poetico si rivolge al tu dichiarando, nei primi tre versi, l’inevitabilità del proprio amore, definito ironicamente un’«inconvenienza» subita per ben due volte (il verbo «ricadere» suggerisce una condizione patologica del sentimento, secondo un topos consueto della lirica amorosa). Il primo verso della poesia stabilisce l’argomento (tramite la dichiarazione iniziale) e, da un punto di vista metrico, la lunghezza dei successivi (la poesia è ancora composta sulla base della teoria che Rosselli ha esposto in Spazi Metrici: il primo rigo decreta la misura dei successivi); a partire dal terzo verso, tuttavia, l’io àltera la prospettiva del discorso, introducendo una descrizione delle azioni compiute dal tu-amante che occupano l’intera strofe:
Amarti e non poter fare altro che amarti, inconvenienza
di cui soffrii una volta e poi non più, per
poi ricadere. Soffrendoti invitavi: parlare
più chiaro, lacerare l’aria di piccoli gridi
ottusi, poi disinfettare l’aria stessa, e
chiamarla amore anch’essa, che tanto ti divideva
dalle mie braccia fuse d’invidia, dai miei
tantrums segreti, dalla tua faccia proclive
che non biasimava se non quasi, il mio affaccendare
gli orologi della mente intorno al tuo corpo.
Come accade frequentemente nella poesia di Rosselli, il mutamento che assicura la prosecuzione del dialogo lirico viene realizzato mediante l’iterazione variata di una parola già presente nel testo; in questo caso «soffrii», al verso 2, anticipa «soffrendoti», instaurando una condizione comune al soggetto poetico e al suo interlocutore. Ma se lo struggimento amoroso dell’io è immediatamente intelligibile, lo stesso non può dirsi dell’azione riflessiva («soffrendoti») compiuta dal tu che al contempo invita (chi? l’io?) a svolgere una serie di atti che presuppongono uno stato di agitazione o un litigio tra i due amanti: «parlare / più chiaro, lacerare l’aria di piccoli gridi / ottusi».
La seconda iterazione «lacerare l’aria»-«disinfettare l’aria», ai versi 4-5, rimarca la natura ‘ospedaliera’ dell’amore mediante un termine proveniente dal lessico medico come «disinfettare»: occorre sanificare «l’aria» ‘attraversata’ dalle grida del litigio per poter riconoscere nello spazio del dissidio uno spazio di amore («disinfettare l’aria stessa, e / chiamarla amore anch’essa», quasi due novenari con rima interna). È la stessa aria amorosa a dividere il tu dagli abbracci («le braccia») del soggetto che appaiono «fusi d’invidia» e dunque percepiti come oppressivi al pari dei «segreti» ‘capricci’ («tantrums» appartiene alla serie degli anglismi diffusi nella produzione di un’autrice trilingue come Rosselli). Ciò nonostante l’espressione del tu è definita «proclive», quasi disposta a giudicare in maniera non completamente negativa gli sforzi («il mio affaccendare / gli orologi del tempo»), che l’innamorata compie per avvicinarsi all’oggetto del desiderio, al «corpo» del suo interlocutore. Alcune scelte sintattiche apparentemente alogiche e contradditorie («non biasimava se non quasi») si rivelano necessarie alla modulazione ironico-sarcastica del sentimento amoroso frustrato del soggetto e a evitare eccessi di livore o di patetismo. Il tono, tuttavia, rimane cupo e la sensazione che se ne ricava è di una generale asfissia del rapporto.
La dichiarazione con cui si apre la seconda strofe sembra dissolvere tale negatività in un proclama sulla necessità di amare nonostante la presenza di elementi negativi («ottusità, disprezzi»), malgrado la stessa nascita e la morte; senonché la ricomparsa del tu – inevitabile poiché qualsiasi atto d’amore presuppone un oggetto verso cui indirizzare il proprio desiderio – interviene a rendere ancora una volta instabile la situazione:
Amare malgrado ottusità, disprezzi
nati e morti, amare per tutta la lunga via
che portava al campo dove tu solerte risparmiavi
le monete gialle, che parlavano d’altri bisticci
d’altre usure, d’altri incantamenti tutti
trapiantati in un unico essere se stessi arrampicati
per un albero. E tenace invitavi: e tenace
respingevo; la danza degli orli trapuntati
il ricamo sì meraviglioso che era non per
noi che lo gualcivamo con le nostre tenerezze
di bassa leva. Non era per noi scendere ai
patti, non era per voi decidere se quel fil
di lana portava davvero a quella capanna.
L’amore è il sentimento che conduce al «campo». Ma cosa rappresenta questo luogo? Si tratta di un omaggio divertito alla tradizione bucolica? Oppure di un riferimento al campo con gli zecchini d’oro di Pinocchio? («le monete gialle» e l’invito del tu, accostabile a quello del Gatto e della Volpe, sembrerebbero autorizzare l’accostamento). A ogni modo il «campo» è uno spazio dove si consuma un’unione («incantamenti tutti / trapiantati in un unico essere se stessi arrampicati / per un albero») che potrebbe adombrare un significato vagamente sessuale, anche se non è possibile fornire un’interpretazione univoca per i versi 16-17, dal momento che la probabile unione viene riferita dalle «monete» risparmiate dal tu, insieme alla narrazione di «altri bisticci» e «d’altre usure». Nella seconda parte della strofa il tu persiste a «invitare» il soggetto a compiere un’azione nonostante i suoi ripetuti rifiuti.
Vale la pena, a questo punto, soffermarsi sugli elementi con i quali finora è stato descritto l’interlocutore del discorso lirico: il tu è sofferente verso se stesso («soffrendoti»), si trova in una situazione di distanza dall’io, ha una «faccia proclive» (ma a cosa?), quasi condanna i tentativi di avvicinamento da parte dell’amata, «risparmia» delle «monete gialle» e testardamente «invita» il soggetto a compiere una o più azioni malgrado il diniego («E tenace invitavi: e tenace / respingevo»). Che tipo di individuo restituisce questa caratterizzazione? E quale significato assegnare a immagini refrattarie a una codifica sul piano della razionalità come, per esempio, quella delle «monete gialle»? È difficile rispondere in maniera univoca a tali domande forse perché l’intento di Rosselli è proprio quello di trasmettere non tanto un resoconto oggettivo di una relazione amorosa, quanto le sensazioni profonde che questa determina sul soggetto. Il tu si presenta come una figura chiusa su se stessa, dalla quale il soggetto tenta di allontanarsi ma dalla quale, allo stesso tempo non riesce a sottrarsi, concedendosi a una «danza degli orli trapuntati», a un «ricamo sì meraviglioso», sineddoche che può indicare uno spazio chiuso dove si svolge, appunto, una «danza» rovinata da «tenerezze / di bassa leva». L’introduzione del «noi» al verso 20 rappresenta l’avvenuta unione tra l’io e il tu, incapaci, tuttavia, di mantenere saldo il legame («Non era per noi scendere ai / patti») e consente di introdurre la contrapposizione tra il mondo interno e quello esterno («voi»). Sono delle non meglio specificate presenze esterne, infatti, ad arrogarsi il diritto di scegliere se il filo di lana conduce effettivamente alla «capanna». È possibile, forse, intravedere in questi versi un’allusione al mito di Arianna: nel difficile labirinto della relazione con il tu il soggetto cerca una guida per raggiungere la «capanna», il luogo tanto agognato della comprensione reciproca con l’altro (si dice, del resto, ‘due cuori e una capanna’; inoltre la «capanna» intesa come luogo di protezione dalle insidie dell’esterno è un topos della tradizione fiabesca).
La terza e ultima strofe, tuttavia, fuga ogni dubbio in merito alla possibilità di un lieto fine, dal momento che «attorno alla capanna» si addensano oscuri presagi:
Vi è solo ombra attorno alla capanna, solo
monti morti e vuoti attorno al mio segreto
solo tu con il tuo sguardo puoi prevedere
questa solitudine che si quesita per ritornare
ancóra, morta sulla preda.
Le «ombre», i «monti morti e vuoti» contornano il «segreto» inespresso del soggetto che si rivolge al tu, il solo in grado di «prevedere» – e dunque di comprendere? – la «solitudine» nella quale l’io versa. Il componimento si chiude con una quasi personificazione del sentimento della solitudine che assedia l’io della lirica tramutato, dunque, in una «preda» la cui sola possibilità di salvezza risiede nel tentativo di relazione con l’altro: «amare», appunto, «e non poter far altro che amarti».
[Immagine: Foto di Dino Ignani].
ho letto con piacere e sono contenta che questi esercizi di lettura si siano aperti con Amelia Rosselli. sapresti consigliarmi buoni testi di critica alla sua Libellula? mi interesserebbe molto. grazie.
Gentile Roberta, grazie per il messaggio. Partirei con gli apparati presenti nel Meridiano: lì trovi anche tutta la bibliografia relativa alla Libellula. Un libro interessante è quello di Stefano Giovannuzzi (Amelia Rosselli: biografia e poesia, Novara, Interlinea, 2016): non occorre essere d’accordo con tutto quello che l’autore sostiene per riconoscere la centralità del problema biografico nella poesia di Rosselli.
grazie Francesco, seguirò i tuoi consigli.