Nel 2022 si sono compiuti 15 anni dall’inizio della mia personale avventura con l’ibrido, la pubblicazione del mio primo romanzo, Sirene, nel 2007. Da allora, le figure più che umane, oltreumane, si sono moltiplicate, in letteratura e nell’immaginario, intorno a noi, fino a essere in un certo senso ovunque, o forse solo nell’occhio di chi guarda. La parola Chimera, oltre i Canti Orfici e i Dialoghi con Leucò, riecheggia oggi gli ibridi interspecie della scienza contemporanea insieme alla mitologia greca, etrusca ed egizia, e per questo ce ne serviamo qui: il campo delle ibridazioni, come si vedrà, è molto ampio (lp).

 

 

Francesco D’Isa, l’ibrido te è la Sfinge. Vuoi raccontarci, a modo tuo, la sua storia?



Non pensavo tanto allo sterminato mostro dell’Egitto, ma alla sfinge greca, una creatura alata col corpo di leone e il volto di donna, la piccola e maliziosa bestia dipinta da Gustave Moreau. Quest’ibrido fantastico è stato reso famoso dal mito tebano di Edipo, ricordato per primo da Pindaro e reso grande da Sofocle. La sfinge era nota per porre a chi la incontrava degli enigmi, la cui mancata soluzione portava alla morte: al re di Tebe chiese “qual è l’animale che al mattino muovesi con quattro gambe, al meriggio con due, al tramonto con tre?”. Edipo sciolse l’enigma indicando come risposta l’uomo, e la sfinge di conseguenza si uccise. Un lieto fine reso amaro dal fatto che al risolutore spetterà una più triste sorte per un mistero nel quale non riesce a vedere – che forse è proprio l’uomo, come mi suggerisce Edoardo Rialti. Quel che amo della sfinge è il suo enigma mortale e insolubile, che, anche se dissolto, non rompe la catena di misteri in cui si è immersi. Una sfinge è il primo volto che incontriamo assieme alla parola, un prezioso strumento di analisi e separazione del mondo che assieme agli oggetti porta con sé tutte le domande. O rispondi o muori ma comunque morirai – e solo allora le domande si sciolgono, nel silenzio che non riusciamo a imitare in vita.



Pensa alla parola totem. C’è qualcosa nel tuo ibrido che – per quanto possa sembrare paradossale qui la domanda – ti parla del passato, tuo e di tutti?



La sfinge è un fantasma collettivo. La incontriamo ogni volta che la vita ci pone davanti una difficoltà più dura o una gioia più profonda. È la contingenza di ogni cosa e ogni abisso, in alto come in basso. La vediamo quando lo scorrere del tempo si raggruma in un picco più netto, ma lei è sempre lì, sorveglia ogni movimento, sorvola ogni secondo, siamo i suoi topi, dei giocattoli al buio. C’è chi ne sente costantemente il fiato predatore e chi la dimentica finché non la trova in qualche specchio, ma lei è sempre con noi. Non c’è attimo del passato che non sia una sfinge.



E il futuro? Pensa alla parola daimon. Il tuo ibrido può accompagnarci nel futuro?

La sfinge è una levatrice maligna. Ci insegna a parlare, resta in agguato e aspetta con pazienza felina che le nostre bocche le chiedano «perché». Perché ora, perché qua, perché io, perché questo mondo e non un altro. Non suggerisce una risposta, anzi la pretende, pena la morte. È un animale apparentemente malevolo, ma come i demoni dell’induismo lo immagino dedito a un bene più grande, per spaventarci e avvertirci con la sua ferocia dell’ineluttabilità – e inutilità – del dubbio. La sfinge offre comunque una risposta, dove né parole né gesti dividono il mondo nel bene e nel male.

1 thought on “Dialoghi con la Chimera /9: Francesco D’Isa, Sfinge

  1. La storia della Sfinge e di Edipo rientra in quello che era l’agone della Sapienza greca; titolo di un ciclo di volumi sui presocratici di Giorgio Colli in cui, fra le altre cose, si racconta della morte di Omero per suicidio dopo che non era riuscito ad interpretare la risposta sibillina che alcuni pescatori avevano dato ad una sua domanda se avessero pescato bene; la risposta era stata: <>.

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