a cura di Matteo Bianchi e Marco Sonzogni
Ma è difficile staccarsi dalle nostre imperfette abitudini,
dai nostri affetti miseri e deludenti. Noi uomini
ci affezioniamo anche a chi ci fa del male.
Bianca Garavelli
L’antologia More Favourable Waters, a cura di Timothy Smith e Marco Sonzogni, edita a Wellington da The Cuba Press per il Dante Day 2021, ha proseguito la tradizione che spazia da William Blake a Dan Brown: ‘tradurre’ Dante, etimologicamente e simbolicamente, ai nostri giorni e nei nostri luoghi, addentrandosi nelle situazioni usuali con le modalità usuali. Per omaggiare il Sommo Poeta nel settecentesimo anniversario della morte i curatori hanno coinvolto trentatré poeti neozelandesi, a ciascuno dei quali è stata assegnata una terzina di ogni canto del Purgatorio come ispirazione, o meglio, come scintilla per scrivere una nuova poesia che li includesse e li trasportasse oltre i secoli. La scelta della seconda cantica è dovuta proprio all’immaginazione di Dante, il quale collocò «il duro masso» agli antipodi di Gerusalemme: un tunnel sotterraneo che arriverebbe in mezzo all’Oceano Pacifico. Sebbene la scienza teologica abbia omesso strategicamente di pronunciarsi sulla sua ubicazione, le terre più vicine sono le isole meridionali della Polinesia francese, piuttosto lontane dalla Nuova Zelanda, essendo Rapa Iti l’unica popolata nei pressi di questo “eden terrestre”. La Nuova Zelanda, quindi, non era esattamente nelle coordinate dantesche quando, nel XIV secolo, posizionò il Purgatorio al centro di un oceano sconosciuto alle genti dell’Europa occidentale.
Miglior acque (Samuele Editore, 2022) ha importato quella materia poetica nel paese e nella lingua di Dante, testimoniando non solo la presa che continua a esercitare sugli autori viventi, ma anche il segno della diversità etnica, culturale, linguistica e formale della poesia neozelandese contemporanea. A questo proposito, è stato riproposto in copertina l’arazzo imponente di Roger Mortimer, riguardante la serie dantesca “Houhora New Zealand”. Nelle sei opere in successione l’artista scompone cronologicamente e iconograficamente un viaggio che continua senza sosta da quello dei primi esploratori, provando a metabolizzare la ferita ancora aperta della colonizzazione: alle voci indigene del Pacifico si sono unite quelle di varie ondate migratorie da ogni parte del pianeta. L’inglese parlato e scritto nella terra della lunga nuvola bianca è una benigna Babele; tradurre è quindi una dimensione necessaria della comunicazione quotidiana e creativa, e forse l’antidoto migliore a ogni forma di subordinazione. Inerpicarsi, verbo intransitivo che sottende una salita faticosa, quasi un’arrampicata richiedente appigli più o meno razionali, è la sfumatura semantica che meglio raffigura l’abbinamento dei trentatré́ autori italiani individuati per tradurre i colleghi oltreoceano.
Il verbo in questione, nonostante il tono colloquiale della composizione originale, è stato impiegato da Carmen Gallo nella traduzione di Tim Jones, Near paradise, e mira a ricongiungersi idealmente ai versi 7-9 del Canto XXIX, alle radici linguistiche della Commedia: «allor si mosse contra ‘l fiume, andando / su per la riva; e io pari di lei, / picciol passo con picciol seguitando». L’intenzione dell’interprete di utilizzare una voce verbale tanto connotata, mette in risalto quanto un certo uso sconsiderato e sovrabbondante dei gergali abbia impoverito il nostro vocabolario abituale, riducendo drasticamente la nostra stessa portata immaginifica. Parimenti a lei lo dimostrano anche Tommaso Di Dio, Renata Morresi, Massimo Gezzi e Maria Borio nella selezione di testi che seguono.
Matteo Bianchi
Last exit to Purgatory
Trust me, reader, that’s
the last time I’ll ever listen
to another poet’s advice
on the subject of Hell! After
what it took to get out of there
and all those shady dudes we
had to humour on the way,
no sooner had we got off
at the last Tube stop on
the Damnation Line than
it was bloody Purgatory!
I should have known after
all the hells we’d just
survived, that Virgil baby
had more trials in mind.
Far out, this train was
crowded and we had
to stand, nothing to hold
on to, the straps too hot to
hold, straight out of Hell.
«What are those three torches
I see flaming at the pole?»
And he: «These three shine here
at the day’s close where those
four shone this morning, but
their role is different».
Easy to see old Virgil hadn’t
a clue about rush hour, he had
a great head for myths and
philosophy, not commuting.
«We’re here for purging»,
Virgil sighed, but me, I’d lost
my whole damn 4-Zone Pass!
Traduzione di Tommaso Di Dio
Ultima uscita per il Purgatorio
Credimi, lettore, questa è l’ultima
volta che mai ascolterò
di un altro poeta il consiglio
su questioni così infernali. Dopo
tutto quel tempo per uscire da lì e tutti
quegli ombrosi tipi loschi che abbiamo
dovuto compiacere per strada,
non appena siamo scesi all’ultima
fermata della Metro Dannazione, ecco
era il Purgatorio maledetto!
Lo avrei dovuto sapere, dopo tutto
quell’inferno a cui siamo sopravvissuti
che quel cucciolo di Virgilio aveva
altre prove nella testa. Mezzo vecchio,
questo treno era super
affollato e abbiamo dovuto
stare tutti in piedi, niente a cui
appoggiarci, le cinghie troppo
calde da stringere con la mano, venivano
direttamente dall’Inferno.
«Cosa sono quelle tre torce
che vedo fiammeggiare nel cielo? »
E lui: «Questi tre scintillamenti, apparsi
al sigillarsi del giorno, erano quei quattro
che questa mattina già vedesti, ma il loro
ruolo è differente adesso».
Era facile intuire come il vecchio zio Virgilio
non sapesse un’acca dell’ora di punta, aveva
un testone per i miti e per la
filosofia, zero sui pendolari.
«Siamo qui per purgarci»,
Virgilio sospirò, ma io cazzo
avevo ormai perso l’abbonamento piano full
per quattro Zone!
*
Kay McKenzie Cooke
Shifting ground
Leaving home yesterday, through green,
we travelled past silos, hawthorn hedges
and daffodils drowning in cocksfoot, our destination
the city where we met, whose heart lies broken,
tended to only by steel cranes—Invercargill,
with clawing diggers scrabbling at ground,
piling up earth for blunt-nosed trucks to haul away.
Meanwhile, as its citizens await the new
and gleaming centre, caravans sell coffee
beside old shop fronts held in limbo by iron struts
and where an arrangement of street art on hoardings
keeps up spirits. As if guided by a ghost
through this shifting ground of a strewn past,
I took photos of what remained: the sign
for the Copper Kettle and trees in blossom,
only stopping to allow people room, one woman
saying, ‘No, you’re right, love. Go ahead.’ Lost
in thought, too shy to ask a question, left alone
behind my guide, I went on past that long line
of the ones who weep at their own song, who weep
at all that has disappeared into today with us here
now, taking your mother for a Sunday drive
from her rest home in Gore, out to Mandeville,
to our right the Otamita Stream floating brown and flat
under willows and ahead the Hokonuis with mist
clambering over rocks like lost places, lost time
or last night’s memories of us both in Orepuki Tavern
and Corina telling me that a gold mining company
has hammered pegs into my grandparents’ old farm,
then as we left there, stepping over the rough grass
where a railway line once ran, feeling under our feet
how tangible its absence as if it wasn’t lost at all
but still there, a steel vein running through the town.
Traduzione di Renata Morresi
Luogo Mobile
Partendo da casa ieri, attraverso i campi verdi,
siamo passati davanti ai silos, con le siepi di biancospino
e i narcisi sommersi dai pascoli, destinazione
la città dove ci incontrammo, che giace col cuore a pezzi,
accudita solo da gru d’acciaio: Invercargill,
con le scavatrici ungolate che raspano il suolo,
che ammassano terra per i camion camusi da portare via.
Nel frattempo, mentre i suoi cittadini aspettano il nuovo
centro scintillante, i caravan vendono caffè
accanto a vecchi negozi tenuti nel limbo dei ponteggi di ferro
dove una installazione d’arte di strada su dei cartelloni
rallegra gli spiriti. Come se guidata da un fantasma
per questo luogo mobile d’un passato sparso,
faccio foto di quel che resta; l’insegna
del Copper Kettle e gli alberi in fiore;
mi fermo solo per far passare qualcuno, una donna
che dice «No, hai ragione, amore. Continua». Mi perdo
nei pensieri, troppo timida per fare una domanda, rimasta sola
dietro la mia guida, proseguo oltre la lunga fila
di coloro che piangono alla loro stessa canzone, piangono
a tutto ciò che si è dissolto nell’oggi con noi qui
adesso, mentre portiamo tua madre per il giro della domenica
dalla sua casa di riposo a Gore, fino a Mandeville,
sulla destra il fiume Otamita che scorre piatto e bruno
sotto i salici e davanti le Hokonuis con la foschia
che si arrampica sulle rocce come posti perduti, tempo perduto
o il ricordo della notte scorsa, noi due all’Orepuki Tavern
e Corina che mi parla di una compagnia mineraria in cerca d’oro
che ha fissato pali nella vecchia fattoria dei miei nonni,
poi sulla strada del ritorno, calpestando l’erba incolta
dove una volta si allungava la ferrovia, sentire sotto i piedi
la sua tangibile assenza come se non fosse affatto perduta
ma ancora presente, una vena d’acciaio che pulsa attraverso la città.
*
Vincent O’ Sullivan
Dante gifts McCahon the Southern Cross
Cantos back, as you would know
Better far than we do, maestro,
How Easter morning, your leaving the Inferno,
The freshest sky yet seen
By Europeans blazed its four
Nails of the Southern Cross, hung between
One sphere and another. New stars pour
Their brilliance. La prima gente, our first
Parents, looking up amazed at what they saw,
Attention gazing out to vast
Creation’s fling, its endless rise.
(With ‘all the world before them’, as Eden’s cast
So soon confirmed.) This
Is where their story crosses into ours,
The stars we claim, their distant bliss.
A painter centuries further on devours
The myths that still persist, their dimmed delight.
Their tilting points to places where loss scours
Across our hills, our coasts, where light
Is love invading emptiness.
Dante’s quattro stelle deck the night.
Each image Colin calls demands Confess,
Each stroke he makes, tells Now!
Only the soul’s commitment bears the stress
As bridges might, as northwards all things flow,
As Kupe journeying to the final Cape,
The Stations each man walks, past ‘yes’ or ‘no’,
Into the arc of art’s sustaining hope,
Drawing as ever on the gathering night,
Raised as though paint itself the saving rope:
He drew me to the light,
And his attentions, generous and warm,
Have brought me up this hill that sets you right.
Traduzione di Massimo Gezzi
Dante dona la Croce del Sud a McCahon
Diversi canti fa, come saprai
molto meglio di noi, maestro,
la mattina di Pasqua, la tua partenza dall’Inferno,
Il cielo più limpido mai visto
dagli europei scintillò i suoi quattro chiodi
della Croce del Sud, sospesa
tra l’una e l’altra sfera. Nuove stelle riversano
la loro lucentezza. “La prima gente”, i nostri avi,
si stupirono, volgendo gli occhi in alto,
lo sguardo che spaziava sul vasto
moto della Creazione, la sua ascesa senza fine.
(Con “tutto il mondo davanti a loro”, come la cacciata
dal Paradiso ben presto confermò). Qui
la loro storia si intreccia alla nostra,
e stelle che noi rivendichiamo, la loro beatitudine remota.
Secoli dopo un pittore divora
i miti che persistono, la loro gioia oscurata.
La loro giostra punta verso posti dove la perdita si aggira
Per le nostre colline, le nostre coste, dove la luce
è amore che invade il vuoto.
Le “quattro stelle” di Dante addobbano la notte.
Ogni immagine che Colin convoca ordina Confessa!,
ogni tratto che spande dice Ora!
Solo la dedizione dell’animo sopporta la tensione
come i ponti, come tutte le cose che fluiscono
verso nord, come Kupe che viaggia verso l’ultimo Capo,
le Stazioni che ogni uomo attraversa, oltre il sì o il no,
Fino all’arco della speranza che sostenta, nata dall’arte,
disegnando come sempre sulla tenebra che incombe,
sbalzato come se il colore fosse la corda che può salvare:
mi ha condotto fino alla luce
e le sue attenzioni, calde e generose,
mi hanno portato su questo colle, che ti fa giusto.
*
Anna Jackson
When we had all spoken
When we had all spoken
we put it to the vote.
We each deposited our token.
We voted to go on by rote.
We voted to head towards the doom
we were already heading towards. Too late
to make a difference, some said. Still room
for more of the same for longer, some said.
Some said, it wasn’t that they didn’t see the future loom
in the distance, but the future was so far ahead
to live in it now would be wrong.
This, before we stopped talking, was what some of us said,
and then we stepped, spread out, a thousand steps along
the lonely road, each wrapped in silent thought,
concerned with appetite, its right and wrong.
Some thought of flights and some of freight,
and some thought of all the images
kept in a cloud that we had imagined being without weight
though the truth is we knew there were damages
and costs we were not counting.
The truth is, we had been strangers
in our own lives, our mounting
fears strange
to us, our planting
of trees … Here, the trees are few and the range
narrow, but still from time
to time we can hear a bird arrange
itself on a high branch and sing.
All those songs lost in a cloud …
What is a song, with no one to hear it?
And now, this long silence …
And now, this …
And now, this …
Traduzione di Maria Borio
Quando tutti avemmo parlato
Quando tutti avemmo parlato
lo mettemmo al voto.
Ognuno di noi depose il pegno.
Votammo di andare avanti a memoria.
Votammo di rivolgerci verso il destino
a cui ci eravamo già rivolti. Troppo tardi
per fare la differenza, disse qualcuno. Ancora spazio
per quanto si ripete più a lungo, disse qualcuno.
Disse qualcuno, non è che non videro il futuro incombere
nella distanza, ma il futuro era così lontano
che viverlo adesso sarebbe stato sbagliato.
Questo, prima che smettemmo di parlare, fu ciò che alcuni di noi dissero,
e poi facemmo un passo, ci spargemmo, mille passi lungo
la strada solitaria, ognuno avvolto da un pensiero silenzioso,
preoccupati per il desiderio, il suo bene e il suo male.
Alcuni pensarono al volo e altri al carico,
e altri pensarono a tutte le immagini
contenute in una nuvola che avevamo immaginato senza peso
benché la verità sia che sapevamo dei danni
e dei costi che non stavamo contando.
Ecco la verità, eravamo stati stranieri
nelle nostre stesse vite, le nostre paure
crescenti erano strane
per noi, il nostro piantare
alberi… Qui gli alberi sono pochi e la varietà
limitata, ma ancora di tanto
in tanto possiamo sentire un uccello
che si sistema su un alto ramo e canta.
Tutti quei canti persi in una nuvola…
Che cos’è un canto, senza nessuno che lo ascolti?
E adesso, questo lungo silenzio…
E adesso, questo…
E adesso, questo…
*
Tim Jones
Near paradise
In weather like this, all forests are dark.
We hunched under the dripping trees
debating which of us had lost the track.
We’d risen at dawn, crossed the icy river,
found the Beans Burn with its sudden bluffs
and poolside detours, plodded up-valley
in this damp pastiche of summer. We’d
got in a tangle, reached a dead end,
dropped back to the stream to disagree.
She said my map was as useless as me.
She said our route was across the stream
and crossed to prove it. I stayed put. So she
made her way upstream against the rippling run,
with little steps along the bank, and I kept level
on my favoured side, trying to keep her in view.
She vanished from my sight. I called, got no reply.
Panicked, I pushed on, till I saw her looking back
from a grassy flat beside the stream. She’d been right,
and I’d been wrong. As I reached her, a roar:
jet boats, up from Glenorchy for the day, showing off
along this narrow stream for their paying passengers.
Revving engines, tight turns, great walls of water
that soaked us equally. United in outrage, we turned
to scream at the drivers, but they were gone,
racing back downstream to wharf and bus and Novotel.
‘You’re dripping wet,’ I told her. She smiled back,
forgiveness in her gaze. Damp late afternoon
fell towards cool twilight as we put up our tent,
slapped on Dimp to beat the sandflies, filled the billy.
Dinner, dishes, sleep. Tomorrow, not far upstream,
our route will rise far above this valley. Fohn Saddle,
Fiery Col, five narrow passes we must thread
before we leave this earthly paradise behind.
Traduzione di Carmen Gallo
Quasi Paradiso
Con un tempo come questo, tutte le foreste sono scure.
Ci incurvammo sotto gli alberi fradici a discutere
su chi di noi avesse perso il sentiero.
Svegli dall’alba, abbiamo attraversato il fiume ghiacciato,
e trovato il Beans Burn con le sue scogliere inattese
e le deviazioni a filo d’acqua, scalando la valle fino a cima
in questo umido pastiche estivo. Eravamo
finiti in un groviglio, giunti a un punto morto,
e tornati indietro al corso d’acqua per litigare.
Lei disse che la mia mappa era inutile quanto me,
disse che il nostro sentiero passava attraverso il fiume
e lo attraversò per dimostrarlo. Io stavo fermo. Lei invece
si faceva strada controcorrente nel flusso increspato,
a piccoli passi lungo la sponda, e io la affiancavo
dal lato che avevo scelto, cercando di tenerla d’occhio.
Sparì dalla vista. La chiamai, senza avere risposta.
Nel panico, tirai dritto finché non la vidi voltarsi indietro
da una spianata d’erba accanto alla corrente. Lei aveva ragione,
e io torto. Quando infine la raggiunsi, un rombo:
motoscafi, in gita da Glenorchy per la giornata, si davano arie
in questo stretto torrente per i passeggeri paganti.
Motori al massimo, virate a gomito, grandi pareti d’acqua
a sommergere entrambi. Uniti dall’oltraggio, ci voltammo
per urlare contro i conducenti, ma erano già andati,
tornati di corsa verso la valle, al pontile, all’autobus, al Novotel.
«Sei bagnata fradicia», le dissi. Mi sorrise,
perdono nel suo sguardo. L’umidità del tardo pomeriggio
si tramutò in un freddo crepuscolo mentre montavamo la tenda,
ci spalmavamo il DIMP contro i pappataci, riempivamo il pentolino.
Cena, piatti, sonno. Domani, risalendo la corrente non lontano,
la nostra strada si inerpicherà alta su questa valle. Fohn Saddle,
Fiery Col, cinque stretti valichi che dobbiamo oltrepassare
prima di lasciarci questo paradiso terreno alle spalle.