di Guido Mattia Gallerani
[È da poco uscito il volume di Guido Mattia Gallerani, L’intervista immaginata. Da genere mediatico a invenzione letteraria, disponibile in Open Access per Firenze University Press. Pubblichiamo un estratto dell’introduzione].
Questo libro analizza un fenomeno particolare: l’intervista inventata. Essa diviene un vero e proprio genere letterario, che trasforma il contesto mediatico in cui vive un autore in una convenzione di scrittura. Questa forma creativa sorge dai presupposti di un genere giornalistico: ne tradisce la sostanza e gli scopi, ma non le modalità discorsive. Iniziamo dicendo che un’intervista si riconosce da alcuni caratteri canonici: occasionalità, plurivocità, veridicità, autenticità, co-autorialità.
Innanzitutto è un processo comunicativo che avviene in un determinato tempo e spazio. Nasce da un incontro tra un giornalista e una celebrità e, come tale, è un avvenimento circostanziabile. Come vedremo, il contesto in cui ha luogo l’intervista viene spesso descritto da un prologo redatto dall’intervistatore, che alla radio e alla televisione assume poi una forma orale. Ma più in generale, anche il dialogo che si svolge reca sempre traccia del momento in cui avviene, tramite riferimenti ad avvenimenti recenti, a questioni attualmente dibattute, a testi appena pubblicati: insomma, è sempre legato alla cronaca di una società.
Poiché si costituisce principalmente di un dialogo, l’intervista si compone di (almeno) due discorsi che si alternano: le domande e le risposte s’intervallano sia all’orale che allo scritto (questo può essere il risultato di una trascrizione stenografica o di un colloquio registrato). In ogni caso, l’intervista conserva sempre questo carattere bi-vocale o addirittura plurivocale, se gli intervistatori sono più d’uno.
L’ambizione dell’intervista è fornire al pubblico un messaggio veridico. Questo non interessa tanto le opinioni dell’intervistato, che non vengono mai prese per esatte e che, anzi, il giornalista può contestare. Piuttosto, l’intera operazione presuppone una coincidenza tra l’evento del dialogo e le sue modalità di restituzione al pubblico: se non avviene in diretta radiofonica o televisiva, qualsiasi intervento di trascrizione, registrazione, montaggio non deve alterare il senso degli scambi e del discorso nell’insieme. Allo stesso tempo, ci si aspetta che i ruoli comunicativi non cancellino l’autenticità degli interlocutori. Ogni intervista avviene tra due persone che s’incontrano per discutere di determinati argomenti, interrogare o essere interrogate, ma si devono esprimere in quanto loro stesse: il pubblico, cioè, considera che questi individui non fingano di essere altri da sé.
Infine, se lo svolgimento dialogico implica due parlanti, di risulta il discorso licenziato appartiene all’uno e all’altro. L’intervista mediatica si può definire come la costruzione di un messaggio in comune indirizzato a un destinatario virtuale. Ognuno di questi si vede attribuita la sua parte di enunciati, ma nel complesso l’intervista è soggetta allo statuto di una doppia autorialità.
L’intervista immaginata può rompere ognuna di queste convenzioni, ma non tutte in una volta, pena la perdita di un rapporto di somiglianza con un’intervista vera e propria1. Rispettarne alcune e tradirne altre dipende, però, dal supporto mediatico in cui l’intervista immaginata è veicolata. Come genere giornalistico, infatti, l’intervista appare su diversi media, dalla carta stampa alla radio, dalla televisione ai media digitali, passando per il palcoscenico teatrale. Con il termine di intervista “mediatica” indichiamo proprio l’insieme delle forme d’intervista giornalistica che, rispettando le caratteristiche indicate, appaiono sui mezzi di comunicazione. […]
Anche per l’intervista immaginata le caratteristiche da trasgredire e quelle da adottare saranno certune sul supporto del libro, cert’altre sui dispositivi tecnologici. Ad esempio, un’intervista inventata che viene pubblicata non contiene una doppia firma, perché è redatta da un unico autore, che finge un dialogo mai avvenuto tra sé e un altro. Se quindi rifiuta la co-autorialità, nondimeno imita lo svolgimento dell’intervista (un discorso bi-vocale); simula di compiersi in un contesto preciso, che viene spesso descritto (occasionalità); si propone come una scrittura in cui l’autore espone se stesso scendendo in profondità a livello psicologico e in registri confessionali (autenticità). Tuttavia, s’affranca completamente da uno statuto veridico, perché riproduce una comunicazione mai avvenuta. Al contrario, un’intervista inventata che viene declinata nei media audiovisivi (o a teatro) può conservare la veridicità di uno scambio dialogico che è stato registrato oppure si svolge in diretta, ma si libera dal vincolo dell’autenticità dell’interlocutore, perché uno dei due è in realtà un personaggio immaginario che parla per mezzo di un attore, grazie al quale si preserva la bi-vocalità.
Da un’ottica formale, diviene possibile classificare tre tipologie d’intervista inventata che si riscontrano in tutti questi media. Poiché lo scopo di questo libro è studiare questo genere creativo, si è deciso di suddividere i capitoli secondo le tre modalità individuate, che appaiono, in realtà, contestualmente alla nascita dell’intervista mediatica.
L’invenzione può interessare uno solo dei due interlocutori coinvolti nell’intervista immaginata. Troveremo nel primo capitolo la finzione dell’intervistatore, creato dallo stesso autore: l’esito formale sarà l’autointervista, denominazione particolarmente appropriata per definire un’intervista che uno scrittore intrattiene con se stesso. Nel secondo, osserveremo l’altro interlocutore diventare un personaggio fittizio, perché l’autore veste i panni dell’intervistatore che discorre con un intervistato immaginario (ad esempio un fantasma del passato oppure un eroe mitologico): chiameremo questa intervista “immaginaria”, poiché lo scrittore conserva sempre la sua riconoscibilità pubblica, ma s’intrattiene con un interlocutore che non può esistere nel momento del dialogo e, invece, viene convocato alla presenza dell’altro (un effetto che mette in crisi il principio dell’occasionalità, della circostanza proprio dell’intervista mediatica). Infine, nel terzo, vedremo come l’intervista si cala in un altro discorso, già finzionale, soprattutto di ordine romanzesco e narrativo (ma non mancheranno riferimenti alla messa in scena teatrale e alla poesia), il quale rende entrambi i partecipanti al colloquio personaggi inventati.
I riferimenti a opere e scrittori diversi, provenienti da tradizioni culturali e linguistiche molteplici, saranno inevitabilmente numerosi; ma alle opere più importanti saranno riservati specifici sotto-paragrafi. Rispettando la divisione in questi sottotipi, ogni capitolo interagirà con problematiche storiche e mediologiche, trattando le apparizioni dell’autointervista, dell’intervista immaginaria e dell’intervista finzionale nei supporti mediatici precisati.
Da un’ottica storica, invece, il nostro oggetto di studio è una specola per osservare il cambiamento dello statuto dell’autore nel tempo. Il dispositivo più importante che ha regolato la presenza dello scrittore nella società moderna, fin dall’Ottocento, è stato infatti la pratica dell’intervista, in cui le domande dell’intervistatore – rappresentante del pubblico – implicano le risposte dell’altro. A partire dagli anni Trenta del secolo, la conversazione tra giornalisti e uomini pubblici si trova riprodotta sulla stampa, inizialmente con le parole di una personalità d’interesse collettivo che vengono citate in un articolo, poi nella vera e propria forma del dialogo, che divide le domande dalle risposte e riporta entrambe diffusamente (seppur fin dall’inizio, inevitabilmente, la costruzione del discorso sia sempre sottoposta a omissioni, correzioni, alterazioni del colloquio svolto).
Fagocitato dagli ingranaggi della stampa periodica, anche la figura dello scrittore deve negoziare la sua posizione di privilegio all’interno di gerarchie sociali mutate, al pari degli altri rappresentanti della moderna “celebrità”. Lo scrittore diventa, da un lato, un esemplare emblematico dell’individualismo borghese: come Lucien de Rubempré in Illusions perdues, lo vediamo dibattersi in una folla di giornalisti e scrittori per ottenere la fama, il successo personale, una posizione sociale; dall’altro, egli viene sottoposto a una forza inedita, quella delle leggi del mercato e dei gusti collettivi che la stampa insegue e tenta di controllare, quella «superiorità delle masse» che, se il giornalista s’illude d’“illuminare” con le sue parole, finirà per rendere la «grandezza dell’individuo più difficile» (Balzac) e per travolgere «tutto ciò che è differente, singolare, individuale, qualificato e selezionato» perché ormai la massa è «tutto il mondo» (Ortega y Gasset). L’autore non significa più soltanto uno statuto sociale privilegiato che interagisce con le classi al potere, ma nell’epoca dell’industria culturale osserva la sua immagine divenire merce di consumo, essere servita in una mistificazione2: dai ritratti alle caricature poste in frontespizio o pubblicate sui giornali illustrati dell’Ottocento, che costituiscono oggi degli oggetti immancabili nelle case-museo degli scrittori, fino al coinvolgimento nella pubblicità, nelle inserzioni sulle riviste, nei cartelloni stradali; per arrivare, oggigiorno, a un’immagine espansa che partecipa anche al turismo culturale, il quale fornisce specifici prodotti – guide per il cosiddetto “turismo letterario”, biopic, oggetti di merchandising, ecc. – al lettore-spettatore. Se guardiamo al presente, oggi più che mai la “persona” dello scrittore è un «feticcio istituzionalizzato» (Puech), che viene sfruttato ben oltre l’“opera ufficiale” e circola all’interno di un flusso mediatico composto da fiction e non-fiction, letteratura alta e paraletteratura, arti visive e web-lit.
Se già nell’Ottocento è possibile individuare il germe di questo fenomeno della “mercificazione” dello scrittore come pratica di massa, questa subisce un ulteriore giro di vite con l’avvento dei media audiovisivi, come la radio e la televisione, con cui nel Novecento la vita privata e la figura dello scrittore sono coinvolte in vere e proprie situazioni di performance in spettacoli d’intrattenimento. La sua voce e il suo corpo, da un lato, attraversano le distanze sociali e penetrano nel microcosmo privato, nelle case dei radio- e telespettatori; dall’altro, s’aggiungono alle immagini dell’autore come suoi ulteriori feticci, da consumare secondo le norme della fruizione radiofonica e televisiva. […]
Come ogni altro di fronte alla massa dei lettori, anche lo scrittore è un individuo che la stampa non vuole più soltanto “raccontare”, ma anche “incontrare” (Wrona). L’intervista offre sulla carta un esempio concreto dei nuovi modi con cui il pubblico negozia con il privato. Grazie alla forma dialogica, mostra questa relazione in azione, in un avvenimento concertato dal giornalista e da un suo sottotipo, che inizia a specializzarsi in questa funzione: l’intervistatore. La natura stessa dell’incontro esige che il giornale si palesi come soggetto mediatore davanti al pubblico attraverso l’intervistatore, sua incarnazione momentanea, così come il dialogo che ha luogo nell’intervista costituisce la forma espressiva e documentabile di questa mediazione.
Se ci rivolgiamo all’intervistatore, possiamo comprendere le motivazioni che conducono gli scrittori a impegnarsi nella stesura d’interviste immaginate. L’intervistatore diviene il più importante intermediario tra il pubblico di cui rappresenta gli interessi e l’autorità, la reputazione o il prestigio dello scrittore cui ha accesso. L’intervistatore è appunto il garante pubblico dell’avvenimento e dell’efficacia del dialogo. Ora: egli è in origine un giornalista, una nuova figura inizialmente in bilico tra quella di letterato e quella di emissario del quarto potere. L’ambiguità in cui egli opera si riverbera anche nel suo ruolo di mediatore. Fin dalla nascita della stampa, egli cerca di ritagliarsi una posizione letteraria, prendendosi spesso delle libertà che esulano dal suo ruolo e che sembrano, al contrario, prerogative di uno scrittore. Talvolta l’intervistatore non si accontenta di alterare, magari sotterraneamente, le parole dell’intervistato, ad esempio durante la trascrizione del dialogo che ha precedentemente annotato. Egli vuole rivaleggiare proprio sulla facoltà riservata agli scrittori con cui si trova faccia a faccia: l’immaginazione. […]
Scrittori, romanzieri e poeti esplorano senza reticenze l’interiorità dei personaggi o gli strati più soggettivi del proprio io lirico. Questo sguardo indiscreto trova il suo corrispettivo nell’intervista mediatica, la quale risponde a sua volta a un principio più generale della vita pubblica: la richiesta d’indiscrezione che il giornalismo avanza verso quelle figure della celebrità che sono gli scrittori. Alla nascita dell’intervista, il medium della stampa è l’ammiraglia di questo processo sul fronte della lettura quotidiana e dell’informazione. Nello stesso secolo in cui l’intervista s’afferma, le scritture moderne (romanzo e poesia tra tutte) stanno già mostrando l’efficacia di questo principio nel campo della letteratura: il personaggio quotidiano e gli eventi ordinari che lo riguardano devono essere indagati in profondità e strappati dal loro anonimato civile, dalla loro opacità psicologica, perché possiedono un valore, adesso, agli occhi dei lettori. L’intervista inventata non è altro che il genere in cui questo principio d’indiscrezione, che rende il privato leggibile da parte del pubblico, trova un’opportunità espressiva altrimenti disgiunta in due contesti comunicativi: da un lato le forme della stampa, dall’altro le scritture letterarie. Discutere questa convinzione sarà l’obiettivo delle nostre conclusioni. […]
[L]’intervista inventata non si libera completamente di una forma mediatica. Non solo perché anch’essa si veicola attraverso i media (l’industria culturale assorbe tutte le forme discorsive, anche quelle letterarie), ma anche perché imita l’intervista giornalistica nella sua apparenza: a seconda dei casi, riproduce l’alternanza del dialogo, descrive situazioni e incontri, finge una bi-vocalità, mette in scena maschere dell’autore immediatamente riconoscibili, cerca di penetrare nel suo autentico io. Eppure, il mancato rispetto di qualcuno dei codici dell’intervista mediatica colloca immediatamente quella inventata fuori dall’ordine della comunicazione pubblica operata dai mezzi di comunicazione di massa. Diventa così un altro modo con cui uno scrittore gestisce la sua esistenza in società, il processo della sua socializzazione. Se egli non può non avere una vita esposta, se è costretto a relazionarsi con i media della sua epoca, con l’intervista immaginata cerca di svincolarsi dalla mediazione giornalistica, ma senza negarla, anzi simulandone la struttura discorsiva. Dietro l’imitazione della forma dell’intervista, quella letteraria tenta di ritornare nell’alveo di una comunicazione di tipo diverso, che instaura un canale diretto con i suoi lettori o spettatori e segue leggi che ben conosce: in sostanza, aggira la mediazione della stampa fingendo di accettarla.
Note
1 Da questo punto di vista, questo libro prosegue la ricerca dei modi di interazione tra generi letterari e non letterari che abbiamo già svolto per il saggio critico, mettendo a punto l’idea di un camuffamento degli uni negli altri, che si distingue dal concetto di ibridazione di altre teorie, secondo le quali da entrambi si produrrebbe una nuova sintesi formale (Pseudo-saggi. (Ri)Scritture tra critica e letteratura, Morellini, 2019). I generi possono stabilire tra loro una relazione parassitaria, in cui uno ne nasconde un altro per sfruttarne le potenzialità discorsive, anche se si presenta con una forma propria e distinta. Se però il saggio può camuffare un discorso letterario, l’intervista immaginata compie il processo opposto, perché propone un testo a valenza letteraria che simula un genere della comunicazione sociale.
2 Come scrive Roland Barthes nelle Mythologies «le tecniche del giornalismo contemporaneo si adoprano ogni giorno di più per dare dello scrittore un quadro prosaico. Ma si avrebbe torto a voler vedere in questo uno sforzo di demistificazione. È esattamente il contrario».
[Immagine: Cristopher Bucklow, Tetrach 10:34am 4th December].