di Adelelmo Ruggieri

 

[Con questo capitolo si completa la Figura a stella disegnata negli anni da Adelelmo Ruggieri].

 

Tra così tanti fiori

 

7, Valico e lago

 

Non so per quale motivo non abbia portato a termine a suo tempo, due anni fa, questo viaggio conformato a stella, forse mi apparve del tutto pretestuoso; so che almeno tre o quattro volte mi misi in cammino per i sei nodi che mancavano, ma alle rotonde di Molini, a cinque chilometri da casa, se non era la prima, se non era la seconda, alla terza tornavo indietro, ma oggi non è andata così, ho proseguito. Sto seduto a una stretta sponda del lago di Polverina. Da qui allo sbarramento saranno cinquecento metri, da qui alla sponda opposta trecento. Il lago fa parte dell’Oasi di protezione faunistica di Polverina. Nel periodo invernale e delle migrazioni vi stazionano l´airone cinerino e lo svasso maggiore, la garzetta, il cormorano. Il fondo del lago è di terra e fango ma le acque sono limpide. C’era un facile accesso sulla destra della vecchia 77, e allora ho fermato e sono sceso. Eravamo io e il piccolo lago, non c’era nessuno. Fa caldissimo. Gli anticicloni africani hanno alzato di ben 12° la media stagionale e pare che dalla seconda metà di giugno dovremo fronteggiare le arie sub-tropicali che faranno impennare ancora di più le temperature. Sei ore fa ero al valico di Colfiorito, fermo in attesa di capire come procedere. La signora del distributore mi aveva appena detto che la cosa che lei avrebbe fatto era raggiungere Rasiglia, la piccola Venezia dell’Umbria, poi sarebbe scesa giù a Foligno e da lì a Nocera Umbra e poi Annifo. Le avevo chiesto dei posti che volevo vedere. L’ordine che mi ero dato era l’esatto contrario di quanto lei mi stava suggerendo. Ma quel suo consiglio senza tentennamenti mi spingeva a derogare dalla successione stabilita. E allora la ringrazio molto, Andrò a Rasiglia, poi si vedrà.

 

8, Rasiglia

 

Poi si vedrà cosa? Già il fatto di essere qui ha un che di prodigioso per me, è da tanto che non esco a questa maniera, dentro una pagina di diario, dentro dei luoghi dove persone e natura paiono stare in un pieno di purità e schiettezza. Paiono, certo. E in più sono contento di condurre a termine questa serie, sono passati più di due anni. Il succedersi delle tappe è di un poco cambiato, ma quelle restano, e tutte insieme formano una stella a dodici nodi, e adesso ne mancano solo tre. Intanto me ne sto qui, a questa sponda fuori programma di lago. Raggiungere Rasiglia – “un’oasi tra le montagne in cui un giorno, oltre mille anni fa, l’uomo decise che la pietra sarebbe diventata casa, l’acqua mestiere”, molino e gualchiera – è stato semplice. Si fa la vecchia 77 fin giù a Casenove, si svolta, e in breve si arriva. C’erano tante persone, potenza del passaparola sul web. Tutti stupiti stavamo a guardare i ruscelli veloci tra le case, le cascatelle, la grande peschiera. Ebbe anche il suo poeta il borgo, Marco da Rasiglia, XV secolo: Solo mi trovo in questo alpestre loco / A piè d’un sacro e glorioso monte / Dove tra vivi sassi surge un fonte / Che l’acque porge mormorando un poco. Assai impetuose, in verità, più che mormoranti, le acque.

 

9, Il centro della stella e Monte Cavallo e Preci

 

Era ora di ripartire. Mi sono lasciato guidare dalla fame. Torno indietro, vado a Monte Cavallo, seconda stazione, pranzo al Nido dell’Aquila. E così mi fermo anche a Muccia, crocevia degli Appennini e centro della stella. Venni a conoscenza di Monte Cavallo nel 2016, c’era stato il terremoto, avevano dovuto chiudere, ma non demorsero e si attrezzarono con una cucina mobile e un tendone. L’aprile dopo riaprirono in due fabbricati di legno del villaggio antisismico a ridosso del borgo inagibile. Mi hanno messo in un tavolo al centro della sala. C’erano parecchi avventori. Starsene solo soletto al centro di una affollata sala da pranzo può sortire un qualche effetto di estraniazione, ma rientra subito, basta essere allenati al caso. Il pranzo è ottimo. La montagna è viva e vuole continuare a vivere, ho letto da qualche parte stamattina prima di partire. Ha ragione chi l’ha scritto. Mi hanno chiesto se volevo il caffè. Grazie, la prossima volta, tornerò sicuramente. Il caffè l’ho preso a Preci. Da Monte Cavallo a Preci, terza e ultima stazione, per oggi, sono trenta chilometri, trenta più trenta fanno sessanta, si può fare. Di buona volontà ne occorreva comunque tanta, a ogni chilometro era come se la temperatura, da alta che era già, si facesse ancora più alta, e l’aria condizionata fin che posso la evito, mi dà bruciore forte alla gola. Aspettavo coinvolto che arrivasse il bivio per Preci, mi colpiscono molto gli incroci di montagna, quando svolti dalla principale verso il profondo dell’interno. Qui il posto dove svoltare si chiama Pontechiusita, dieci case, tanto spazio. In dieci minuti sono arrivato all’inizio del paese. C’era un chiosco con gli ombrelloni bianchi. C’erano tanti fiori. Preci vecchia si vedeva su in alto. Il terremoto del sedici la rese per intero inagibile. Poi è ripartita, di sicuro tra mille difficoltà e mille difficoltà ancora ci saranno. Ma seduto al chiosco, tra così tanti fiori e la cura che chiedono, mi sono fatto l’idea che sia ripartita.

 

A ogni giorno il suo altopiano

 

10, Annifo

 

Nella foto si vede la provinciale 440 che corre dritta sull’altopiano e in fondo tiene un monte che si chiama Orve. La foto è di diversi anni fa, ero di ritorno da un qualche dove e feci sosta ad Annifo. Il monte è ricoperto da una fitta selva. Nascoste nella selva stanno le tracce di un suo insediamento arcaico di altura. Quello di Annifo è uno dei sette degli altopiani di Colfiorito. Per non poco tempo ho pensato di scrivere qualcosa sugli altopiani plestini, come vengono anche detti. L’idea era di stare sette giorni. A ogni giorno il suo altopiano.

 

11, Nocera Umbra

 

All’inizio degli anni ottanta stetti per un po’ di mesi in Umbria. Rammento pochissimo di quei tre o quattro mesi che stetti lì. Ma due cose so dirle. La prima è questa, l’ufficio dove stava il mio tavolo teneva una finestra molto ampia sul profilo di Assisi. Sarà stata tre metri larga e partiva in altezza da un metro e arrivava al soffitto e Assisi non distante, per quant’era grande la finestra, era come stesse nella stanza. L’altra cosa è questa. Per un qualche motivo che mi era del tutto ignoto, e sul quale non mi interrogai, quando si trattava di tornare nelle Marche passavo per Nocera Umbra, la città delle acque. Ricordo quei ritorni ma la ragione di quel tragitto mi era ignota allora e mi è ignota, tanto più, ora. Quale poteva essere? E perché l’altro modo di tornare nelle Marche, più semplice, da Colfiorito, non mi piaceva? E allora perché, quando andavo, passavo per Colfiorito? A Nocera mi fermavo sempre a bere a una qualche fontana delle tante che credo vi fossero e credo vi siano. E credo fosse sempre la stessa. Me ne stavo un poco, poi ripartivo. Dov’è che passavo poi non lo rammento. Ma le possibilità sono due: o salivo su a Fabriano, oppure facevo la 361 tra le montagne, ma la prima possibilità non può essere, non sta in alcuna maniera nel ricordo; l’altra, per quanto mi appaia improbabile, è la sola che può essere, perché in tutta questa grande incertezza due cose sono certe: la prima è che la stanza dove stava il mio tavolo teneva una finestra molto ampia sul profilo di Assisi; la seconda è che le volte che tornavo nelle Marche facevo sosta a Nocera Umbra.

 

12, Fiastra e Col di Pietra

 

Giugno. Sono fermo a uno slargo della provinciale 97 da Pian di Pieca per Fiastra. Da qui al lago saranno dieci chilometri. Le montagne attorno sono talmente verdi da lasciarmi un poco sbalordito per quanto è intenso. Sono venuto tante volte a Fiastra nel corso dei decenni. Da giovane per lo più in compagnia da su in alto ai monti. Non poche volte dalla 77 a nord, in compagnia o in solitaria. Il terzo modo è da qui. Ma da qui sono andato una volta sola, in solitaria. Pieca, a mio modo di vedere, e il suo grande pianoro è un luogo assai speciale, con la scena dei monti che le fa da concerto e il dritto inatteso delle strade di altura. Ma così non è per la 97 che quasi da subito prende a farsi una serie ininterrotta di tornati su dirupi vertiginosi. Quella volta che andai non lo sapevo. Per un ex agorafobico non è semplice percorrere una strada cosiffatta. Rischia che il timore dello spazio gli torni e non se ne vada mai più. Gli rimarranno allora solo le stanze della sua casa e trenta chilometri intorno. Quella volta tirai un grande sospiro di sollievo quando vidi il lago su in alto. Fra poco mi metto in cammino, raggiungo Fiastra, sempre ammesso che da qui ci riesca a raggiungerla una seconda volta e non me ne torni indietro a un qualche ampio tornante, prima che si facciano troppo stretti e impervi.

 

Chi obbedisce è destinato a disobbedire

questo mi ha insegnato la dolce madre, odore di ceneri rosate

[Pasolini, La baia di Kingstown]

 

Sempre ammesso che ci riesca, scrissi dieci giorni fa, appena sopra. Non ci riuscii. Dopo un po’ di chilometri voltai e me ne tornai indietro. E ora eccomi di nuovo a Pieca, sotto la tenda del Boquita Cafè, a bere una bottiglietta d’acqua anti – anticiclonica. Ho fatto un giro ampio ma ci sono arrivato su a Fiastra. C’erano molti bagnanti sulle sponde e il colore del lago era così intenso. Non ci sono arrivato da qui, ma dall’altra più semplice a nord che sale su da Polverina. Ho raggiunto lo sbarramento. Me ne sono stato un poco lì a guardare il lago. E ora ero nel quid di questo piccolo racconto (credo che di questo si tratti, sicuramente non è una guida turistica e come tale non la consiglierei a nessuno). Era ora di tornare. Ero tornato lassù per questo momento, quando il viaggio è finito e si deve tornare. Non ho avuto alcuna esitazione (dico davvero) sulla strada da prendere, era la discesa impervia per Pieca, e in verità così tanto impervia non mi è parsa; una stessa strada in salita ne tiene due, quella che sale e quella che scende e non sono la stessa cosa; sono la stessa cosa in un qualsivoglia suo punto, ma finché si sta lì, fermi. Mentre scendevo la 97 e già si vedeva il pianoro di altura, improvvisa, altissima sulla sinistra, c’era una fortificazione. Faceva effetto vederla lassù, così in alto sulle gole, così squadrata e compatta. Sto leggendo che si tratta della rocca di Col di Pietra. Pare che venne abbandonata nel cinquecento. Aveva le sue mura e il suo borgo. Da quel che vedo sulla mappa la si può raggiungere anche dalla 97, ma non dovrebbe essere così semplice (per un ex agorafobico etc etc), ma un altro modo c’è e questo è più agevole, ne sono certo. Quasi quasi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *