di Massimo Gezzi

 

Ieri ho partecipato alla manifestazione in memoria di Alika Ogochukwu, l’uomo nigeriano ucciso brutalmente da Filippo Ferlazzo una decina di giorni fa a Civitanova Marche. E’ stata una manifestazione pacifica, toccante e partecipata, malgrado il caldo davvero tremendo delle 14 del 6 agosto 2022. Prima del corteo, da più parti è provenuto l’appello a non strumentalizzare questa giornata, a non trasformarla in un’occasione di campagna elettorale: lutto e vicinanza alla famiglia, si è ripetuto, non propaganda e retorica. Appello raccolto, direi: non c’erano bandiere, i politici presenti sono rimasti in silenzio (ne ho riconosciuti due o tre), sono stati pronunicati molti messaggi di condoglianze e solidarietà alla famiglia e in particolare a Charity, la vedova, che ha marciato in testa al corteo e assistito a quasi tutti gli interventi.

 

Si sono dette molte cose, a proposito di questo assassinio disumano. Si è parlato di razzismo, di intolleranza, dello stato mentale di Ferlazzo, dell’indifferenza dei passanti. Sono state lanciate accuse incrociate: quelli che hanno parlato di razzismo sono stati tacciati di superficialità, se non di catastrofismo e di opportunismo; quelli che hanno interpretato l’omicidio come gesto imprevedibile e incontenibile di un folle violento (è la posizione degli inquirenti) sono stati criticati da chi invece punta il dito contro l’indifferenza degli astanti e dei passanti (pochi ma non pochissimi, dato che le telecamere del negozio Duin, proprio di fronte al luogo dell’aggressione, avrebbero registrato «dieci paia di piedi, almeno»[1] attorno a Ferlazzo, nei drammatici 3-4 minuti in cui Alika è stato ammazzato).

 

Cosa ha detto la manifestazione di ieri, a tal proposito? Secondo me, almeno due cose.

La prima è che per quanto le istituzioni si siano sforzate – come hanno obiettivamente fatto – per testimoniare e trasformare in atto la loro solidarietà nei confronti della famiglia e della comunità nigeriana di Civitanova Marche, alcuni lapsus linguistici – prontamente notati e stigmatizzati da una donna che ha parlato, come dirò dopo – dimostrano che certi pensieri sono così radicati nella mente di troppi da sembrare normali, accettabili. Sia a caldo, in un post su Facebook, sia ieri, dal vivo, il sindaco di Civitanova Marche si è detto  per esempio favorevole da sempre alla «pacifica convivenza» e alla «tolleranza»: ma tolleranza – l’ha rimbeccato senza nominarlo una donna nigeriana ultraottantenne che vive a Civitanova da decenni – nei confronti di chi, di cosa? Tollerare è un verbo che istituisce o testimonia una disuguaglianza, una differenza di valore tra chi si sente dalla parte giusta (il tollerante) e chi viene giudicato dalla parte sbagliata (il tollerato): basta aprire un qualsiasi vocabolario per verificare che si tollerano ingiustizie, ingiurie, interruzioni, presenze sgradite (per l’appunto), non certo amici, compagni, persone con cui si convive pacificamente e in armonia.

 

La seconda cosa che mi ha colpito – ma non meravigliato, a dire il vero – è che le comunità nigeriane hanno espresso una posizione decisa. Hanno parlato di razzismo, senza alcuna esitazione. E l’hanno fatto con la rabbia e l’urgenza di chi vive sulla propria pelle certi episodi come una cosa normale, quotidiana. Hanno parlato di discriminazioni e vessazioni sul luogo di lavoro, di sfruttamento brutale; hanno descritto le Marche come una regione pericolosa (ne sanno qualcosa, purtroppo, Emmanuel Chidi, assassinato a Fermo nel 2016, e le persone africane prese di mira da Luca Traini a Macerata nel 2018: tutto in pochi chilometri quadrati). Hanno raccontato  le difficoltà che incontrano quando devono confessare a un proprietario immobiliare che affitta una casa che sono nigeriani («Mi spiace, l’appartamento non è più disponibile»…). Una donna che vive a Macerata ha spiegato quanto sia penoso cercare di rispondere ai suoi due figli che le chiedono perché  sono ritenuti – e di conseguenza  si sentono – «sbagliati» (e dunque «tollerati», per tornare al vocabolario e al discorso che accennavo sopra).

 

La comunità nigeriana ha interpretato il gesto di Ferlazzo e quello di chi non ha tentato di fermarlo anche come un portato del razzismo quotidiano, sistemico, diffuso nell’aria che respiriamo, nei comportamenti abituali e nelle parole che usiamo con nonchalance. Hanno strumentalizzato anche loro la manifestazione? Hanno esagerato? Difficile crederlo, davvero. E a me, da quel maledetto 29 luglio, ronza in testa una domanda, che forse è demagogica e forse no: se le parti fossero state invertite, se l’aggressore fosse stato un uomo nero e l’aggredito un bianco, quelle dieci paia di piedi si sarebbero comportate allo stesso modo? O ci sarebbe stata una reazione più compatta e coesa, più energica? Se fosse stato aggredito il «tollerante», cosa sarebbe successo al «tollerato» violento, in una città e in un Paese sui cui cartelloni pubblicitari campeggiano gigantografie con sopra scritto «Basta sbarchi», con un barcone di neri all’assalto sullo sfondo?

 

Nota

 

[1]     Vedi questa testimonianza: https://www.quotidiano.net/cronaca/omicidio-civitanova-1.7937594

8 thoughts on “Le parole giuste e quelle sbagliate: sulla manifestazione del 6 agosto per Alika Ogochukwu

  1. Non so se la donna nigeriana ultraottantenne poteva saperlo, ma da Massimo Gezzi si sarebbe in diritto di aspettarselo. Al più tardi dal Trattato sulla tolleranza di Voltaire, “tolleranza” significa anche, e in questo genere di contesti soprattutto, disponibilità (idealmente da entrambe le parti) ad accettare il disomogeneo da sé. Inizialmente o durevolmente disomogeneo. In questo senso le parole del sindaco mi sembrano adeguate.
    Gravissimo, invece, che nessuno sia intervenuto. Quello è il vero scandalo. Anche se immagino che intervenire in una situazione del genere richieda un fegato che non tutti hanno.

  2. Onestamente, per istinto di conservazione io non mi sarei intromesso fra due sconosciuti che si azzuffano, indipendentemente dal colore della loro pelle. Avrei chiamato la polizia. Chi ha assistito alla scena non poteva sapere, credo, che uno dei due era fuori di testa e sarebbe arrivato al punto di ammazzare l’altro.

  3. @Elena Grammann: la ringrazio della riflessione (dev’essere interessante questo Voltaire). Io ho sicuramente semplificato, dimenticando di considerare il significato storico e filosofico del concetto, ma siamo certi che “tolleranza” sia la parola giusta da usare, oggi, per parlare dell’omicidio di un uomo nero, colpevole di aver insistito troppo nel chiedere l’elemosina ?
    Quale sarebbe, in questo contesto, l'”inizialmente o durevolmente disomogeneo da sé” nei cui confronti dovremmo usare la tolleranza di cui parla Voltaire? Qualche anno fa Giuliana Sgrena raccontò di aver visto uno striscione a una manifestazione, portato da un gruppo di migranti neri. C’era scritto: “Né tolleranza né razzismo, ma uguaglianza”, o qualcosa del genere. In un contesto come quello di cui stiamo parlando (dove non sono state chiamate in causa idee, fedi, opinioni politiche, ideologie…), l’unica parola giusta da pronunciare a me sembra quella.

  4. (̀ ) ; ̀ ( ) ( 31 2022) . ‘ ̀ .
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    XY

    signore, cosa fa, non vede che così lo può uccidere?
    cosa avrebbero dovuto fare gli astanti dell’omicidio in diretta di civitanova marche, rivolgersi con modi garbati all’energumeno che intanto strozzava il povero alika? rinunciare a quella “ghiotta occasione” di essere testimone di un fatto abnorme, postando i loro video su facebook a prendere like?
    uno si sarebbe dovuto buttare in mezzo, come fece willy a colleferro per difendere l’amico federico, e finì come finì? o come ieri, il lavoratore bulgaro che ha provato a fermare il nigeriano asciuto pazzo che martellava il commerciante cinese, e ora è all’ospedale in coma?
    certo, si fossero mossi in quattro-cinque, lo avrebbero bloccato. li avete visti mai, voi, quattro-cinque che intervengono per fermare un qualche sopruso? se si è della famiglia, se si è della cosca, se si è della gang, se si è della banda di amici, se si è cresciuti insieme nel quartiere – se si appartiene già. ma a chi poteva appartenere, alika? ce n’erano nigeriani lì? no – se c’erano, loro sì, sarebbero intervenuti.
    la violenza cieca paralizza – è il principio umano su cui si consumano le tragedie domestiche. gli abusi domestici.
    forse, ci voleva un martello, ‘na mazzotta, di quelli che si usano per buttare giù i muri – e dargliela ‘nta capa al signore energumeno che si era sfastidiato per l’elemosina insistente. e allora si fermava.
    sicuro sicuro – che avreste usato la mazzotta?
    tornate alla tastiera – che è più leggera a maneggiarla. povero alika.

    COMMENTI:

    1
    che voyeurismo e narcisismo banale abbiano sostituito “l’agire” (intendo anche l’agire politico) è un carattere del tempo. d’altra parte – non avremmo mai avuto le immagini di rodney king (e ne potremmo citare mille, come il recente george floyd) e di soprusi, se non ci fossero oggi i mezzi per “vedere e far vedere”. certo, anche qui, c’è un vedere “militante” (per testimoniare, e si sa, lo si vuole) e c’è un vedere “passivo”. direi che la cosa è complessa – e è troppo semplice liquidarla con l’ignavia degli astanti o l’abuso del cellulare come “linea d’ombra” tra noi e il reale

    2.
    E’ da ieri che mi chiedo, se al posto dell’ambulante nero ci fosse stato un bianco povero sarebbero intervenuti? se ci fosse stato un ragazzo una donna sarebbe intervenut* qualcun*?

    1.
    io mi chiedo – ancora prima – anche se quella violenza si sarebbe espressa in quel modo contro un ambulante bianco

    3
    quanto descrivi è vero ma non credo si possa generalizzare neanche qui. Dipende dalle singole situazioni con diverse variabili in gioco che possono fare tutte la differenza: chi è la vittima, chi il carnefice, chi si trova a passare per li e quanto dura la violenza. Io so che sarei scattata come una molla perché mi è capitato e avrei forse forse “rotto l’incantesimo ” in qualche modo, (?) prendendomi magari la prima botta e/o incitando gli altri? Magari l’omicida che pensava di difendere la sua donna vedendone un’altra che urlava basta avrebbe rallentato.? Non lo so, quello che non mi piace è la piega che prendono queste discussioni bianco o nero, colpa o ragione sui social. Non è questione di mettere il singolo sul banco degli imputati ma dovrebbe essere l’occasione per interrogarsi sulle cause meno facili da trovare per la reale o presunta crescente indifferenza, reale o presunta mancanza di sentimenti di solidarietà, pietà e empatia. L’occasione per capire cosa possiamo fare per rimediare. A me una società dove un pazzo, un esaltato, a mani nude o quasi, uccide qualcuno a caso fa paura.
    3.
    in realtà tralasciando i media i feedback che ho letto io sui social erano i più volti a “giusticare” o trovare ipotesi che escludessero l’indifferenza. Con qualcuna delle ipotesi che hai fatto giustamente anche tu. Concordo sul fatto che non si possa trovare una spiegazione “scientifica” per alcune azioni orribili compiute da un singolo individuo, ma non possiamo neanche sottovalutare alcuni segnali e rinunciare a capirli qualora se noe sommassero altri e si rivelasse un trend che avanza. E vero che tutti gli uomini vogliono quanto dici ma forse stanno perdendo la capacità e la voglia di partecipare sporcandosi le mani alla costruzione di questa società, ed è questo che mi inquieta…PS . Poi le ultime ricostruzioni sul numero (basso) di persone presenti cozzerebbe contro il sensazionalismo di titoli come “nessuno si è mosso” che farebbero pensare che ci fossero tante persone. Quello che resta è una fine orribile di un uomo innocente.
    4.
    Se qualcuno interveniva con una mazza, unico sistema per non farsi ammazzare a sua volta, ora stava in galera
    5.
    No, in galera no.
    Non diciamo fesserie alla salvini
    Certo che sarebbe stato indagato e lì conta molto il magistrato che trovi.
    6.
    Io ne sono sicuro: sarei intervenuto anche senza la mazzotta. Ma capisco di essere in minoranza e non mi scandalizzo
    7.
    non sei in minoranza.Sei in buona compagnia.Coltellate ne ho prese.
    1.
    non lo trovo “ripugnante” – trovo che sia una “misura” di quanto siamo distanti da ciò che ci accade intorno. e “postare” un omicidio in diretta – a parte il voyeurismo e il narcisismo banali – è l’unica forma che abbiamo di relazione con gli altri. direi che non è proprio semplice giudicare
    8.
    ok ma se negli USA non ci fosse stato un filmato che riprendeva Floyd mentre veniva soffocato dal poliziotto, col cavolo che questo sarebbe stato condannato. Il postare sui social invece è un altro discorso, quello sì aberrante.
    1.
    nessun urlo lo avrebbe fermato, cinzia. io non credo. ogni giorno registriamo fatti di cronaca di furia omicida – capita pure che qualcuno urli
    9 .
    Concordo, si sarebbe dovuta agire un livello di violenza praticamente uguale alla sia per metterlo fuori combattimento, meglio non entrare in particolari. Chi sarebbe stato in grado e disposto a farlo?
    1.
    senza andare così lontano nel tempo – anche io “so” che le risse di una volta e quelle di oggi sono differenti per un carico di furia e di aggressività e di dominio, senza “regole”. ma la paralisi di fronte un atto cieco di violenza è cosa antica. è “la base” degli abusi dentro casa, proprio la sistematica violenza contro bambini e donne, per il dominio – mille motivi ne possano essere causa: l’alcol, la frustrazione, la mancanza di lavoro, il proprio disagio psichico. e si rimane immobili – quando non ci si rifugia nel pianto, nella fuga, sotto il letto, nello stanzino, a tapparsi occhi e orecchie. sapersi difendere – è sempre una cosa buona. attaccare è proprio un’altra
    10
    ovviamente non ho statistiche, ma mi sembra che nelle risse con conseguenze tragiche una volta volavano coltelli, o armi da fuoco, mentre oggi spesso si ammazzano a mani nude. C’è questa bestialità che lascia sgomenti: tra coca che gira a fiumi, psicofarmaci e steroidi non puoi più nemmeno fidarti a litigare con uno sconosciuto.
    11.
    Filmare l’aggressore è generalmente un atto di difesa, ma è necessario gridargli che viene filmato, preferibilmente che le riprese sono in diretta, e gridare che sta uccidendo l’altro e attirare l’attenzione di più persone intorno. Non è consigliabile mettersi nella mischia. Chi entra, però, va al di là del dovere (non negare l’aiuto) e pratica un gesto di coraggio (legittima difesa dei terzi).
    12.
    Non è dovere del cittadino comune intervenire fisicamente. Sarebbe una virtù se l’avessero fatto. Essendo nero, in questi casi quasi nessuno corre rischi. Questa situazione è comune in America Latina
    13.
    Bastava intervenissero in tre o quattro. Bastava senso civico. Ma ormai vale solo il ghénos, alla faccia di Eschilo…
    1.
    bastava – ma un gruppo di tre-quattro si muove solo per appartenenza. non c’era “gruppo” per alika
    14.
    Io sono fortemente motivato per intervenire e pure assai preparato, ma da solo, solamente se non metto in pericolo chi magari sta con me. Pratico arti marziali fin da ragazzo e ne sono parecchio esperto, ancora in ottima forma nonostante i miei 62 anni. Perciò se capita nelle mie vicinanze, sono cazzi, per tutti, già successo alcune volte.
    14 .
    sto avvisando chi agisce da prepotente ed io sono nelle vicinanze. Tuttavia so anche correre veloce quando serve, l’ultima volta mi capitò a Genova 2001, quando nei pressi del tunnel li vidi ben armati, martellanti e pronti a caricare. Allora con me c’erano due bimbette che misi al riparo (da manganelli e lacrimogeni urticanti) su una collinetta.
    1 .
    nessun catcalling – chiedeva con insistenza di vendere qualcosa, almeno questo è quanto finora stabilito. è proprio difficile che un ambulante faccia catcalling. proprio difficile. ormai non insistono neanche più con la merce – almeno sulle spiagge è così: offrono, espongono, chiedono, vanno via. certo, non eravamo presenti. certo, i “coatti” stanno in coppia. però. di tutto questo per ora sappiamo solo poche cose: e sono di una banalità sconcertante. io posso dire questo – che la violenza è un demone, che se cominci a pestare qualcuno, non ti fermi
    15.
    Il 6 luglio Vitalie Sofroni, 40 anni, cerca di difendere una donna dell’aggressione del compagno. E viene da questi ucciso.
    Io ho fatto a botte, per difendermi, e so che non so che avrei fatto, e preferisco tacere.
    16.
    e che non pensi, invece, tutta la paura e la razionalità va a farsi friggere quando vedi una scena di violenza verso una vittima. Ma questo succede alle mamme, a quelle mamme che si ribellano appena si accorgono della differenza di forza tra chi aggredisce e chi è aggredito. E lo fanno con gli anziani, lo fanno coi bambini, lo fanno con gli animali e lo fanno perfino con i popoli aggrediti. Sai qual è il problema? Che non ci sono più tante mamme in giro, soprattutto in Italia (il che è ironico, considerando l’iconografia della mamma italiana). E non m’importa se sto discorso non è per nulla politically correct, io so con sicurezza quello che avrei fatto assistendo per QUATTRO lunghissimi minuti a quella scena. Mi è già successo un paio di volte con episodi durati molti meno minuti. Chiamare la polizia non ci pensi proprio, prima difendi l’aggredito, senza nemmeno renderti conto che ti puoi fare male. Ma non ci sono più mamme e la gente “pensa”…

  5. Purtroppo è saltata la premessa che avevo voluto scrivere con “caratteri speciali” in corsivo e grassetto. Eccola:
    Può essere utile uscire dalla bolla di discussione in cui spesso ci si viene a trovare quando si affronta un argomento su un blog; e perciò ricopio (lasciando in anonimo i nomi) intervento iniziale ( del 31 luglio 2022) e commenti comparsi sulla pagina di un “amico” su FB che seguo. Hanno il merito di parlare dell’omicidio di Alika con passione e in modi corali e ben poco ingessati.
    SEGNALAZIONE
    ……

  6. @ Massimo Gezzi
    Sì, Voltaire è piuttosto interessante.
    Sul merito, mi pare che “pacifica convivenza e tolleranza” non sia espressione da stracciarsi le vesti, di fronte a una massiccia presenza di persone che vengono da un altro continente, da un’altra lingua, da un’altra cultura, in situazioni particolari (maggioranza di uomini), tendenti a formare comunità chiuse e con abitudini assai diverse dalle nostre, – appunto disomogenee – fra cui la diffusissima abitudine di chiedere l’elemosina o cercare di vendere qualcosa, regolarmente con fastidiosa insistenza. Su quanto questa abitudine (propria quasi esclusivamente dei cristiani anglofoni e non dei francofoni e/o musulmani) sia dovuta a necessità e non sia invece precisamente un tratto di disomogeneità, si potrebbe aprire un capitolo.
    Se invece vogliamo far finta che le disomogeneità non esistano perché suona più progressista, va bene.

  7. La ripropongo in maniera più articolata: a freddo, davanti alla tastiera e sapendo come sono andati i fatti, siamo tutti pronti a stigmatizzare chi non ha osato intervenire e siamo sicuri che noi no, al contrario del gregge di voyeur fifoni ci saremmo buttati, avremmo preso l’assassino per la collottola e riportato l’ordine. Ma forse a trovarsi in mezzo a una scena di violenza che non si sa come interpretare (chi ha aggredito chi? Sono per caso due malavitosi…?) e che non siamo attrezzati innanzi tutto psicologicamente ad affrontare (ricordo in proprosito l’ultimo romanzo di Bacà) gli stati d’animo possono essere leggermente differenti.

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