di Tommaso Di Dio

 

[Sono recentemente stati pubblicati i primi tre libri della neonata collana di poesia “Assemblaggi e sdoppiamenti” a cura di Monica Romano, per Scalpendi Editore di Milano: Nove lame azzurre fiammeggianti nel tempo di Tommaso Di Dio, Storie per un taccuino piccolo piccolo di Stefano Raimondi, Poesie per giovani adulti di Michele Zaffarano. Pubblichiamo un estratto dal libro Nove lame azzurre fiammeggianti nel tempo che raccoglie tutte le plaquette dal 2003 al 2020 edite senza ISBN, più diversi materiali inediti: immagini, descrizioni, lettere, favole.]

 

 

*

 

Ci sono le pietre; e le cose che vengono

dalla calma delle nuvole. La strada è piena di gente.

Questa mattina le persone vanno dentro i negozi.

Escono poi, e continuano nelle spalle l’ampiezza

del loro viso. Questa mattina, il cielo è grigio

dalla parte delle case. Io vorrei chiamarti

avere voce per te

per dirti ancora, lasciarti qualcosa di mio.

 

Aprire i muri, aprire le porte. Aprire le strade e le

facce della gente; con tutte le parole, raggiungere quelle

lingue rimaste al muro

dopo tanto essere

state grido.

 

(2003)

 

*

 

C’era un bosco, pieno di tante piante e foglie. In piedi

dentro il più profondo anfratto del bosco, c’erano

dieci uomini, uno accanto all’altro, di spalle. Non si poteva mai

vederne gli occhi. C’era acqua nel bosco; di lontano veniva

lo scorrere di un fiume. Nel più profondo

anfratto del bosco, una voce si levò e disse: dov’è

la foce del fiume, che sentiamo venire? Nessuno rispose

nel bosco pieno di tante piante e foglie. Uno

dei dieci, di spalle

 

aveva un fucile.

 

(2003)

 

*

 

Viene una mente, un pensiero

un rumore d’acqua fra le foglie; e le parole

di una lingua straniera che non so. Felici

sembra si tocchino, mentre fuori scaldabagno

motori macchine; da lontano viene un boato

che poi si spegne. Ci muoviamo lentamente

e facciamo terra. Facciamo già mondo

nel mondo trattenuto

per un tempo solo.

 

Com’è difficile pensare

cosa accade. Se tu, ora, ti fermi

e ripeti un silenzio.

 

(2015)

 

*

 

La linea infinita degli acidi

che le mandrie di bufali

tracciarono per millenni tra le sinapsi della nostra mente.

La ragione per cui il movimento

caotico fluido di una massa di corpi o corpuscoli in uno spazio

ancora genera scarica

un godimento avvertibile. La linea invece visibile

dei palazzi lungo le strade pensate per essere strade

prima viste poi disegnate poi costruite percorse usurate

dai piedi di chi

di questo non sa, non chiede. La linea infine che va

da qui, che da qui dirama

e arriva fino al cuore nulla spazio cerchio rosso battere

che sei tu, tu

che cammini amando pensando leggendo ascoltando

che stai fermo seduto in piedi alzato protetto nudo

e hai il mondo scavato nel petto

che piange, amico mio, è un punto

che piange.

 

(2018)

 

*

 

 

1988 – Descrizione dell’entrata

 

Ora che sei arrivato fino a qui, lo puoi dire: sulla superficie di ciò che vediamo, abita un mondo fosforescente, magnetico, una guazza filamentosa di stelline elettriche e brillii. Nella notte di ogni pagina, piovono meteore, gangli, buchi, strappi, comete, luci oltremondane e, qua e là, bagliori d’acquario. Quello che vedi – anche se chiudi gli occhi – non è mai solo il nudo visibile, ma sempre, insieme a questo, la lenta, ironica latenza di ciò che hai dimenticato quando stavi beato nel mondo degli occhi aperti e che, ora, lentamente, guardando, riaffiora. Forse allora ci sei, ce l’hai fatta e questa potrebbe essere davvero l’entrata che hai tanto cercato altrove. Se ti avvicini ancora di più, è facile accettare l’evidenza che ogni cominciamento, per quanto grande possa sembrare poi, ha il suo principio in un modesto sentiero di sassi e polvere. Qui si vede benissimo: l’inizio è solo un cielo di cartapesta, un vialetto le cui pietruzze sono tenute insieme con la colla bianca vinilica; dietro, in un ronzio persistente e impercettibile, una batteria da nove volt mette in moto una minuscola pompa che spinge l’acqua del rubinetto su di un fiume di carta argentata. Sembra che ci sia un cammino, dossi di cartoncino colorato, qualche figura di plastica. Sembra che tre magi, nel cuore più addentro dell’inverno, proprio nel tempo peggiore dell’anno, si siano messi in marcia per un viaggio lunghissimo e senza senso. Hanno domande, fitte al costato, albeggiamenti: perché sono partiti? Hanno visto qualcosa? Sperano che alla fine del viaggio qualcosa giunga in loro con la forza di uno oscuro boato? Nessuno lo sa. E non lo sanno, né se lo chiedono, le due figure a fianco del presepe di carta. Sono un padre e un figlio, si abbracciano: loro sono la destinazione. Qualcuno da molto lontano, da un tempo futuro e remotissimo, si sta avvicinando, a ritroso, si sta avvicinando a loro. Uno sciame è in cammino e scrive, guarda, rilegge: i magi sono plurali e inesorabili. Non vogliono che questo, arrivare. Li vedi allora e non li vedi, i magi che viaggiano indietro nel tempo, attraversano i confini più incerti, più irrequieti; dormono malamente, mentre piove, nevica, si adagiano sul fieno sporco, sulle pietre, mentre scrivono, reinventano, guardano, leggono. Mangiano nelle bettole più infami, piangeranno, si ubriacheranno, faranno cose orribili, forse moriranno addirittura e perché? Prendi nota di questo, solo di questo: vogliono arrivare dove l’inizio è un mucchio di carta stropicciata, dove si espande l’abbraccio delle cose più intime e stupide in un cerchio quieto di fiamma, senza il quale nulla di quello che poi sarebbe successo avrebbe mai potuto accadere. Guarda questi frammenti ricomposti per incanto, il cartoncino, la neve finta, le cornici, le monete d’oro appese al muro; e poi il tavolo con i vetrini di murano, la lampada alogena, il becco del tucano di legno. Guarda tutto questo, perché è la meta di tutti i viaggi, l’approdo che una stellina, tanto tempo fa, incise sulla tua fronte, in un muto bagliore, bambino mio.

 

*

 

Nota al volume

di Bernardo De Luca

Archivio di voci e immagini, queste le Nove lame azzurre fiammeggianti nel tempo. Come Krapp con le sue registrazioni, Tommaso Di Dio riordina, descrive ed etichetta quasi venti anni di produzione poetica disseminata in antologie, plaquette e libri d’arte, aggiungendovi testi inediti (le descrizioni) e documenti visivi. Il libro-progetto (tipologia cui appartengono i precedenti lavori dell’autore, Tua e di tutti e Verso le stelle glaciali) viene sostituito dal libro-archivio: cominciamento e comando (secondo la lettura etimologica di Derrida), l’archivio istituisce e governa la memoria. Alla conservazione del passato è associato il disegno dell’avvenire, perché «esiste, nella poesia, una possibilità». Spettri e favole – le nostre persistenti, carnevalesche rimozioni – attraversano i testi: sono «contratture dello spazio-tempo», riti di liberazione per trasformare i frammenti sparsi della memoria in piume leggere, affinché la poesia – «disperata gioia» – possa farsi ambiente in cui vederle levitare.

 

 

 

[Immagine: Meghann Riepenhoff, Ecotone #6 (Triptych, Bainbridge Island, WA 07.07.17, Scattered Sunshowers, Draped on Pole)].

 

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