di Marco Viscardi

 

In fondo anche io credo che I Promessi Sposi non si dovrebbero leggere a scuola. Provo a mettere insieme qualche riflessione che mi gira in testa da un po’. Insomma, sappiamo che secondo Umberto Galimberti non è più il momento di insegnare a scuola i Promessi Sposi: romanzo portatore, a suo dire, di valori persi, superati, incomprensibili. Ne parla in un intervento che si può vedere qui.

Certo è «un romanzo bellissimo, scritto in maniera folgorante», indiscutibilmente «grande letteratura», ci mancherebbe», però «il messaggio» nella bottiglia è «che quello che conta nella storia lo fa la Provvidenza e tu non conti un tubo», perché «c’è un disegno superiore che risolve tutti i problemi».

 

Poi però ci assicura che nel mondo vero, quello in cui sento il ticchettio dei tasti mentre scrivo, questo disegno non c’è. È una bella premura, però io credo che Galimberti non abbia capito il romanzo o sia rimasto ad una lettura del testo di una cinquantina di anni fa, presumibilmente gli anni in cui era scolaro. Ma prima di continuare, vorrei dire che cercando la sua intervista su YouTube, mi è apparso il video pubblicitario di una, non so bene come chiamarla: cooperativa? Diciamo cooperativa di psicologi a domicilio, come il dogsitter, che lavoravano attraverso il sito: unobravo qualcosa punto it. Ecco, mentre Galimberti parla, una parte di professionisti della psicologia o psicanalisi non l’ho capito bene, si propone con queste modalità. Anche questa è una questione che non so approfondire ma ci dice qualcosa su dove siamo.

 

Ricominciamo, Galimberti appiattisce la Provvidenza; la trasforma in una forza cosmica che agisce sugli uomini loro malgrado, quando mille volte nel romanzo la si sente parlare nella loro interiorità e persino parlare senza essere ascoltata. E appiattisce gli stessi personaggi che hanno anche dimensioni oscure, oniriche, stravolte in cui la coscienza parla attraverso sogni che se non hanno ancora la complessa carica simbolica del Traum freudiano, sono lontanissimi dalle limpide allegorie del sogno medievale.

Penso alla tremenda visione di don Rodrigo appestato, alla messa dei morti (ancora una volta nel romanzo le cose vengono dall’antropologia, del mito, dal folklore) e alla tremenda predica di Fra Cristoforo. Se i non specialisti leggendo quest’ultimo passaggio non ricordano l’episodio è segno che un secolo e passa di lettura obbligata scolastica non ha portato a molto, e già si potrebbe finire qui…

 

Quello che sfugge a Galimberti è che le azioni degli uomini, le opere, non vengono regolate da presunte imperscrutabili e inoppugnabili leggi della Suprema Volontà, ma devono fare i conti col disordine degli avvenimenti, col «vento del caso» che «trascina in un corso di miserie senza nome» la società delle donne e degli uomini. Una mescolanza di miserie senza nome, un indistinto di depressioni nelle quali a volte è impossibile riconoscere una fattezza precisa, dirsi: sto male per questo, abbasso abbasso. No, per Manzoni è impossibile trovare una sola causa.

Romanzo storico del romanticismo maturo e pure in crisi di mezza età, i Promessi Sposi non usano la storia come fondale o come pretesto per l’artificio letterario, ma suggeriscono al lettore che tutto è storia: la rivolta per il pane come le chiacchiere che si fanno a tavola, l’educazione che fa delle ragazze delle vittime come cucire una blusa dopo aver letto il capitolo di un romanzo cavalleresco.  Ed è questo ammasso di relazioni inestricabili, questi fili che legano gli uomini fra loro e tutti, anche i più oscuri, alle azioni dei governi, questa burrasca a mandare all’aria i piani e i proponimenti. Come accade nella vita reale, quella in cui sento il ticchettio dei tasti e la stanchezza delle dita mentre scrivo.

 

E queste si, sono pagine folgoranti: la forzata monacazione di Geltrude, il suo diventare idolo, trastullo e vittima dei suoi familiari, le grandi notti dell’innominato, la lotta e la riconciliazione, ma anche la casa del sarto, dove regna una pulizia da Seicento olandese, dove Lucia trova riparo e infine i viaggi di Renzo, il rientro in un paese distrutto, l’incontro con l’amico e l’appassionante ricerca di Lucia.

I Promessi Sposi non sono una teodicea. Non c’è nessuna giustificazione al male, nessuna indulgenza verso la distruzione. Pietà profonda per gli uomini costretti a vivere in un mondo oscuro, soffocante, dove persino la luce dell’alt(r)o mondo a volte non riesce a penetrare.

 

Però sì, è giunta l’ora di liberare I Promessi Sposi dalla scuola, e più in generale è giunta l’ora – diciamo sarebbe perché poi non si fa nulla – di considerare la scuola per quella che è: una istituzione in profonda crisi identitaria che continua per inerzia, che sta là come il frigorifero della casa delle vacanze che è quello della povera nonna, ma finché va perché cambiarlo, pazienza se fa rumore, perde acqua, i cibi solo caldi, è piccolo e consuma un po’. Finché va perché cambiarlo?

Ecco questo si chiama atteggiamento conservatore. La scuola non si tocca: all’esistenza del Moloch si offre la frustrazione di docenti e studenti, ma che importa? Ed in effetti se non si tiene in considerazione la felicità della comunità che la abita, in che considerazione dovremmo tenere questo romanzo di fidanzati un pochino sfortunati?

 

Prima di proseguire, qualche dato che, spero, faccia capire in che contesto si leggono i Promessi Sposi in aula. Lo si può fare, alle medie, magari in edizione accorciata (ed io l’ho fatto, nel Novecento) ma in genere li si legge al secondo anno dei licei, a volte anche nei tecnici e nei professionali. La lettura è guidata da un docente che nel caso del liceo è o può essere anche il docente di geostoria, di latino e a volte anche di greco, nei tecnici e professionali dal docente di italiano e storia.

Io continuo a trovare discutibile che una metà degli studenti italiani debba crescere associando la storia alla filosofia secondo un’idea nata in Germania duecento anni fa e difesa poi in Italia dal fascismo. Ma tant’è… nell’ordinamento della scuola italiana, la storia è applicarsi pratico delle Idee che studia e determina la filosofia… contenti voi… (poi si capisce che i filosofi travisano i romanzi che sono i più grandi nemici delle idee).

 

Insomma i Promessi sposi vengono letti in un momento non adeguato. Al secondo anno, quando non si è ancora studiata la storia d’Europa e di Italia del Sei, Sette e Ottocento. Spogliato della storia, l’opera perde molto, si riduce ad un melodrammone coi cattivi cattivissimi (lì si riconosce didascalicamente da pizzetto: il vilain ha sempre il pizzo) e i buoni sempre oppressi e con lo sguardo un po’ bovino. Ora, intendiamoci, le uniche cose essenziali alla lettura di un romanzo sono il romanzo e un paio di occhi, o di orecchie se qualcuno te lo legge, o di dita se lo leggi in braille. Non chiederei a chi legge i Promessi sposi di farlo dopo aver affrontato un esame di Storia Moderna, ma quella è la scuola, quello è un luogo di approfondimento, dove il testo è un terzo elemento sul quale docente e studente possono convergere. E più strumenti hanno gli studenti, meglio convergono. Allora in quel secondo anno, i Promessi sposi sono una punizione, anzi pure peggio, sono il residuato di un tempo che fu, una cosa che funzionava e che ora non si capisce. Come una locomotiva a vapore che guida la metropolitana. Sarebbe molto romantico, ma inquina e arrivi tardi. Alla fine è un fastidio. Ma i Promessi Sposi scolarizzati non sono neppure un fastidio, rischiano semplicemente di sparire.

 

In queste letture scolastiche il romanzo rischia, anche in presenza di magnifici docenti, di trasformarsi nel repertorio: degli atteggiamenti morali da avere, del comportamento dei giovani, della lingua e delle sue traversie. Insomma, si legge un repertorio di cose ma non un romanzo. È vero che Manzoni considerava l’utile come scopo, ma non si dà mai davvero retta ad uno scrittore quando parla della sua opera. Il romanzo vuole un lettore attivo e non abbagliato, partecipe alle vicende con la forza della propria ragione e non (solo) coi moti del cuore, ma i Promessi sposi sono un romanzo, non un trattato di morale o di virtù civica né l’applicazione di teorie linguistiche. Definire cosa sia un romanzo è impossibile, ma teniamoci al fatto che grossomodo tutti lo sappiamo, io mi affido ai miei Lukács, Auerbach e Bachtin che mi hanno insegnato che ogni romanzo è una avventura conoscitiva, è la ricerca di un senso attraverso le azioni degli uomini, è un’opera in cui si racconta di donne e uomini come noi che parlano lingue diverse ma che agiscono sbattuti dalle forze telluriche della storia.

 

E un romanzo è anche un’opera di piacere, un tempo del lettore, l’ingresso di un altro mondo che dove non si può entrare per obbligo. Per questo io non capisco i miei colleghi che assegnano pile di libri per l’estate. Ottimo modo per emancipare gli esseri umani da questa noia della lettura, perché se credono di suscitare piacere così…. ammiro molto una mia collega che porta i libri in classe, i suoi libri e li consegna agli studenti dopo averli pensati e dà loro il tempo per leggerli. E poi ovviamente quei libri tornano indietro tutti, dopo essere stati letti.

Perché la libertà è una cosa bella e i romanzi sono avventure: a molti di noi è capitato di sentire qualcuno che dice: oh ma ho letto i Promessi Sposi, ma sai che non è male? Come Maccio Capatonda nella pubblicità del Tavernello che dice: eh pensavo peggio.

 

Lo so amico lettore che ‘sto romanzo non è male, chiediamoci perché hai pensato per almeno due decenni che lo era.

Ci sono edizioni eccellenti del romanzo pensate per la scuola, sia chiaro, con commenti e note non sono utili a comprendere l’universo manzoniano, ma perfette nel metterlo in relazione con la sensibilità del lettore. Edizioni firmate da studiosi appassionati, sensibili, coltissimi. Inoltre è finalmente tornata sul mercato librario l’imponente, magnifico, commento di Raimondi e Bottoni che davvero permette al lettore di penetrare a fondo questo magnifico romanzo.

Un romanzo non è solo un ammasso di parole. Il piccolo aneddoto privato è che quando è uscito il commento manzoniano cui ho partecipato, la persona con cui ero legato in quel periodo una volta mi ha detto abbastanza frustrata: sì, il romanzo è bellissimo, appassionante, ma voi e le vostre note state sempre ad anticipare quello che succede e io mi deprimo…E no, non è questione di spolier (come direbbero i matusa), di piacere del testo. Però vi assicuro che il commento alla fine le era piaciuto!

 

Provo a finire questo intervento: in navigazione si chiama opera viva la parte dello scafo che permette il galleggiamento e opera morta tutto il resto. L’opera viva sta sotto, non si vede, ci tiene a galla, quello che sta in vista conta di meno. L’opera morta di un testo è sua trasformazione in monumento. Le statue noin galleggiano, stanno ferme ed immobili. Ci ha rimesso le penne il povero Dante che sta lì, marmorizzato nelle nostre piazze e pure un po’ umiliato da chi ha stabilito che all’ultim’anno dei licei (grazie a Dio, al tecnico non sono obbligato) si deve leggere il Paradiso. Oh, il Paradiso è un capolavoro, non di discute, ma perché devi interrompere Leopardi, Darwin, Freud, Svevo, la psicanalisi, la scomposizione dell’individuo per parlare del movimento della luna, delle virtù teologali, dei crucci dell’impero? Cioè, non si può fare tutto, e tu magari stai seguendo una linea ma poi ti fermi, lasci l’inconscio e le identità multiple e torni a Dante perché è il padre della patria, monumentalizzato e ucciso. Come accade ai Promessi Sposi. Obbligo sinistro, libro che a furia di vederlo non si capisce più. L’autore viene articolato e messo in una teca: Il Manzoni, Il Verga, Lo Svevo… i Francesi chiamano Tasse, il nostro Tasso e L’Arioste, Ariosto. Lo hanno articolato, maldetto, ma come si fa a cristallizzare quella meraviglia in movimento?

 

È bello che gli italiani abbiano qualcosa su cui concordare, ma perché non cambiare? Ogni anno o meglio ogni 3 o 5 o 10, una commissione ministeriale stabilisca una rosa di testi, magari non solo italiani, e magari uno che fa parte di quelli che senza problematizzare chiamiamo classici e l’altro no, e alla fine della scuola chiediamo un mémoir agli studenti. Troverei bellissimo leggere dei Verdurin e degli amori di Siti, del povero Werther e dell’Armadillo, di Conrad e di Capoferro (Oceanides, bellissimo). Nuovi posti in cui ritrovarsi e per un tempo limitato, prima dell’usura.

 

Io non lo so se sopravverranno I Promessi sposi alla loro espulsione dalle scuole del Regno o andranno a morire negli scaffai dei classici. Un po’ penso che tenere forzatamente in vita le cose sia sbagliato, un po’ penso che l’insegnamento sclerotizzato non tenga in vita i testi, ma li costringa a vegetare in un sonno artificiale: una dimensione mostruosa in cui si sente ogni tanto: su su Viscardi, vieni alla cattedra e dimmi l’Addio ai monti… si prof… Addio monti sorgenti dall’acque ed elevati al cielo… etc etc etc cantilena cantilena cantilena.

Alla fine lo stesso Manzoni ha deciso che Fermo era un pessimo nome per il suo filatore, forse dovremmo ascoltarlo.

 

Soprattutto noi che che in qualche modo viviamo di e nella letteratura (anche un lettore vive di e nella letteratura) dovremmo usare la nostra intelligenza che la parola letteraria anche quella più nota e conosciuta non smetta mai di essere sasso che ci colpisce. «Ed ecco che per restituire il senso della vita, per “sentire” gli oggetti, per far si che la pietra sia di pietra, esiste ciò che si chiama arte». Lo dice Victor Šklovskji nel suo bellissimo saggio sull’Arte come procedimento. In questa pagina, Šklovskji commentava un passaggio dei diari di Tolstoj: «Se tutta la complessa vita di molti passa inconsciamente, allora è come se non ci fosse mai stata». Se un libro si legge inconsapevolmente è come se non lo si fosse mai letto. Vivere e leggere sono attività che continuamente e misteriosamente si rimandano, altrimenti si saremmo già sottratti a questa birbanteria del foglio, della penna, delle parole.

11 thoughts on “Il romanzo dell’obbligo. Contro “I Promessi Sposi” a scuola

  1. Mi sembra che l’articolo di Marco Viscardi rinforzi il programma di leggere i Promessi Sposi ai licei (istituti superiori, in generale) piuttosto che cancellarlo. Proprio perché “tutto è storia” nel romanzo, “ammasso di relazioni inestricabili, questi fili che legano gli uomini fra loro e tutti, anche i più oscuri, alle azioni dei governi, [una] burrasca a mandare all’aria i piani e i proponimenti”. Forse che, di una fase di sovvertimento e trasformazione mondiale come quella che viviamo oggi, una filosofia della storia come quella dei P.S. non darebbe un quadro adeguato? E, quanto alla Provvidenza, il ricorso oggi alla speranza nella forza delle istituzioni sovranazionali non rappresenta una specie di fiducia nella bontà e ragionevolezza umana? Certo, non sappiamo più che abbiano, fiducia e ragionevolezza umane, un fondamento religioso, ma si tratta comunque di una inconscia speranza per tutti. O quasi. Naturalmente occorre una meta-lettura del romanzo, che enuclei la filosofia della storia sottostante: “Non c’è nessuna giustificazione al male, nessuna indulgenza verso la distruzione. Pietà profonda per gli uomini costretti a vivere in un mondo oscuro, soffocante…” Lasciando anche all’insegnante di chiarire come per la persona ottocentesca dell’autore Alessandro Manzoni, nel suo travaglio di fedele, persino “la luce dell’alt(r)o mondo a volte non riesce a penetrare”.

  2. La scuola deve per forza di cose semplificare e appiattire, il suo scopo in fin dei conti è trasmettere alcune nozioni a una scolaresca variegata per interessi e capacità e quindi verificare che tali nozioni siano state effettivamente assimilate: perfettamente logico che non si possa volare troppo alto e che molti ex studenti ricordino I Promessi Sposi come romanzo “sulla provvidenza”, o magari I Sepolcri come carme “sulla morte e sulle tombe” (laddove questo è in realtà solo il pretesto per un discorso estremamente più articolato e complesso…). Sostituire, dunque, I Promessi Sposi con altro? Tutto si può fare, il discorso è se questo rappresenti veramente un progresso, anche in base a ciò che la scuola può e non può dare. Non credo ad esempio che possa “insegnare” a capire davvero e amare le opere letterarie. Al più se va bene insegnerà – ed è già molto – che queste non sono prive di importanza e farà venire voglia a qualcuno di approfondire più tardi la questione.

  3. si legge “nell’ordinamento della scuola italiana, la storia è applicarsi pratico delle Idee che studia e determina la filosofia…”
    Annoto qui solo una parziale correzione: se il docente è di formazione filosofo, certo può essere così (anche se non lo porrei come dato assoluto), ma se il docente è di formazione storico (come il sottoscritto) non sarà così.

  4. “I took a course in speed reading, and I’ve read Promessi Sposi in 15 min. It’s about Lombardy”. (Woody Allen, parafrasato)

  5. Grazie per questo intervento. Concordo sul fatto che spesso nella nostra scuola la lettura dei romanzi viene ridotta a moraleggiare e filosofeggiare su dubbi contenuti generali. Il particolare (ma universale) dell’esperienza narrativa si perde, se non in miseri riassuntini. Ma forse la scuola non può mediare veramente l’esperienza estetica.
    Non penso però che serva una formazione storica sull’epoca per leggere “I promessi sposi”. Ma è vero che il romanzo potrebbe essere apprezzato meglio da studenti più maturi. Solo che al triennio si mette in moto la vecchia macchina storicistica che trita tutto e tutto rende indigesto…
    PS: le approssimazioni di Galimberti non meritano commento, e discendono proprio da quella tendenza a filosofeggiare (male) a partire da due tre concetti banali.

  6. “Vieni alla cattedra e dimmi l’Addio ai monti… si prof… Addio monti sorgenti dall’acque ed elevati al cielo… etc etc etc cantilena cantilena cantilena”: chi mai interroga così?
    L’autore deve avere un’idea falsata e imprecisa del lavoro in classe sui “Promessi sposi”. Leggerli a scuola forma. Qualche lezione preliminare per ricostruire il contesto sarà utile a una migliore comprensione di un testo che resta la pietra miliare della formazione di una persona, anche se non se ne condivide il messaggio.

  7. Condivido tutti i punti espressi. Resta aperto un problema: come gestire l’educazione linguistico-letteraria nei tre anni delle medie inferiori e nei primi due delle superiori e soprattutto che far leggere per migliorare l’abitudine alla lettura e la padronanza della lingua scritta. I programmi andrebbero ripensati seriamente.

  8. “Testo pietra miliare … anche se non se ne condivide il messaggio”: appunto! Approfondire la nostra storia!

  9. Personalmente dalle Indicazioni nazionali non vedo alcun obbligo di una lettura integrale. Sicuramente oggi i P.S. richiedono la mediazione dell’insegnante, che penso sia libero di affrontarli come crede o non affrontarli per nulla: il problema sta forse nei “sensi di colpa” dei docenti e nella “riverenza” verso un testo considerato imprescindibile.
    Tuttavia, se piace, è un testo che si presta a letture diverse, metodologicamente diverse, e questo è il suo punto di forza. E’ del tutto possibile leggere solo alcuni passi, a questo punto, come si fa per altri autori, puntualmente antologizzati, e penso che non valga la pena insistere oltre sulla questione.
    L’articolo contiene senz’altro spunti interessanti accanto ad altre osservazioni riconducibili ad un approccio molto tradizionale, non più corrispondente a quanto viene praticato a scuola, ad es. la lettura del Paradiso in quinta (o meglio, quinto anno) non è più un obbligo e da anni ci si è mossi in una direzione differente, con sperimentazioni e progetti in cui la Commedia si affronta ed esaurisce nel secondo biennio per lasciare spazio al Novecento il quinto anno. Tutto è legato soprattutto alla classe che si ha di fronte e, ancor prima, a quali finalità obiettivi etc.. si intende raggiungere proponendo una determinata lettura.

  10. Non solo i Promessi sposi sono un romanzo che insegna a scrivere in lingua italiana, essi sono capaci di introdurre il pensiero critico in una mente completamente all’oscuro dei procedimenti analitici della logica, e la grammatica è solo un aspetto del manzoniano “sciacquare i panni in Arno”. Va da sé a questo punto che la completezza del capolavoro ottocentesco non può essere messa in discussione da considerazioni morali moderniste, le quali boccerebbero il contesto storico (marxianamente inteso) nel quale si muovono i personaggi; ad esempio si è mai pensato che Lucia avesse avuto rapporti sessuali consenzienti con il Rodrigo prima di conoscere Renzo e che quindi far passare l’innocenza di Lucia sia un taglio interpretativo del romanzo viziato dalla lettura moralistico romantica che se ne è fatta sinora sulla scia di un populismo d’accatto che smaschera una malattia del sentimento dei critici italiani di tutto il novecento?

  11. Ottimo articolo. Altro grosso problema, oltre all’esistere dei Galimberti, è che avendo gli attuali professori -e professoresse (oh, soprattutto) tendenza a sublimare tutto in morale -paradossalmente ben più dei prof cattolici di un tempo-, della letteratura non resta che un osceno bignamino ideologico. Ciò detto, non vedo quale altro romanzo potrebbe sostituire i Promessi per il primo ottocento, anche perché emblematico della classe sociale che ha guidato l’unità d’Italia; da comparare con la disillusione meridionale dei Viceré, quello sì, grande romanzo trascurato dalla didattica

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