di Stefano Raimondi
[E’ da poco uscito per Scalpendi Editore Storie per taccuino piccolo piccolo, di Stefano Raimondi. Ne riportiamo alcuni testi].
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NON salutava più nessuno della sua famiglia: nessuno sapeva dove trovarlo per giudicarlo, colpevolizzarlo, giustiziarlo. Sarebbe potuto diventare come uno di loro: un testimone. Il cemento teneva stretti i piedi e il respiro faceva bolle indistruttibili, armate: pareti per la casa di qualcuno che avrebbe festeggiato tra loro il natale, con l’albero, il presepe e lui nel muro.
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DIMMI che mi ami ancora, gli uscì dalla bocca quel giorno, mentre stavano sbrinando insieme il frigorifero. Un istante dopo si trovarono nudi nel letto, umidi di sperma e liquido vaginale. Dimmelo prima che il ghiaccio si riformi e tu te ne vada ancora – disse abbracciandola come si abbracciano i cuscini quando si è soli. Sei uno stronzo e lo sai che non vado poi da nessuna parte… e tu piuttosto, cosa fai per tenermi qui? Lui si girò dall’altra parte, quando sentì un pezzo di ghiaccio cadere nella bacinella gialla.
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QUANTO spazio occuperebbe la sua forzata decisione di scomparire tra le cose: quelle che stanno vicino ai figli, ai corpi come niente; quelle che restano ferme nelle case, nelle stanze; quelle che non sarebbero mai sue se non le avesse volute almeno per un attimo, fino a quando nessuno più si fosse accorto di lui tra loro.
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“TI vedo! Sì, ti vedo!”. Continuava a ripetere il signore di via Vallarsa, da sempre strano. La ripeteva sempre così la frase, gridando, con gli occhi rivolti altrove o semmai, gettandoli nell’angolo più buio della finestrella, che dava sul marciapiede, dove una volta c’era il deposito di carbone per la caldaia del n. 4. “L’ho vista! È là, in fondo!”. Gridava tra lo spavento e l’euforia. Sembrava sempre in preda ad un attacco di panico, invece era ancora la sua voglia di avvisarci tutti. Lui l’aveva vista, sì, l’aveva visita. Faceva caldo. Era il giorno dell’ultimo bombardamento, a Milano, nell’agosto del ’43.
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NON gli era rimasto che un piccolo pezzo di carta dopo aver letto un racconto di Bolaño. Un piccolo rettangolo bianco dove poter scrivere il suo grande romanzo. Un angolo di carta, una breccia nel silenzio di tutti quegli anni; un’invenzione capace di salvarlo come un’ultima elemosina, un’ultima pagina scritta senza un indice.
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ERA stufo di non essere felice! Voleva nuovamente essere leggero, spensierato, incosciente e ancora avrebbe voluto alzarsi la mattina eccitato e masturbarsi e poi uscire fuori, al sole, senza sapere dove andare e neppure cosa fare e stare tutto il giorno a godersi il suo tempo liberato dagli obblighi che era riuscito a conquistarsi a furia di rinunciare a tutto, a forza di far carriera quando si esponeva in tutte quelle gare d’appalto per i servizi sociali e rinunciare a viaggiare per restare sempre in città, lasciando che tutto finisse come sempre e di nuovo si trovasse dentro un sogno, dove voleva smettere di non essere felice.
[Immagine: Foto di Stefano Raimondi, Gli occhi di Larkin]
Teresa Radice – Storie per taccuino piccolo piccolo di Stefano Raimondi: Immagini potente in piccoli piccoli ritratti del quotidiano