di Laura Pugno

 

Esce oggi per Ponte alle Grazie Il codice d’amore. Antologia della lirica dei trovatori, di cui ho curato la scelta e la traduzione. Da poeta, puramente da poeta. Non sono una filologa romanza, e questo legittima la domanda, perché, in giorni come questi, voler fare questo piccolo libro, volerlo fare tu? Una prima risposta evocherebbe i componimenti noti come alba provenzale, che, come specchi che riflettono non lo stesso ma l’opposto, hanno sparso la loro luce ustoria sulla mia ultima raccolta di poesie, Noi (Amos 2020).

 

Sappiamo che attraverso lo specchio possiamo muoverci avanti e indietro nel tempo, e ricordare “che chi scrive poesia contemporanea oggi in Italia si confronta, nel tempo, tre volte con l’origine: con i lirici greci; con i trovatori dell’antica Provenza e ciò che come sappiamo ne è seguito” – ed ecco la ragione di questo libro – e “naturalmente ed inevitabilmente, vorrei aggiungere felicemente, con il Novecento.”

Il Novecento, che ci porterebbe lontano. Ne parleremo un’altra volta.

 

Sappiamo anche un’altra cosa: che la traduzione è una delle arti dell’impossibile, di cui ultimamente siamo diventati esperti. E ogni arte dell’impossibile, tra queste la scrittura per prima, ha un nucleo profondo che si spiega da sé. Perché, come ci ricorda Ursula K Leguin nella raccolta di saggi intitolata – appunto – I sogni si spiegano da soli (Sur, a cura di Veronica Raimo), dice a parole ciò che non può essere detto a parole.

Lasciamo, allora, che a parlare sia la poesia, con due traduzioni che non sono state inserite nel piccolo Codice. Valgano da bonus track per le lettrici e i lettori di Sotto il Vulcano, abituati a convivere con un imminente pericolo. Sono Pos vezem de novel florir/Ora che di nuovo vediamo fiorire di Guglielmo IX d’Aquitania/Guilhem de Peitieu, per tradizione il “primo trovatore”, e Quan chai la fuelha/Quando cade la foglia del grande Arnaut Daniel.

 

*

 

Pos vezem de novel florir

 

 

Pos vezem de novel florir

pratz, e vergiers reverdezir,

rius e fontanas esclarzir,

auras e vens,

ben deu chascus lo joi jauzir

don es jauzens.

 

D’amor non dei dire mas be,

quar no-n ai ni petit ni re,

quar ben leu plus no m’en cove,

pero leumens

dona gran joi qui be-n mante

los aizimens.

 

A totz jorns m’es pres enaisi

c’anc d’aquo c’amiei no-m jauzi;

ni o farai, ni anc non o fi;

c’az essiens

fauc, maintas ves que-l cor me ditz:

“Tot es niens”.

 

Per tal n’ai meins de bon saber

quar vueill so que non puesc aver.

E s-l reprovers me ditz ver:

“Certanamens

a bon coratge bon poder,

qui-s ben sufrens”.

 

Ja no sera nuils hom ben fis

contr’amor, si non l’es aclis,

et als estranhs et als vezis

non es consens,

et a totz sels d’aicels aizis

obediens.

 

Obediensa deu portar

a maintas gens, qui vol amar;

e cove li que sapcha far

faitz avinens

e que-s gart en cort de parlar

vilanamens.

 

Del vers vos dic que mais ne vau

qui be l’enten, e n’a plus lau:

que-ls motz son faitz tug per egau

comunalmens,

e-l son, et ieu meteus m’en lau,

bo-s e valens.

 

A Narbona, mas ieu no-i vau,

sia-l prezens

mos vers, e vueill que d’aquest lau

me sia guirens.

 

Mon Esteve, mas ieu no-i vau,

sia-l prezens

mos vers, e vueill que d’aquest lau

me sia guirens.

*

 

Ora che di nuovo vediamo fiorire

 

Ora che di nuovo vediamo fiorire

i prati, e rinverdire i giardini,

schiarirsi fontane e fiumi,

brezze e venti,

ben deve ciascuno trovare gioia

nella sua gioia.

 

D’amore non devo dire che bene,

non ne ho neanche un po’, anzi niente,

ed è facile che più non me ne spetti,

anche se facilmente

dà gioia amore a chi segue

i suoi comandamenti.

 

Sempre è stato così per me,

mai ho tratto gioia da ciò che ho amato;

non l’ho mai fatto né mai lo farò;

e so quel che faccio,

tutte le volte che il cuore mi dice

“Tutto è niente”.

 

Per questo è minore il mio piacere

perché voglio ciò che non posso avere.

Anche se il proverbio dice il vero:

“Certamente

a buon coraggio buon potere,

per chi sa soffrire”.

 

Nessuno sarà mai davvero un fedele

d’amore se non si sottomette,

se a stranieri e a vicini

non acconsente,

e se a tutto il casato

non è ubbidiente.

 

Ubbidienza deve portare

a molti, chi vuole amare;

e conviene che sappia fare

imprese belle

e che a corte si guardi dal parlare

villanamente.

 

Della mia canzone vi dico che più piace

e più ha lode per chi ben l’intende:

ché dalla stessa misura

le parole sono rese uguali,

e la musica, e io stesso me ne vanto

è bella e vale.

 

A Narbona, dove io non vado

vada in dono

la mia canzone, e voglio che di questa lode

mi sia testimone.

 

Mio Esteve, se da voi non vado

vada in dono

la mia canzone, e voglio che di questa lode

mi sia testimone.

 

*

 

Quan chai la fuelha

 

Quan chai la fuelha

dels aussors entressims

e-l freg s’erguelha

don seca-l vais e-l vims,

dels dous refrims

au sordezir la bruelha:

mas ieu sui prims

d’Amor, qui que s’en tuelha.

 

Tot quant es gela,

mas ieu no puesc frezir

 qu’amors novela

mi fa-l cor reverdir;

non dei fremir

qu’Amors mi cuebr’e-m cela

e-m fai tenir

ma valor e-m capdela.

 

Bona es vida

pus Joia la mante,

que tals n’escrida

cui ges non vai tan be;

no sai de re

coreillar m’escarida,

que per ma fe

del mielhs ai ma partida.

 

De drudaria

no-m sai de re blasmar,

qu’autrui paria

trastorn en reirazar;

ges ab sa par

no sai doblar m’amia,

q’una non par

que segonda no-l sia.

 

Jes non es croia

cela cui son amics;

de sai Savoia

plus bella no-s noiris;

tals m’abelis

dont eu ai plus de joia

non ac Paris

d’Elena, sel de Troia.

 

No vuelh s’asemble

mos cors ab autr’amor

si qu’eu ja-l m’emble

ni volva-l cap alhor:

non ai paor

que ja selh de Pontremble

n’aia gensor

de lieis ni que la semble.

 

Tant per es genta

selha que-m te joios

las gensors trenta

vens de belhas faisos:

ben es razos

doncas que mos chans senta

quar es tan pros

e de ric pretz manenta.

 

Vai t’en chanzos,

denan lieis ti presenta,

qe s’ill no fos

no-i meir’Arnautz s’ententa.

 

*

 

Quando cade la foglia

 

Quando cade la foglia

dalle cime più alte

e infuria il gelo

che secca nocciolo e salice,

ascolto quietarsi

i dolci richiami del bosco:

ma anche se altri l’abbandonano

io ad Amore resto accanto.

 

Tutto ciò che è si gela

ma io non posso avere freddo

perché un amore nuovo

mi fa rinverdire il cuore;

e non devo tremare

perché mi copre e cela Amore

e mi guida

e sostiene il mio valore.

 

Bella è la vita

se Gioia la governa,

anche se ne geme

quel cui non va bene;

ma io non posso in niente

lamentare la mia sorte,

perché di ciò che è meglio

in fede, ho la mia parte.

 

L’amore in nulla

posso biasimare,

e la compagnia delle altre

non vado a cercare;

tra tutte le sue pari

nessuna è come la mia amica,

nessuna mi pare

che seconda non le sia.

 

Non è mai crudele

lei di cui sono amico;

e nessuna più bella

crebbe di qua della Savoia;

mi prende tanto

che ne ho più gioia

di quanta ne ebbe da Elena

Paride di Troia.

 

Non voglio che accolga

il mio cuore un altro amore

che mi sottragga a lei

e volga la testa altrove;

e non ho timore

che neanche a Pontremble

vi sia una donna più bella

di lei o che lo sembri.

 

È così nobile

la sola che mi dà gioia

che per la sua bellezza

delle più nobili vince trenta;

ben vi è ragione dunque

che ascolti il mio canto

perché tanto è di merito

e di valore piena.

 

Va’, ora, canzone,

a presentarti a lei,

ché se lei non fosse

non vi metterebbe impegno Arnaut.

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