di Davide Castiglione
[E’ uscito in questi giorni per Industria & Letteratura Doveri di una costruzione, di Davide Castiglione. Presentiamo cinque poesie].
Parabola dell’acqua impoverita
Eccoci al laghetto artificiale.
Qualcuno, forse il mio braccio
getta vermi. Tutto un banco risale
e da melmosa che era
l’acqua assurge a un argento ossidato. Il colore,
il dolore dominante è il loro.
Si parla poco nell’abitacolo al ritorno.
Cambiare stazioni alla radio, per il resto fermi.
Pensavo all’acqua impoverita. Plancton,
alghe, coralli: non
li avranno toccati incrociati mai
quelle squame avariate. Pensavo
ai vostri muscoli impazziti,
pesci, accecati dalla privazione.
Si spreca la gioia del principiante
specchiata nell’occhio del malcapitato –
del più forte, del più cretino tra voi.
*
A lume di candela
Accende la candela quasi monacale, compíto.
Lui sarà rasoterra, ma la fiamma verticale
sul dorso del portafoglio, il corso
della lamina ambrata… non c’è esercizio
di restrizione
che non sia questo, adesso. Il vuoto, il rito:
è spazio suo. È suo perché
non essendoci non si è neppure mai perso.
Mentre il resto è diventato
spasimo di costanza, fame di essere
ferito. Smotta tutto
per amor proprio, d’improvviso,
e la fiamma non smette ma smette
di essere fiamma
e il piattello si distrae
in un cilindro smaccato si pensa già
alla scopata a lume di candela
che non avverrà
lo vedremo mettere
dei like, pesarli a dovere, far cronaca
di questa mattanza creativa beautiful
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e anche il mio se leggi bene, stellina.
*
L’altra
Lo sporco della coscienza gli tracimava dagli occhi
lei adesso veniva guardata in quel modo
veniva guardata con quei detriti addosso
perciò quando stava per lasciare il suolo
la caviglia accesa di slancio nel vederlo
qualcosa non tornava l’immagine di lui
testimoniò l’odore e l’immersione nell’altra
tutto immiseriva s’immerdava tutto
le gambe le si fecero pesanti,
i muscoli rigidi come un panno
su cui è calata un’intera glaciazione.
*
Posto per tutti
Casa loro vale centomila euro
ma hanno sette figli
fate un po’ voi il conto.
Ora a guardare i cartoni animati
si azzufferanno domani. Ma intanto
ce ne stiamo sul terrazzo
mia madre mia zia mio padre mia sorella, e io,
sulla stessa sdraio. Adoriamo
la cabriolet nel vicolo
che a un certo punto scatta in volo
ma senza magia, con
ineluttabilità piuttosto.
Allora per converso
penso alle macchine anfibie a quelle
sul pelo dell’acqua o del fango
e anche penso
alla Rolls crema impagliata nel parco.
La cabriolet che ronza
ha una chioma paglierina all’interno.
Hai sempre adorato le bionde
afferma mia madre
e io ma cosa
anche le rosse anche le brune anche tutte
ma non ridiamo. C’è sempre stata o no
quella guarnizione, rigonfia,
che pare un polmone di nicotina?
Non mi pare di dirlo ma m’interroga
mio padre con occhi
che spezzano in quattro il capello
allora arretro m’interro
nel cuscino, scompaio
da voi, non sono più sulla sdraio.
*
Francisco
Gli italiani avete la faccia triste. Me lo dice
trascinandosi Francisco, e sì: quello
vestito di tutto punto non sa
se fissare il niente o la borsa in pelle.
Sistema il nodo alla cravatta, la
tortura con accorta compostezza
(riflettono gli occhiali qualcosa che
si spezza). Stavo per diventare così
anch’io. Francisco imbuca la tequila
sotto il letto a nolo e scalda la radio
un ritmo di bachata Zacarías
Ferreira è mio prozio sabes chico
che nella Repubblica Dominicana
in Nicaragua in Ecuador a Panama
c’è povertà ma si balla. Sbilancia
la voce pastosa e le spalle sciolte
in un passetto, la t-shirt gialla
non sta più nella pelle gli fa difetto.
Ora il tristo tutore si è scucito
da sé con perizia. Francisco taglia
l’abito di quest’aria circoscritta. Io
che non so fare il nodo alla cravatta
che non so scucirmi da me, stupito,
attraverso il possibile di essere voi.
[Immagine: David Stephenson, Dome #40602, Inglesia del Santo Sepulcro, 2003].
Buone poesie, buona proposta. Ci sono, qua e là, alcune fragilità evidenti. Soprattutto nelle poesie più lunghe che in alcuni versi lasciano trasparire debolezze architettoniche e sintattiche. Le poesie, forse, avrebbero avuto bisogno di un editing maggiore. Anche di piccole limature. Una proposta, comunque buona, come detto, ma senza quel carisma capace di farle svettare nel panorama mediano della poesia italiana.
Caro Marco, ti ringrazio per il commento e la lettura, e il parziale apprezzamento. Ho lavorato ossessivamente a queste poesie, e ci sono passati molti altri occhi non miei; ma certo, può sempre darsi che siano rimaste delle fragilità. Se me le potessi indicare te ne sarei grato, sarebbe anche una maniera per discutere dei fini estetici, magari diversi, che ci muovono.
Estendo a Castiglione & coetanei, nonche’ alla generazione loro successiva, l’obiettivo di presentare pubblicamente dieci poesie rappresentative, in modo che facciano da passaporto autoriale e riferimento comune, costante, per la critica ormai occasionale e dispersa. Se cento poeti, negli anni, si confrontassero sulle dieci poesie di altri cento poeti invece che su pretesti, contesti, paratesti e sindacati di varia natura come accade oggi su riviste e rivistine, il livello dei discorsi salirebbe a partire dallo specifico letterario e a beneficio di tutti: la poesia in senso lato, gli autori aperti al confronto, i critici curiosi ma non onniscienti e infine i lettori, anche quelli comuni.
Io, se mi sarà permesso, e vorrei un parere su questo, estenderei anche alla generazione precedente, nati negli anni sessanta e settanta, che sono stati forse loro a creare il nuovo mediocre canone (e con mediocre, senza voler offendere nessuno, intendo un tono medio di poesia che non arriva quasi mai a picchi molto alti), dove si discute molto, si pubblica molto (se se ne hanno le occasioni) molto, ma il valore poetico resta decisamente basso.
Continuo a pensare, oramai da tempo, che la poesia italiana (ma anche la prosa) siano legati più che altro ad opportunità, appunto. Se qualcuno non conosciuto si fosse presentato con queste poesie la casa editrice e i due curatori avrebbero almeno pensato all’opportunità di questa pubblicazione. (questo vale per la maggior parte delle case editrici). Va dato atto a Castiglione di essersi fatto un nome, come però altri 30 o 40 aspiranti poeti della sua e della generazione precedente, tutti bravissimi conoscitori della tecnica poetica ma dove, almeno io, faccio fatica a sentire la poesia: rubando le parole a Mengaldo direi chi ricorderà mai un verso di questi poeti?
Alvaro, Lei ha ragione ma non si crucci: tra tutt* quell*, basta e avanza la poesia della Genti, alleluia, e la generazione sessanta-settanta potra’ ritenersi salva, al livello che chiede… dunque, guardiamo avanti, anche perche’ il mondo interessante e’ sempre quello di chi sta ancora al di qua del mezzo del proprio cammin.
La poesia di Castiglione è una poesia carina, come ce ne sono tante. Ma alla fine che male fa a scriverla? Darà ragione, magari, alla sua vita. E non è poco. Tante mappe, tante catalogazioni, tante discussioni e poi la Genti è il nome prescelto? La Genti? Sì, poesia simpatica, niente di che. Il vecchiume, sinceramente, si sente nel vostro modo di voler catalogare, mappare, canonizzare, di ricerca di una critica: tutti strumenti vecchi, questi sì e ormai appartenenti a un tempo che fu.
Ringrazio chi è intervenuto, anche per aver allargato (o malgrado abbiano allargato) il discorso al di là del mio caso singolo. Se esiste una mediocrità diffusa – della quale, malgrado i miei sforzi, posso pure essere parte, – essa, mi permetto di dire, può anche essere figlia di questa inveterata abitudine a non entrare nel merito dei testi, che è un problema italiano generale, ma che emerge con forza nei commenti finora letti: che non entrando davvero mai nel merito delle scelte stilistiche, ritmiche o di poetica compiute, non permettono davvero a niente di costruttivo (e di veramente collettivo) di formarsi. Basterebbe poco: perfino elencare autori o i testi che si ritengono oggi più validi. Questo permetterebbe di capire – è un quesito serio, perché io stesso mi entusiasmo molto di rado per ciò che leggo dei miei coetanei – i presupposti estetici o il tipo di ricezione che si hanno in mente. Spesso sospetto che con ‘picchi alti’ si intendano poesie gravate di assolutismi e acrobazie calcate come trucco pesante, che personalmente cerco di evitare. Ma posso certo sbagliarmi. Infine, credo sia utile distinguere fra medietà (che può essere intesa come anti-espressivismo, uso di un lessico comune ecc.) e mediocrità, che invece è un giudizio di valore forte, e che sarebbe pertanto auspicabile motivare.
ps: trovo sottilmente degradante, non nei miei confronti ma in quelli dell’editore, l’insinuazione di Alvaro che il mio libro sia stato accettato in forza di un ‘nome’ che mi sarei costruito. Argomento opinabile, visto che non ho il minimo potere editoriale (non dirigo collane, non scrivo sui giornali, non faccio parte di giurie rinomate), vivo fuori dall’Italia da oltre un decennio, e se il mio nome circola è perché in passato mi sono impegnato a recensire e scrivere note, e al limite ho mandato, senza nessun appoggio o spinta, poesie che sono state accettate da riviste o editori. Come dovrebbe essere la norma.
Angelo, non si tratta di eleggere il nome di una papessa ma di isolare dieci poesie che risultino intangibilmente buone, stilisticamente riconoscibili e quantomeno memorizzabili? Dopo di che, un esercizio adatto al corpo a corpo col sublime per tutti gli scriventi di lingua italiana, non solo quelli con “fragilita’ evidenti” (Marco), “tono medio” (Alvaro) e “poesia carina, che male fa” (Angelo), potrebbe essere la messa in forma contemporanea dei Canti di Leopardi? Disponibili qui: https://www.giacomoleopardi.it/?page_id=6199 , prendiamone dieci: XI, XII, XIII, XIV, XXI, XXIII, XXIV, XXV, XXVIII, XXXIV e consideriamoli esercizi di solfeggio per una prova di traduzione? Alla peggio, serviranno da auto-benchmark e riferimento diretto al livello massimo riconosciuto.
Non capisco questa esigenza di dover eleggere 10 poesie per ogni autore. Ci sono autori che stanno costruendo libri e opere importanti che coprono un arco di decenni. Con una varietà di stili e forme, di lingue, mai raggiunte in passato. Non sarebbe possibile isolarne 10 e poi a che pro metterle a confronto con quelle di Leopardi? Un corpo a corpo con sublime? Allora mettiamo Leopardi o Montale a corpo a corpo con Dante e chiudiamo baracca e burattini. E poi dire che una generazione fa schifo e un’altra no. Questo assolutismo. Bisognerebbe essere onesti e dire che gli ultimi libri di Magrelli sono poca cosa. Che molte poesie di De Angelis se postate qua senza sapere l’autore sarebbe guardate con indifferenza. E così via. E’ proprio questa idea in voi radicata di dover catalogare, l’idea novecentesca dell’ANTOLOGIA che non riuscite a superare. Ormai le persone hanno tutti i mezzi e le possibilità di informarsi da soli, e sanno distinguere e scegliere. Non siamo più al tempo di 2 riviste di poesia e 4 collane nazionali con pubblicazioni feudali e giochi di potere che ci sono anche oggi ma in misura meno invasiva essendoci più possibilità di mostrare la propria opera. Che senso ha mappare con le solite liste della spesa di amici, sodali, fidanzati e sposi connessi? Io ti ogni autore so già con chi pubblicherà, chi lo recensirà, in quale quotidiano ecc. Sono un mago? No, basta sapere un po’ di vicende poetico-umane. E se è così che senso ha dare importanza a mappature e antologie? Ci sono case editrici “piccole” che stanno facendo un ottimo lavoro superando di gran lunga le collane storiche. Pensate alla Mondadori che anni ha ha voluto rinverdire lo Specchio proponendo Pellegatta, Posso, Bernini e compagnia. La collana è naufragata per mancanza di una senso progettuale nella proposta oltre che per la modestia degli autori scelti. O le scelte della Bianca: con le ultime uscite di De Alberti o Carnaroli che valgono decine di altri poeti viventi. Non sono più le collane o il feticcio carta a dare la patente di Poeta. E’ la propria vicenda umana e poetica vissuta nella verità, si spera, della propria vita. Non c’è più un funziona pubblica del poeta, già dai tempi della Rosselli che ebbe a dire. Ora se questa vicenda privata incontrerà per una qualche via qualche lettore allora ci sarà stata osmosi. Ma stare ancora qua a volere vivere in un regime feudale di critica, di mappe, di confronti con il passato, di padri e figli quando il web ha modificato l’approccio di ogni interazione umane. Sembrate come gli uomini della preistoria che viaggiano in auto ma poi vogliono accendere il fuoco strofinando legno. Siate almeno onesti in questi. E capirete che il Tempo si è dilatato e che ogni possibilità è con voi.
V’è una moda,
di questi tempi,
forse da Bukowski in poi,
di scrivere prosa, poco aulica
a volte persin banale,
dividerla in righe arbitrarie,
e chiamarla poesia.
Poesia è ciò che tocca il cuore, ciò che è detto senza esser detto, è lasciarsi trasportare in un ritmo. “eccoci al laghetto artificiale”? “fate un po’ voi il conto” ? chiamarla poesia mi pare un grosso equivoco.