di Wisława Szymborska (trad. di Linda Del Sarto)
[Esce in questi giorni in libreria per Adelphi Canzone nera, una raccolta di testi giovanili, scritti tra il 1944 e il 1948, di Wisława Szymborska (a cura di Andrea Ceccherelli, per la traduzione di Linda Del Sarto). Ne riprendiamo qui quattro testi].
PER QUALCOSA DI PIÙ
Per qualcosa di più
dell’impeto dei confini,
del fruscio delle bandiere,
– del Suo trionfo soldatesco, tracotante.
Per qualcosa di più
della rivincita dell’inno,
del senso dei destini,
– della Sua vendetta, rapida e sprezzante.
Per qualcosa di più
della Sua – festa.
Per qualcosa di più,
– per il Suo: Giorno Feriale.
… per il fumo dei camini,
per il libro estratto senza paura,
per una striscia di cielo limpido
lottiamo.
1944
*
I BAMBINI DI VARSAVIA
Là, nella più fervente delle nostre città,
sprofondano coi visi nel sangue rappreso
corpi bambini.
Primo gioco alla guerra – non per finta –
prima spavalda partenza.
Qualcuno mostra come. Prova. È una scemenza.
Sparare – è così facile. Non sbaglia il colpo.
Prima avventura. Autentica, da grandi.
Stringe una bottiglia di benzina, caparbio e accorto.
Ieri tre carri armati – oggi toccherà a un quarto.
Mani impazienti anticipano l’ordine.
– attraverso la città che cade a pezzi,
tra fiamme che nessuno riesce a domare,
armata di pugni chiusi, congelata nel grido,
avanza in una fitta, calda grandine di spari
la crociata dei ragazzini di strada.
Per gli occhi il ricordo fresco è un affanno,
ma le nostre mani ci credono, lo sanno.
Le mani, chiamate a reggere il peso del mondo,
lo sanno: il mondo rivivrà senza spettri di guerra,
per gli anni calpestati pagherà sino in fondo,
e credono in un nuovo ordine e ritmo.
… e forse anche per questo
ci strozza ogni momento
un perché, il più mesto,
un silente ma ha senso
– corpi di bambini caduti.
1944
*
CERCO LA PAROLA
Voglio definirli con un solo termine,
ma quale?
Prendo parole comuni, dai dizionari ne rubo qualcuna,
le misuro, le soppeso, le sondo:
nessuna
corrisponde.
Tutte le più audaci sono vigliacche,
tutte le più sprezzanti – ancora innocenti.
Tutte le più crudeli – troppo fiacche,
tutte le più odiose – poco ardenti.
Questa parola dev’essere un vulcano
che picchi, spezzi e abbatta
come terribile ira di Dio,
come odio che scotta.
Voglio una parola cruda
che sia impregnata di sangue,
che come le mura di un carcere
ogni fossa comune racchiuda.
Che descriva più precisa e chiara
chi erano loro – tutto ciò che è stato.
Perché ciò che sento dire,
ciò che se ne scrive –
non basta più.
Non è mai bastato.
La nostra lingua è impotente,
i suoi suoni, d’un tratto – poveri.
Cerco, sforzo la mente,
cerco questa parola –
ma non la trovo.
Non la trovo.
1945
*
PACE
Precederà i comunicati la gioiosa sirena dei cuori.
Più veloce della luce è la notizia,
più veloce della notizia la fede.
Nelle grida, nei discorsi, nei canti
parole tutte deludenti,
tranne una: finalmente.
Cieche fin qui le notti di città
lanceranno segnali al cielo –
su fino agli astri dell’immensità.
Il lutto strappato alle finestre
sarà calpestato dai passanti
che avanzano disposti in schiere.
Altri correranno fuori di casa
per porgere con una rapida stretta di mano
ai loro cari, a chiunque per strada,
la verità come una cosa –
che l’uomo ha portato alla terra
pace – non spada.
1945
[Immagine: Aaron Siskind, Chicago 42, 1952].