di Sergio Benvenuto
“È il mio compito essere vero, è quello del lettore essere giusto.”
J.J. Rousseau, Confessions (in Oeuvres complètes, Gallimard, 1959, p. 359).
«ll problema del movimento operaio è problema di libertà e non di uguaglianza sociale».
Piero Gobetti, La rivoluzione liberale, 1924
1.
Pare delinearsi un nuovo bipolarismo mondiale. Da una parte l’”Occidente”, con cui oggi intendiamo non solo Europa-America, ma anche Israele, Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Oceania. Dall’altra i paesi chiamati BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) a cui potrebbe aggiungersi l’Iran. Questo bipolarismo sta producendo la seconda Guerra Fredda. Putin avrebbe compiuto una scelta asiatica contro la storica tendenza russa all’Occidente. In effetti, quel che conta è il RIC (Russia, India, Cina). In questo scenario, isolandosi dall’Occidente, la Russia diventerebbe satellite della Cina.
Di fatto, chiamiamo “Occidente” – nel senso estensivo suddetto – i paesi con il PIL pro capite più alto al mondo (esclusi i ricchi paesi petroliferi arabi), i quali di solito sono retti da un sistema di democrazia pluralista liberale. Preciso che per “liberale” non intendo il liberismo, la dottrina secondo cui il mercato deve essere assolutamente libero senza controlli da parte dello stato. Intendo liberal nel senso americano, come sistema politico fondato sui diritti civili e sulla tutela della libertà delle minoranze. In effetti, fra i primi trenta paesi col PIL pro capite più alto al mondo, ben 25 sono “occidentali” in questo senso (i 5 non “occidentali” sono Qatar, Singapore, Emirati Arabi, Kuwait, Brunei, quindi, paesi petroliferi e una ex-colonia britannica[1]). L’”Occidente” conta meno della metà della popolazione del pianeta e questa quota tende a diminuire rispetto agli altri paesi, ma resta la parte più ricca, se consideriamo il PIL pro capite, e con la produttività più alta.
Unisce il “blocco BRICS” il fatto che si tratti di regimi autarchici, si dice. Si è imposto in questi ultimi tempi questo termine: non dittatura, autarchia. In realtà, queste autarchie sono regimi tra loro alquanto diversi.
In Cina vige un sistema neo-confuciano in cui una classe dirigente di anziani, nominalmente comunista, coopta i suoi membri su una base sostanzialmente meritocratica. Il potere in Cina funziona più o meno come il potere universitario da noi: gli anziani che formano l’Accademia cooptano i più giovani attraverso concorsi e altri modi di selezione delle loro capacità (quando non intervengono fattori extra-accademici…). Anche in Cina si è cooptati nell’élite governante sulla base del proprio curriculum, si parte dalla gavetta.
Ben diverso è il regime di Putin, che ha una base indubbiamente democratica. I russi hanno stravotato Putin, e tuttora gli danno ampio credito. Il putinismo è un prodotto della democrazia, non è un’interruzione improvvisa del processo democratico, come accadde col fascismo e col nazismo, anch’essi andati al potere grazie ad elezioni democratiche. Stesso discorso per l’India, la più grande democrazia del mondo per numero di abitanti: Narendra Modi, un fascista secondo i nostri criteri, è stato eletto dagli indiani. Un ragionamento analogo andrebbe fatto per Orbán in Ungheria: questi ha vinto elezioni leali, nessuno lo ha accusato seriamente di brogli elettorali.
Quanto al Brasile e al Sud Africa, si dà il caso che il primo abbia come presidente un fascista, Bolsonaro. Mentre il Sud Africa è retto dal 1994 sempre dallo stesso partito, l’African National Party. Si tratta di due paesi sostanzialmente democratici.
Che cosa unisce allora tutti questi paesi che trovano tra loro una sorta di sostanziale solidarietà, come abbiamo visto nel voto all’ONU del marzo 2022, nel quale tutti costoro non hanno condannato la Russia per l’invasione dell’Ucraina?
Non sono gli interessi economici a unirli, evidentemente. O comunque, non solo quelli. Economicamente parlando, alla Cina non conviene affatto schierarsi con la Russia sulla crisi ucraina, dato che gli scambi della Cina con i paesi occidentali sono dieci volte superiori a quelli che ha con la Russia. La verità è che nella storia non contano solo gli interessi economici, ma – affermazione che apparirà eretica a molti – la comunanza di valori. Sia a sinistra che a destra, sia col marxismo che con il liberismo, ha prevalso l’idea che alla fin fine quel che decide nella storia è l’economia. Non è affatto così.
Mussolini fece la guerra con Hitler, e non con la Francia e la Gran Bretagna (come avrebbero preferito altri fascisti), non perché l’alleanza con la Germania fosse più vantaggiosa per l’Italia dell’alleanza con Francia e UK, ma per una sorta di affinità elettiva ideologica. Fascismo e nazismo avevano narrazioni molto simili, perciò Mussolini era affascinato dalla personalità dispotica di Hitler. Quindi, tra i paesi BRICS sembra fare da collante una sorta di affinità narrativa, e questa – come abbiamo visto – non è la mancanza di democrazia.
Insomma, la Realpolitik non è poi così real come sembrerebbe. Non sono solo comuni interessi territoriali o economici a unire i paesi tra loro in alleanze, ma anche una comunità “filosofica” di fondo. La cultura e la politica occidentali si dovrebbero rassegnare ad accettare questa verità: che la politica è anche, sempre, una questione di valori. Anche se spesso si tratta di valori aberranti, come razzismo, fascismo, nazionalismo, ecc. Quella che chiamiamo Realpolitik consiste quindi, paradossalmente, nel riconoscere che conta molto la Imaginärpolitik, la politica immaginaria. È solo quando riconosciamo che l’altro non vive di solo pane ma anche di valori (ovvero, spesso, di deliri) che possiamo difendere meglio anche il nostro pane.
Vittorio Gassmann diceva “le ideologie contano perché ci sono sempre dei pazzi che le prendono sul serio”. Possiamo dire che gli esseri umani sono in larga parte dei pazzi.
2.
Quel che unisce veramente i paesi BRICS – e i loro estimatori occidentali – è ciò che Putin ha chiamato illiberalità. Ha teorizzato una vera e propria “democrazia illiberale”. Per illiberale intende il rovescio del liberal in senso americano: mancanza di diritti civili. Innanzi tutto, mancanza dei diritti degli omosessuali.
Il patriarca di Mosca Kirill, quando ha sostenuto pubblicamente l’aggressione all’Ucraina, ha detto che quel paese non è più una nazione cristiana perché permette il Gay Pride. “Illiberale”, nell’immaginario collettivo di questi paesi, è soprattutto non consentire orientamenti sessuali diversi da quelli eterosessuali. Come per tantissimi islamici “essere infedeli” significa soprattutto dare troppa libertà alle donne, il resto sembra loro secondario. C’è qualcosa di fondamentalmente sessuale nella divisione del mondo in blocchi?
Anche in “Occidente” diventano sempre più forti movimenti politici che simpatizzano con la democrazia illiberale. Di solito essi si situano all’estrema destra – Trump, i Brexiters in UK, Le Pen in Francia, Salvini e Meloni in Italia, l’AfD in Germania, Vox in Spagna, ecc. Da dieci anni avanza l’estrema destra in questi paesi. Trump è un ammiratore di Putin, anche qui per una sorta di affinità elettiva che va ben oltre la logica geopolitica. Una parte di quello che ho chiamato “Occidente” potrebbe finire con lo schierarsi con i BRICS. Anche se quel che tiene uniti i BRICS – e gli altri paesi che vi aderiranno – è proprio l’ostilità contro l’”Occidente” perché troppo ricco e potente.
Quanto all’estrema sinistra occidentale, liberal-democratica anche se nega di esserlo, essa non ha simpatia per la democrazia illiberale di Putin o di Orbán o di Erdogan. Ma spesso prevale l’odio per il sistema “occidentale”, per cui di fatto – anche se non di discorso – essa finisce col parteggiare con i BRICS. Molta estrema sinistra “pacifista” si dichiara così neutra rispetto alla guerra in Ucraina, “né con Putin né con la NATO” (anche se la NATO non partecipa alla guerra). Una neutralità che de facto premia Putin.
In senso più largo, illiberalità significa mancanza di diritti. Mancanza di diritti delle minoranze etniche, razziali, religiose, linguistiche. Mancanza del diritto delle opposizioni politiche a esprimersi e a concorrere alle elezioni in condizioni di relativa par condicio. Mancanza del diritto alla libera espressione attraverso i media. La garanzia dei diritti è il modo in cui si esprime un sistema pluralista, che ammetta una pluralità di idee politiche, di stili artistici, di orientamenti sessuali, di lingue e culture. Lo si chiama anche modello di “società aperta”, ma l’apertura implica un sistema di tutela dei diritti. Russia e India sono democrazie, ma limitano in modo grave i diritti, quindi sono illiberali. È l’illiberalità, non la mancanza di democrazia, l’affinità elettiva tra tutti questi paesi che si oppongono in vari modi all’”Occidente”, anche quando ne hanno bisogno economicamente.
3.
Non credo sia pertinente la critica filosofica al “liberalismo” – oggi quasi di routine – inteso come visione che considera gli individui come soggetti ultimi dei “diritti”. A questa visione si contrappone un’altra secondo cui gli individui sono invece il prodotto di norme e valori sociali, collettivi. Penso che la contrapposizione tra individualisti e collettivisti sia una delle trappole metafisiche a cui sarebbe ora di sottrarsi. Quando parlo di liberalismo dei diritti, non mi riferisco solo a individui, ma, come ho detto, anche a gruppi (minoranze etniche, religiose, politiche, ecc.). Ci sono anche diritti dei libri, dei film, delle teorie… Ogni libro ha il diritto di essere letto da chi vuol leggerlo, ogni film a essere visto, ogni teoria a essere espressa.
Si dice che il liberalismo è contraddittorio perché è a un tempo individualista e universalista. Individualista perché parte dal presupposto che ogni individuo ha la libertà di costruirsi il proprio progetto di “buona vita”, nessuno può dirgli dall’alto – di un trono o di un altare – che cosa è per lui buona vita. D’altra parte però è per l’universalità dei diritti umani. Il liberalismo sarebbe non meno universalista, e quindi totalitario, del cristianesimo, dell’Islam e del socialismo. Da qui la tendenza di molti paesi liberali – in particolare degli Stati Uniti – a esportare la liberal-democrazia nel mondo, dando avvio a vere e proprie crociate – come fu prima in Vietnam del Sud, poi in Afghanistan dal 2002 al 2021, in Iraq nel 2003, in Libia nel 2011, ecc. Il progetto di alcuni paesi di esportare la democrazia liberale in tutto il mondo viene tacciato da John J. Mearsheimer di La grande illusione, a cui contrapporre un progetto di “liberalismo in un paese solo”. Ci possono essere liberalismi democratici non “imperialisti”, che riconoscono i regimi degli altri paesi, anche se si tratta di tirannie[2].
D’altro canto, come abbiamo visto, il liberalismo non è necessariamente individualista. Quel che conta per esso è la tutela delle differenze. Una differenza può essere portata da un individuo ma anche da un gruppo, religioso etnico o linguistico. Il liberalismo può e deve accettare l’esistenza di un sotto-gruppo che, mettiamo, segua il costume per cui ciascuno si deve suicidare a 50 anni. Ma se una persona in questo sotto-gruppo si rifiuta di suicidarsi, uno stato liberale deve garantirgli che non venga obbligata al suicidio. Il liberalismo non cancella le Gemeinschäften, le comunità, ne limita solo il potere, rendendo possibile l’esprimersi di differenze al loro interno. Il liberalismo non è “individualista” ma “differenzialista”.
4.
Per questa ragione trovo ambigue tutte le teorie che fanno appello genericamente alla democrazia. Secondo me il nome “Partito democratico” che si è scelto il maggior partito della sinistra italiana è fuorviante. Non basta affatto essere democratici! Del resto, molti paesi del socialismo reale si dicevano democratici, la Repubblica comunista tedesca si chiamava Deutsche Demokratische Republik. I comunisti si sono sempre proclamati democratici. I putinisti di oggi si dicono democratici.
Che non basti affatto dirsi democratici è confermato dai sondaggi nella popolazione dei paesi liberal-democratici: questi sembrano mostrare che la maggior parte delle persone accettano la democrazia, ma la accetta anche chi si dichiara anti-sistema, dove il sistema è quello democratico liberale vigente. Ora, come nota giustamente Giovanni Orsina, “dato che la democrazia è il sistema, come può qualcuno essere allo stesso tempo pro-democratico e anti-sistema?” Sembra che si tratti qui di una mera faccenda definitoria, “che cosa intendiamo per democrazia?” La verità è che molti per democrazia intendono “democrazia liberale” e altri invece democrazia senza altri appellativi. Per costoro ‘democrazia’ significa semplicemente far votare l’intera popolazione. E questo non basta per essere parte dell’”Occidente”.
Il punto è che la democrazia rischia sempre di risolversi in una dittatura delle maggioranze sulle minoranze, come la storia ci insegna. Per esempio, per oltre un secolo gli Stati del Sud degli Stati Uniti hanno esercitato democraticamente la schiavizzazione della minoranza afroamericana. Capisco che l’83% dei russi sostenga l’operazione Z in Ucraina (sondaggi dell’aprile 2022), ma quel che mi interessa è la libertà di esprimersi di quel 17% o poco meno che non la sostiene; e sappiamo che questa libertà oggi in Russia non è garantita.
Mettiamo che grazie a un’ondata di antisemitismo gli italiani mandino al governo un partito che abbia nel programma lo sterminio degli ebrei italiani. Se questo partito sterminasse gli ebrei, potrebbe dire senza poter essere smentito che si tratta di una scelta democratica.
Yascha Mounk ha parlato di “liberalismo non-democratico”: è quando certe istituzioni potenti impongono diritti liberali contro il parere della maggioranza dei cittadini. Per esempio, per decenni i sondaggi mostravano che l’opinione pubblica italiana era in maggioranza per l’introduzione della pena di morte in Italia, ma la quasi-totalità dei partiti politici era contro la pena di morte. Per questa ragione la pena capitale non è mai stata introdotta in Italia. È quando viene a crearsi una non-sintonia – suol dirsi – tra la massa degli elettori e le élite politiche. In tantissimi casi, secondo me una certa sordità delle élites alla massa è una benedizione. Un certo liberalismo non-democratico è reso possibile negli USA dal sistema di checks and balances, tutti quei poteri che compensano e correggono scelte democratiche illiberali; un sistema che in gran parte ha vanificato certe riforme illiberali di Trump, per esempio.
5.
Spesso si dice che la democrazia è una condizione per la pace, dato che finora le democrazie non si sono fatte la guerra. Alcuni (come Graham Allison, Destinati alla guerra, Corriere della Sera, 2022) fanno notare che non è vero.
La prima grande eccezione è la civil war americana (1861-1865): sia l’Unione nel Nord che la Confederazione del Sud erano democrazie, anzi, Lincoln durante la guerra sospese una serie di garanzie democratiche, cosa che la Confederazione non fece. Le due guerre anglo-boere (1880-1881 e 1899-1902) videro confrontarsi democrazie, quella britannica contro le repubbliche boere. E così la guerra americani versus spagnoli per Cuba nel 1898. Guerra in parte tra democrazie fu la prima guerra mondiale (1914-1918), dato che gli imperi tedesco e austro-ungarico erano indirizzati verso un processo democratico (mentre nella Russia alleata di Francia e Gran Bretagna c’era il dispotismo zarista). Infine, possiamo considerare guerre tra democrazie le quattro guerre indo-pachistane dopo il 1947 (più gli scontri ripetuti per il Kashmir).
In effetti, queste furono guerre tra democrazie, ma non tutte erano democrazie liberali. La Confederazione degli stati americani del Sud era schiavista, e la schiavitù certamente non è liberale: fu quindi una guerra tra una democrazia liberale contro una democrazia illiberale. Anche le Repubbliche boere (essenzialmente la Repubblica sud-africana, il libero stato di Orange, repubblica di Natalia, Transvaal, ecc.) legalizzavano la schiavitù della popolazione nera, e lo stato era dominato dalla Chiesa Riformata olandese e da alcune altre chiese calviniste, insomma, altre chiese non erano permesse. Gli stati boeri erano illiberali.
Quanto alla guerra di Cuba del 1898, non me la sento di considerare la monarchia spagnola dell’epoca una democrazia liberale. La monarchia era stata restaurata da pronunciamentos militari ed erano ammessi solo due partiti dinastici, liberale e conservatore. Anzi, fu proprio il disastro del 1898 a creare in Spagna una serie di sommovimenti democratici, di sinistra e di destra, che vennero repressi nel sangue.
Quanto alle quattro guerre indo-pakistane (del 1947-8, del 1965, del 1971, del 1984), avrei qualche perplessità a considerare il Pakistan (creato nel 1947) di allora come uno stato liberal-democratico a pieno titolo. Ha visto una serie di colpi di stato, epoche in cui vigeva la legge marziale (1958-1962), omicidi politici (tra cui quello di Benazir Bhutto nel 2007). Il Pakistan, più dell’India, ha vissuto una forte instabilità democratica.
In conclusione, la sola guerra che ha visto davvero confrontarsi delle democrazie liberali è la prima guerra mondiale, il che non è poco. Ma risale a più di un secolo fa. Di fatto, un secolo di non-guerre tra democrazie liberali è già di per sé un fatto notevole.
Ma è vero che nessuna legge garantisce che delle democrazie liberali non si faranno mai la guerra. Diciamo solo che in un insieme di democrazie liberali la guerra tende a essere rara, ovvero, il pericolo di guerra è ridotto. Cosa che resta comunque tutta da spiegare.
6.
Trovo significativo un certo disprezzo di pensatori marxisti, o eredi del marxismo, nei confronti della “politica dei diritti dell’uomo”. C’è il vecchio riflesso secondo cui appellarsi ai “diritti dell’uomo” è ideologia borghese. Ma questo perché alla base di molto marxismo c’è l’idea olista, in fondo totalitaria, secondo cui quel che conta è “la volontà generale” in senso rousseauiano, ovvero una Volontà indivisibile che non si cura delle differenze, del dissenso delle minoranze, di individui non conformi… Che, insomma, occorra obbligare i cittadini a essere liberi… L’ideale sono i plebisciti e quelle che in Italia si chiamano “maggioranze bulgare”, schiaccianti maggioranze rispetto a cui ogni minoranza appare un capriccio, una patologia o una eccentricità trascurabile o pericolosa.
Quel che importa quindi, oltre alla democrazia, sono certi limiti da stabilire alla democrazia, in nome della libertà di chi si trova in minoranza. Come porli? E sarebbero veramente efficaci? Non lo so, ma questi limiti sarebbero comunque liberali: in sostanza diritti delle minoranze. E diritti delle donne, tenute storicamente sempre in una posizione minore, minorile. E diritti anche di coloro che non godono di tutti i diritti civili, come i minorenni e i condannati per reati. Diritti, insomma, di soggetti plurali.
Non c’è nulla di più pericoloso che sventolare la bandiera di una democrazia pura, che può risolversi nel fascismo. Bisognerebbe rileggere le critiche degli antichi filosofi (tra cui Platone) alla democrazia come culla della tirannia. La democrazia andrebbe vincolata da un ferreo sistema di diritti che chiamo liberale in senso lato. È quel che molti vogliono fare oggi in Francia, dopo lo shock della sentenza della Supreme Court americana che abroga il diritto delle donne di abortire in tutti gli States[3]: introdurre il diritto all’IVG nella Costituzione francese stessa. Personalmente però penso che non basti, anche le Costituzioni possono essere cambiate a furor di popolo. Quando principi liberali e principi democratici si scontrano, sono sempre i primi (purtroppo, secondo me) a cedere.
Il punto è infatti: chi garantirà il rispetto di questi diritti? Non può essere la democrazia stessa, dato che invece queste garanzie servono a limitarne il potere. Credo che questo sia il vero grande problema dell’”Occidente” oggi. A meno che non opti anch’esso per le democrazie illiberali, come sempre più persone vogliono.
7.
Infine, qualcuno potrà chiedermi: come fondi questa tua opzione per la democrazia liberale o dei diritti? Come dimostrare che questo sistema politico è il migliore? E che cosa significa migliore? Il sistema voluto dalla divinità, il sistema più “naturale” alla specie umana, il sistema che rende più felice la maggior parte degli esseri umani, il sistema che rende ciascuno più libero?… Non credo che la riflessione filosofica possa fondare un sistema politico.
Preferisco la democrazia liberale perché è il sistema che preferisco io. Ma capisco anche che molti altri esseri umani si trovino maggiormente a loro agio in sistemi del tutto diversi: in teocrazie fanatiche, in sistemi totalitari, in società militarizzate e bellicose, nell’egualitarismo imposto, ecc. Ho conosciuto tanti russi anziani che avevano nostalgia dello stalinismo (anche perché all’epoca erano giovani), tanti italiani che rimpiangevano il fascismo… Non è vero che tutti gli esseri umani vogliano al fondo le stesse cose. E già secoli fa Etienne de la Boétie (Discours de la servitude volontaire) aveva capito che molti desiderano essere asserviti ad altri, anziché essere liberi. Insomma, non ho argomentazioni forti per sostenere la validità della mia opzione. E so che la mia preferenza per la democrazia liberale (non socialista[4]) è frutto della mia storia peculiare, familiare, personale, nazionale, frutto di chi mi ha formato e degli ambienti che ho frequentato… Non ho argomenti che pretendano a una validità universale.
Eppure credo che si possano creare opere persuasive le quali illustrino come vivere in una società non solo democratica ma che metta al primo posto il pluralismo, sia più bello, più interessante, più compassionevole, che vivere in altri sistemi. Occorre testimoniare il proprio benessere in una democrazia liberale che tuteli i più deboli, sperando che altri lo condividano. Dopo tutto le filosofie, anche quando molto sofisticate e rigorose, sono propagande di forme di vita.
[1] Singapore fu sotto il controllo coloniale britannico dal 1819 al 1959.
[2] Ovviamente anche i paesi occidentali hanno una Realpolitik, per cui si alleano spesso con paesi antidemocratici e illiberali, come l’Arabia Saudita per esempio. Ma l’errore consiste nel credere che la politica estera dell’”Occidente” si basi tutta sulla Realpolitik, e non su questa premessa valoriale di dfiffondere la democrazia liberale.
[3] Intendo che gli stati sono liberi di proibire l’aborto, se questa è la loro scelta.
[4] Personalmente non credo nel socialismo, non credo cioè che esso possa essere applicato senza ledere o la democrazia, o il liberalismo, o entrambe le cose. Ciò non toglie che molte istanze socialiste – in particolare, l’emancipazione dei ceti più deboli – siano del tutto positive, e che possano essere integrate profondamente in una democrazia liberale.
Chiacchiere, colte e sentite quanto si vuole, ma pur sempre chiacchiere.
Nessuno è mai riuscito a costruire una società diversa, ma nemmeno vivibile.
Ne ho la testa piena. I più furbi della mia generazione oggi sono classe dirigente.
Esaustivo. Che ogni singola espressione venga rispettata, infine.
“C’è qualcosa di fondamentalmente sessuale nella divisione del mondo in blocchi?”
Sì.
“Individualista perché parte dal presupposto che ogni individuo ha la libertà di costruirsi il proprio progetto di “buona vita”, nessuno può dirgli dall’alto – di un trono o di un altare – che cosa è per lui buona vita.” Questo è il vero punto della democrazia liberale. L’idea di esportarla è in parte ingenua. In fin dei conti l’Occidente ci ha messo circa cinque secoli ad arrivarci, più naturalmente il fondamentale pregresso ellenico-romano. Difficile pensare che, pur con i ritmi attuali estremamente velocizzati, là dove tutto il processo non c’è stato la democratizzazione liberale si possa fare in cinquant’anni o un secolo.
Ma ci arriveranno. Se il pianeta regge ci arriveranno.
Grazie dell’articolo, chiarissimo e esaustivo, per me condivisibile in tutto.
Perché la Germania del 1914 fosse meno democratica del Regno Unito, che ancora oggi ha una camera ereditaria, mi sfugge. E la guerra gli Stati Uniti l’hanno fatta di maniera indiretta all’elettissimo Allende. Certo, se le democrazie sono 5 (manco la Spagna), la possibilità di farsi la guerra diminuiscono, specie se 4 stanno in un Europa sconfitta e sotto ombrello americano i cui le nazioni non hanno certo la libertà di dichiararsi la guerra. I boomer del PD ormai hanno perso la testa per gli Stati Uniti e volano sulla realtà senza mai toccarla.