di Sergio Benvenuto
[Riceviamo e pubblichiamo questa riflessione di Sergio Benvenuto sull’astensionismo, in risposta a un articolo di Recalcati, augurandoci – ormai dopo le elezioni – un dibattito. Oppure una smentita].
Nell’articolo L’evaporazione della politica («La Repubblica», 20-IX-2022) Massimo Recalcati elenca varie ragioni della scelta astensionista tra gli elettori. Su questo elenco tutti possiamo essere d’accordo. Vorrei fare qualche commento sulla sola ragione per la quale Recalcati evoca un concetto psicoanalitico, quello lacaniano di debito simbolico.
Egli denuncia una sorta di “individualismo ipermoderno” che nega ogni forma di debito simbolico – in questo caso, il nostro debito verso tutti coloro che si sono sacrificati o sono morti per metterci di vivere in una democrazia liberale. Questo individualismo dà valore solo al proprio io e ai suoi interessi egoistici. In effetti, secondo un approccio oggi diffuso in psicoanalisi, il narcisismo egoista dilagherebbe e quindi non ci sarebbe più posto per il kantiano imperativo categorico, ovvero per il puro dovere senza se e senza ma. “Devo andare a votare” è un puro dovere, anche se il mio voto tra milioni è solo una goccia nel mare. Questa “cultura del narcisismo” – come la chiamava Christopher Lasch negli anni 1970 – renderebbe tra l’altro problematica la sopravvivenza della psicoanalisi.
In realtà, in ogni epoca ci sono stati moralisti, pensatori, scrittori, saggisti che hanno denunciato il proprio tempo in quanto avrebbe perso il senso dei valori. Il proprio tempo è visto come impregnato da vari vizi, e si esprime una nostalgia, esplicita o implicita, per il buon tempo che fu. Oggi suol dirsi “siamo in epoca di decadenza, da basso impero”. Mi chiedo però se ogni epoca non sia stata individualista e cinica, solo che ogni epoca lo è diversamente dall’altra. Basta leggere i grandi scrittori del passato che hanno denunciato i vizi diffusi nella propria società, “mala tempora currunt”.
Si dirà che in certe epoche hanno preso il sopravvento movimenti, al contrario, spiritualisti o religiosi, comunque con valori forti. Penso ai secoli di ascesa del cristianesimo nell’impero romano e, più di recente, all’imporsi della morale staliniana in URSS e poi in Cina con il maoismo. Ma sarebbe un errore pensare che l’austerità cristiana prima e quella comunista poi abbiano reagito a una rilassatezza generalizzata dei costumi. I valori romani pagani, basati sulla virtus guerriera, erano non meno perentori di quelli cristiani, anche se in altro modo. Il mondo agrario sia russo che cinese precedente le rivoluzioni socialiste aveva le sue norme rigide, costumi severi. D’altro canto, dubito che il cristianesimo prima e il socialismo poi abbiano estirpato le pulsioni egoistiche che, come Freud ci insegna, sono strutturanti la psiche non meno delle pulsioni sessuali e dei rigori super-egoici.
Le classi più derelitte, per esempio, hanno sempre esibito un cinismo di fondo di cui molti scrittori si sono fatti testimoni, sin dal teatro antico. Un solo esempio, quello di don Milani in Lettera a una professoressa. Egli nota che il messaggio fondamentale che i genitori poveri di Barbiana, zona marginale della Toscana, danno ai figli è questo: “Pensa solo al tuo tornaconto. Non preoccuparti degli altri”. Ma don Milani nota che questo messaggio è contraddittorio: i genitori che danno questi consigli ai figli hanno fatto figli… hanno deciso di occuparsi del bene di altri. In fondo, dice don Milani, tutti siamo molto più altruisti di quanto non vorremmo far credere a noi stessi. Prova ne sia che gente anche umile che sembra interessata solo alla pagnotta quotidiana poi, venuto il momento, è capace di grandi gesti di abnegazione, di un impegno anche fanatico per una Causa sorta magari dal nulla. E’ il tipo di conversione che Rossellini ben descrisse in Il generale della Rovere (da un racconto di Indro Montanelli).
L’”uomo qualunque” diventa un eroe, o viceversa. Non è un caso del resto se gli elettori del movimento dell’Uomo Qualunque nel primo Dopoguerra (inventato da Guglielmo Giannini), che ufficialmente rivendicavano gli interessi privati contro la logica comunitaria della Politica, confluirono nel partito neo-fascista, ovvero in un movimento di valori forti, anche se deplorevoli. L’essere umano, pur così egoista, è affamato di valori.
Il debito simbolico di cui parla Recalcati non è cosciente, non consiste nel dirsi “devo essere grato agli antenati che mi fanno vivere in una società ricca e libera”, ma in qualcosa di inconscio. E’ un debito che noi stessi ignoriamo, e che fa sì che ci mettiamo spesso in un mare di guai proprio per pagare quel debito misterioso che a noi si impone come un incidente.
Insomma, ogni epoca è basso impero. Ma ogni epoca, per altri versi, è tesa altruisticamente al futuro. Se non fossimo tesi altruisticamente non ci riprodurremmo. Del resto, fino a che punto certi desideri sono egoistici o altruistici? Se passiamo la vita ad accumulare danaro, lo facciamo per noi o per i nostri figli? Se sono un filosofo che vuol diventare famoso, è perché desidero diventare popolare io oppure voglio che lo diventi la verità di cui mi faccio portavoce? C’è sempre un lato trascendente nell’egoismo, come c’è sempre un lato egoista nell’idealismo sociale. Forse per questa ragione gran parte degli esseri umani dicono di credere in qualcosa di divino. E ben sappiamo che questa forza che ci spinge verso il sacro non ci impedisce affatto, per altri versi, di essere egoisti, di cercare di godere, di perseguire vanità narcisistiche.
La domanda pertinente è allora: “perché in reazione a un certo crollo della fiducia nella politica molte persone si rifugiano in un egoismo disimpegnato?” Insomma, non è il narcisismo crescente tra gli individui che produce una sfiducia nella politica, ma è la sfiducia nella politica che produce forme di egocentrismo più o meno esibite. L’individualismo che sembra caratterizzare le nostre società iper-tecnologiche è più un effetto che una causa – effetto del disincanto democratico.
Mi si conceda un ricordo personale. Mio padre, nato nel 1916, è sempre stato inflessibilmente anti-fascista, e di idee socialiste. Ha passato quindi la sua gioventù, fino a 27 anni, sotto il fascismo. E’ sempre stato convinto che il fascismo sarebbe caduto, ma questa certezza lo portava a rimandare molti dei suoi impegni per la vita. Dopo la fine di Mussolini, diceva, tutto sarebbe stato bello e buono, più facile, più degno, meglio aspettare quindi la sua caduta. Quando poi subentrò la democrazia, si rese conto che i problemi erano giusto cominciati… E non solo perché il fascismo, cacciato dalla porta, tendeva sempre a rientrare dalla finestra, come ben sapremo dopo il 25 settembre. Ma perché la democrazia non risolveva alcuni dei problemi di fondo che costituiscono quel che Freud chiamava das Unbehagen in der Kultur, il disagio nel vivere sociale. La democrazia non era la panacea dei mali umani.
La democrazia realizzata porta al disincanto. Ora, la massa è così rabbiosa, e anche astensionista, perché è disincantata. Le si è fatto credere che la politica poteva cambiare radicalmente il mondo, ma il mondo è più forte della politica. Come diceva Luhmann, “tutto può essere diverso da come è ma non puoi fare nulla per cambiarlo”. La massa è delusa perché prima, un po’ come mio padre, si era illusa: che la libertà e la democrazia ci avrebbero dato quella soddisfazione che vediamo come fine del nostro vivere. Ma basta che qualche nuova utopia, politica o non, spunti fuori, e vedremo questa massa di disincantati convertirsi in perfetti militanti. L’essere umano ha un disperato bisogno di credere, non gli basta né il pane né il narcisismo. E la fede è sempre fede in un sogno. Lo stesso narcisismo si nutre di fede.
Forse la massa degli astensionisti aspetta un nuovo Führer, di sinistra o di destra, Stalin o Mussolini, Perón o Putin. Per ora, sembra preferire uno di destra. Per cui se gli astensionisti smetteranno di astenersi, è probabile che votino per Meloni. Dopo tutto, la destra oggi esprime valori più forti della sinistra: la patria, la famiglia tradizionale, l’esercito… Dio. L’uomo qualunque muore dalla voglia di essere paladino di… Forse, talvolta, è meglio che resti uomo qualunque.
Può darsi che l’autore di queste riflessioni esprima una buona parte di verità. Esiste però un problema che non viene analizzato profondamente come dovrebbe. Si chiama Analfabetismo Funzionale. Si tratta dell’incapacità di interpretare un testo. Penso sia pure incapacità di capire le proposte politiche. Che magari parte dall’incapacità di capire la complessità della situazione politica e aver quindi bisogno di semplificazioni. Non penso che ci possa essere una soluzione a tempi brevi per un simile problema. Sicuramente io non la conosco. Penso sia un problema complesso di cultura, educazione e istruzione che va affrontato in tempi lunghi. Ma va affrontato.
L’astensionismo e’ tutt’altro che egoismo. È la giusta e sacrosanta sfiducia nelle classi dirigenti.
Nessuno – dico “nessuno” – agisce per il bene comune. Nessuno difende la povera gente.
Oggi trionfa il pensiero unico neoliberista. Tutte le formazioni politiche sono liberali.
Dove e’ finita la democrazia, se l’unico modello che ci viene imposto e’ quello americano?
Per quello che mi riguarda, il 25 di settembre tutto farò fuorché andare a votare.
Ne ho la testa piena. A cominciare da quelli della mia età, che nel ‘68 andavano in giro a spaccare suppellettili ed oggi fanno i ministri. Costoro non sono degni nemmeno d’essere insultati.
Sì, è meglio
In quanto intellettuale-guru del momento ( ma siamo già alla ricerca del prossimo) Recalcati è costretto a dire qualcosa su tutto e fa quel che può, in questo modo contribuendo al “concettualismo degradato di massa” a suo tempo denunciato da Raffaele La Capria. Fosse vivo Severino direbbe che non andare a votare è impossibile perché di fatto equivale ad andare a votare: e che vinca chi vuole alla fine governa sempre Parmenide. In realtà si può legittimamente pensare di astenersi, per esempio per opporsi a una legge elettorale indecente, e tutti i lacanismi del caso vanno tranquillamente a gambe all’aria.
Se l’autore dell’articolo si fosse astenuto dall’esprimere l’equazione destra=fascismo di ritorno, sarebbe stato un bel pezzo per una riflessione. Per una questione di metodo si affronta un problema alla volta. E il problema centrale, a me pare, sia l’astensionismo; e nell’articolo sono condivisibili: a. che è la sfiducia nella politica a creare l’astensionismo: perché dovrei andare a votare se il mio rappresentante in Parlamento lo decidono nelle segrete stanze, per poi impormelo?
b. che la militanza e la mobilitazione potrebbero ritornare se appaiono una nuova utopia, un nuovo leader che la rappresenti e il diritto all’elettore di scrivere il nome del parlamentare (modalità di avvicinare concretamente l’eletto dall’elettore)