di Stefano Ercolino e Massimo Fusillo

 

[E’ appena uscito per Bompiani Empatia negativa. Il punto di vista del male, di Stefano Ercolino e Massimo Fusillo. Anticipiamo un estratto dell’introduzione e del primo capitolo del libro, che domani alle 17.30 sarà presentato a Firenze, presso il Gabinetto Vieusseux].

 

Perché l’empatia negativa

 

Medea, Macbeth, il carnefice di san Matteo dipinto da Caravaggio, Don Giovanni, Nikolaj Stavrogin, Humbert Humbert, i corpi cosparsi di sangue e crocefissi nel Teatro delle Orge e dei Misteri di Nitsch, Diabolik, i silenzi spettrali in hungrige sterne di Lang, le scene di violenta sottomissione fotografate da Mapplethorpe in X Portfolio, le lastre di vetro infrante ai piedi della Torre dei Quadri Cadenti di Kiefer, Maximilien Aue, Walter White, la comunità di bambini nel Nastro bianco di Haneke, l’Arthur Fleck (Joker) folle e derelitto di Phillips: la storia delle arti è ricca di personaggi, figure, performance, oggetti, composizioni musicali e spazi connotati negativamente, o che evocano una violenza primaria, con cui lettori, spettatori e visitatori stabiliscono un particolare tipo di relazione empatica, ambivalente e destabilizzante, fatta di attrazione e di repulsione allo stesso tempo. Prendendo spunto da un’idea a lungo negletta di Theodor Lipps, uno dei padri fondatori del dibattito contemporaneo sull’empatia in filosofia e in psicologia, chiameremo questa relazione empatia negativa, e penseremo a essa come a una particolare esperienza estetica che testa i limiti della capacità di posizionamento etico del fruitore dell’opera d’arte, e le possibilità dell’arte stessa di catalizzare una riflessione morale sul destino della collettività.

 

Dopo decenni di consenso, sia nella comunità accademica sia nel dibattito pubblico, sul valore cognitivo e prosociale dell’empatia, la forza conoscitiva e la valenza etica di quest’ultima sono state recentemente messe in discussione da più parti. In Contro l’empatia, Paul Bloom ha denunciato i pericoli dell’empatia se utilizzata quale criterio per compiere scelte giuste e razionali; nell’ambito dei Trauma e dei Perpetrator Studies, si valutano, invece, con preoccupazione i rischi etici intrinseci a forme di empatia ingenua e non mediata nello studio del discorso tanto delle vittime, quanto dei colpevoli di omicidi di massa, o di violenza politica. Il nostro lavoro si inserisce all’interno di questa new wave di riflessione critica sull’empatia, tesa a rilevarne i limiti. Tuttavia, anziché screditare o rigettare la nozione di empatia, noi ci occuperemo di una sua espressione specifica, l’empatia negativa, appunto, nel tentativo di pervenire a una comprensione più ampia e più sfumata dei fenomeni empatici, e di mostrare come quella di empatia in generale rimanga una nozione cruciale per l’estetica e per le Humanities.

 

Sosteneva George Bataille che “se la letteratura si allontana dal male, diventa subito noiosa.” Al di là dell’intento apertamente provocatorio, oltre sessant’anni fa Bataille assumeva una posizione che oggi difficilmente troverebbe molti consensi nei circoli accademici e negli orientamenti culturali mainstream, dove non è affatto raro che l’arte venga decontestualizzata e presentificata, mentre si cerca di trasformarla in un discorso più o meno edificante al servizio di categoriche e manichee agende internazionali del bene comune, convintamente o timorosamente condivise da intellettuali di ogni tipo. In tal modo, si tende spesso ormai a imbrigliare o a rimuovere la forza destabilizzante che l’arte da sempre possiede, e che si dispiega con grande intensità nel momento in cui essa si misura con la necessità di rappresentare una negatività radicale; intensità tanto maggiore, quanto più ravvicinato e coinvolgente è il corpo a corpo che il fruitore è chiamato a ingaggiare con l’opera d’arte.

 

Quale categoria più adatta di quella dell’empatia negativa, dunque, per ricollocare al centro del dibattito critico, teorico ed estetico la questione del potere tellurico, sovversivo, antigerarchico e, insieme, sublimante e catartico dell’arte? Nel nostro libro ci confronteremo costantemente con tale problema, e lo faremo in maniera intellettualmente libera, senza tabù di sorta, esaminando l’esperienza estetica dell’empatia negativa dall’antichità ai nostri giorni in un’ottica intermediale, spaziando dalla letteratura al teatro, dal melodramma alla performance, dalla pittura alla fotografia, dalle installazioni al cinema e alla televisione, con l’intento di definire la funzione e il profondo radicamento dell’empatia negativa nell’immaginario polimorfico e transmediale della cultura occidentale.

 

[…]

 

All’inizio del XX secolo, mentre Lipps perfezionava la sua concezione dell’empatia, Sigmund Freud aggiungeva un tassello importante alla ridefinizione della nozione aristotelica di catarsi. In “Personaggi psicopatici sulla scena” e in “Il poeta e la fantasia”, Freud mette in relazione il piacere estetico derivante dall’identificazione con un personaggio letterario non solo con una catarsi che ha luogo nello spazio sicuro della fruizione dell’opera d’arte, ma anche con un lavoro poietico compiuto dalla nostra mente. I lettori di romanzi, così come gli spettatori a teatro (o al cinema), possono liberare emozioni negative o pulsioni aggressive represse, perché autodistruttive o socialmente inaccettabili, empatizzando con personaggi che soffrono. Ciò consente il raggiungimento di un piacere sprigionato “da fonti psichiche più profonde”, e cioè dal ritorno del represso e del superato – due esperienze fondamentalmente regressive, – così come il risveglio di credenze e desideri tipici del gioco infantile. La natura regressiva dell’identificazione con i personaggi è infatti spesso molto marcata nel caso dell’identificazione con personaggi negativi. Questo accade, per esempio, nell’episodio della confessione di Stavrogin, quando questi verifica i suoi sospetti sullo straziante suicidio della piccola Matrëša guardando attraverso la fessura della porta socchiusa del ripostiglio in cui si è impiccata, in una tensione raggelante fra volontà di vedere e di non vedere, fra desiderio di sapere e una brama inconscia di accecamento. Si tratta di un punto su cui in qualche modo si esprime anche Suzanne Keen. In Empathy and the Novel, quest’ultima afferma che la tendenza diffusa nei lettori di romanzi a empatizzare con personaggi dipinti a tinte fosche è resa possibile dalla “finzionalità” della narrazione: “I romanzi possono offrire spazi sicuri in cui vedere con gli occhi dello psicopatico, in cui occupare la posizione […] del razzista oppressore, in cui condividere il passato disumanizzante del reietto esecrato”.

 

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Nell’Encomio di Elena, Gorgia esalta il potere persuasivo del discorso [lógos] e quello della poesia – nient’altro che un “discorso metricamente costruito”, – i quali sono in grado di “far cessare la paura [phóbon], eliminare il dolore, infondere gioia, far crescere la compassione [éleon]”. I termini phóbos ed éleos, insieme al parallelismo medico della catarsi, sono gli stessi che successivamente avrebbe adottato Aristotele nella Poetica per descrivere lo stato mentale dello spettatore di una tragedia, che alla fine della rappresentazione viene liberato, “purificato”, dalle emozioni generate dalla messinscena. Come nota Jauss, ciò che più interessa a Gorgia, sulla scia della tradizione retorica della sofistica, è la “funzione comunicativa dell’effetto catartico”. Il lógos, per Gorgia, è una sorta di “magia catartica” che produce effetti sull’anima paragonabili a quelli prodotti dai farmaci su un corpo malato. Jauss enfatizza infatti, sulla scorta di Gorgia, il risvolto comunicativo aperto dell’identificazione di tipo catartico con un personaggio: può generare un impulso ad agire, che si dispiega di solito in una dimensione sociale, o una tendenza a rinchiudersi nella propria interiorità, che lascia il fruitore in uno stato di “liberazione solitaria” o di “mera curiosità”.

 

[…]

 

Un ultimo punto sul quale è vitale soffermarsi prima di tirare le fila del discorso: quando parliamo di empatia o di identificazione, che queste siano catartiche o meno, non necessariamente dobbiamo pensare a esse in termini di empatia o di identificazione con un personaggio. In linea di principio, non sembrerebbe possibile identificarsi con un oggetto estetico cui non si possono attribuire stati mentali perché non antropo- o, al limite, teriomorfo (un dipinto privo di figure umane o animali, un brano di musica strumentale, un’installazione, un edificio). Sia l’identificazione che l’empatia, infatti, sono per definizione ancorate all’Altro; un Altro dotato di facoltà cognitive e in grado di provare emozioni; un Altro con cui possiamo empatizzare (sentire con), o identificarci (considerarci un tutt’uno, immedesimarci in maniera più o meno completa). Eppure, come ha ricordato Rita Felski, mentre leggiamo, guardiamo un film o una serie televisiva, possiamo identificarci e, quindi, dalla nostra prospettiva empatizzare, anche con qualcosa di diverso da un personaggio: l’autore, un attore, una situazione, un’ambientazione, uno stile o, aggiungiamo noi, un certo tono emotivo, una Stimmung caratteristica dell’opera. Questa considerazione ci consente di ampliare il raggio del nostro discorso sull’empatia negativa in maniera significativa.

 

[…]

 

Alla luce di quanto detto finora, proviamo allora a dare la seguente definizione generale di empatia negativa: l’empatia negativa è un’esperienza estetica consistente in un’empatizzazione catartica di personaggi, figure, performance, oggetti, composizioni musicali, edifici e spazi connotati in maniera negativa e seduttiva in modo disturbante, o che evocano una violenza primaria destabilizzante, capaci di innescare una profonda angoscia empatica nel fruitore dell’opera d’arte, di chiedergli insistentemente di intraprendere una riflessione morale, e di spingerlo ad assumere una posizione etica (non sempre determinabile a priori, perché largamente dipendente dalle diverse e soggettive reazioni dei fruitori). L’empatia negativa può essere, inoltre, caratterizzata come un’esperienza estetica variabilmente aperta o neutra in termini di agency; un’esperienza estetica, cioè, che può condurre indifferentemente a comportamenti sia pro- sia antisociali, o che può rimanere confinata nella vita interiore del soggetto empatizzante. Detto questo, non ci resta che scoprire cosa significhi parlare di empatia negativa in arti diverse tra loro, e verificare se la definizione che abbiamo appena proposto tenga alla prova dell’analisi delle opere.

 

[Immagine: Hermann Nitsch, 18b.malaktion giugno-luglio 1986, Casa Morra, Napoli].

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