di Giulio Mozzi e Valentina Durante
[Esce in questi giorni per Johan & Levi Editore Immaginare le storie. Atlante visuale per scrittrici e scrittori di Giulio Mozzi e Valentina Durante. Proponiamo in anteprima l’introduzione del libro].
A cosa serve questo libro
New York, 1926. Un artista, tale Marcel Duchamp, invita un altro artista, tale Constantin Brancusi, a esporre le sue opere in una retrospettiva da lui curata per la Brummer Gallery. Brancusi aveva già acquisito una certa fama in Europa; quanto agli Stati Uniti, non era ancora conosciutissimo – di qui l’interessamento dell’amico Duchamp – ma aveva già partecipato all’Armory Show nel 1913. I due sbarcano insieme al porto di New York
– immaginiamoci l’entusiasmo, l’eccitamento, la soddisfazione per la nuova avventura… – salvo che al momento di sdoganare i bagagli qualcosa va storto. F.J.H. Kracke, solerte funzionario di dogana, vede la scultura intitolata Uccello nello spazio e si rifiuta di registrarla come “opera d’arte”.
Battuta all’asta nel 2005 per la bellezza di circa 27,5 milioni di dollari, Uccello nello spazio è un oggetto dalle forme stilizzate e levigate, forme, diremmo, tipicamente brancusiane. Ma Kracke, che non è propriamente un intenditore (né il suo lavoro gli richiede di esserlo), non trovando in questa sedicente rappresentazione di uccello né ali, né becco, né zampe, pensa a una burla – ah, questi europei! – e cataloga l’oggetto alla voce: “Kitchen utensils and hospital supplies”, utensili da cucina e forniture ospedaliere (cosa ci avesse visto di specificamente cuciniero non ci è dato sapere: un attizzatoio? un portarotolo? uno di quegli spremiagrumi del genere Philippe Starck per Alessi?). Poco male, verrebbe da dire, non fosse che lo spostamento di categoria nega a Brancusi l’esenzione dalle spese doganali: duecentoquaranta dollari dell’epoca (oggi sarebbero dieci volte di più), non proprio bruscolini. Brancusi e Duchamp si rifiutano di pagare, Kracke è irremovibile, si battaglia un po’, i due artisti alla fine cedono e pagano; ma Brancusi se la lega al dito e decide di fare causa. A chi? Al governo degli Stati Uniti, naturalmente.
Il mese successivo si apre il processo Brancusi vs United States che durerà due anni e passerà alla storia. Brancusi non vi prenderà parte di persona ma farà intervenire pro domo sua artisti, mercanti d’arte, giornalisti e direttori di musei, tutti volti noti nella scena newyorkese. Alcuni scambi fra i due giudici, George Young e Byron Waite, e i testimoni sono degni del miglior teatro dell’assurdo, per esempio quello fra Waite e il fotografo Edward Steichen:
«Lei come lo chiama questo?».
«Lo chiamo come lo chiama lo scultore, oiseau, cioè uccello.»
«Come fa a dire che si tratti di un uccello se non gli somiglia?»
«Non dico che è un uccello, dico che mi sembra un uccello, così come lo ha stilizzato e chiamato l’artista.»
«E solo perché egli lo ha chiamato uccello, questo le fa dire che è un uccello?»
«Sì, Vostro Onore.»
«Se lei lo avesse visto per strada, lo avrebbe chiamato uccello? Se lo avesse visto nella foresta, gli avrebbe sparato?»
«No, Vostro Onore.»
Il processo si concluderà con la vittoria di Brancusi, Uccello nello spazio tornerà duty free e Steichen finirà per acquistarlo, tanto s’era innamorato dell’opera a furia di difenderla. L’unico a non persuadersi della risoluzione della Corte sarà il doganiere: «Se quello dice di essere un artista» dichiarerà in un’intervista al New York Evening Post «io sono un muratore».
Eppure è proprio a favore suo, di F.J.H. Kracke, che noi vogliamo spezzare una lancia qui, rivendicando la libertà di trattare un’opera d’arte proprio come se fosse un utensile da cucina. È ciò che facciamo in questo libro: partiamo dalle opere di arte visiva, e in esteso dalle immagini, non già per commentarle, analizzarle, storicizzarle o esprimere un giudizio estetico, ma per tutto ciò che possono offrire di utile alla causa della scrittura.
Scrivere è faticoso perché costringe a piegare alle esigenze di un codice astratto – la lingua – delle visioni che si formano nell’inaccessibilità opaca della nostra mente. Siamo spesso portati a credere che certi nostri testi non funzionino a causa di difetti tecnici: personaggi poco interessanti, descrizioni imprecise, dialoghi fiacchi o un montaggio poco curato; quando invece quasi sempre la debolezza sta proprio nell’immaginazione: è difficile trasferirla dalla mente alla pagina attraverso un atto di comunicazione che produca in chi legge un’immagine coerente con le nostre intenzioni.
E dunque questo libro è una sorta di ponte. O di traduttore, se più ti piace. L’immagine è ciò che per prima si affaccia alla nostra coscienza quando ci mettiamo a pensare a una storia. E le immagini create da qualcun altro – tutte le immagini: dipinti e disegni, ma anche i meno aulici manifesti pubblicitari e loghi nonché, ampliando il campo a ogni sfera del visivo, fotogrammi da film, opere di scultura e architettura, oggetti di design – possono aiutarci a trasformare un pensiero astratto in qualcosa di materico e condivisibile. Infine, e più pragmaticamente, le immagini sono fatte da persone che sanno guardare il mondo con una certa esperienza e un certo talento; imparare dai loro sguardi allenati può essere d’aiuto per costruire scene e de-scrizioni più vivide, capaci di imporsi all’occhio interno del lettore.
Dire cosa questo libro è impone automaticamente una riflessione su ciò che non è. Non è un testo di critica letteraria e non è, ovviamente, un testo di critica d’arte. Non è neppure un contributo organico ai cosiddetti Visual Studies (gli studi accademici che hanno come oggetto il visibile e le pratiche dello sguardo in forme culturalmente organizzate), non affronta il rapporto fra letteratura e arti figurative con un procedere diacronico e comparatista, e per la verità non è neppure un manuale di scrittura nel senso canonico del termine: non troverai, qui, un capitolo dedicato al narratore, un capitolo dedicato ai dialoghi, un capitolo dedicato ai personaggi e così via, anche se di narratore, dialoghi, personaggi finiremo inevitabilmente per parlare. Troverai invece soprattutto contenuti che nei tradizionali manuali di scrittura non si trovano: perché difficilmente standardizzabili e proponibili sotto forma di tecniche o indicazioni prescrittive.
Si tratta di tutto ciò che pertiene alla sfera dell’invenzione, e infatti il nostro approccio non è né prescrittivo né tecnico, ma piuttosto suggestivo – cosa che l’accostamento di testo e immagini ci permette di fare con gran libertà.
Questo è un libro scritto da una scrittrice e uno scrittore per altre scrittrici e altri scrittori. Ma anche, ribaltando la direzione, per tutti coloro che lavorano con le immagini, perché può essere interessante e rivelatorio vedere come ne fanno uso i professionisti della parola. Talvolta riusciamo a cogliere la natura del paese in cui abitiamo da sempre proprio ascoltando lo straniero che ne parla: in questo viaggio in compagnia delle immagini noi ci poniamo come gli stranieri che siamo, con occhio ingenuo – ma non troppo, speriamo – e attento. Clement Greenberg, importante critico d’arte statunitense, affermava che un critico, per poter esprimere giudizi di valore – cosa che è costretto a fare se vuole considerarsi tale – si deve «impegnare ad acquisire un gusto più universale possibile; impersonale». Ecco, noi, in qualità di scrittori, ci sentiamo addosso il privilegio di non dover fare i critici. Lo scrittore, e l’artista in generale, può accostarsi alle opere con meno rigore e più spregiudicatezza, facendo uso di ciò che gli serve e nel modo in cui gli serve senza che questo corrompa il valore interpretativo delle sue riflessioni. Andrea Zanzotto intitolò una sua raccolta di saggi sulla letteratura Fantasie di avvicinamento. Ci piace pensare a questo libro così, come a una fantasia di avvicinamento fra scrittura e immagine, per aiutare chi immagina e scrive a farlo bene, a farlo meglio.
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Com’è fatto questo libro
«L’immaginazione è un’attività, così come la vista, l’udito e le altre attività sensorie»: così il poeta statunitense Wallace Stevens, che nel saggio L’immaginazione come valore si preoccupa di liberare l’immaginazione dalle pastoie romantiche più deteriori («L’immaginazione romantica sta all’immaginazione come il sentimentalismo sta all’emozione. È una caduta dell’immaginazione, proprio come il sentimentalismo è una caduta dell’emozione») e di sottolineare il suo carattere relazionale: «L’immaginazione è il potere della mente sulla potenzialità delle cose».
Come Stevens, anche noi poniamo l’immaginazione al centro dell’atto creativo dello scrittore. Ora, è intuitivo anche per chi non scrive che per costruire un testo narrativo è indispensabile immaginare una certa quantità di eventi, di luoghi e di personaggi. Per scrivere Il deserto dei Tartari, Dino Buzzati ha dovuto immaginare la Fortezza Bastiani, e per scrivere La signora Dalloway Virginia Woolf ha dovuto immaginare una signora sui cinquant’anni, esile, simile a una gazza verdeazzurra e con molti capelli diventati bianchi a causa di una recente malattia. Ma un testo è anche frutto di una quantità di scelte inerenti alla struttura, al rapporto fra eventi narrati e soggetto che li narra, alla successione degli eventi rispetto al loro ordine logico e cronologico e all’insieme delle coloriture espressive che rientrano sotto la definizione di “stile”; ebbene, tutte queste scelte presuppongono un atto immaginativo. Se decido di scrivere un romanzo epistolare, non mi limiterò a usare una forma già data e collaudata – da Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos a Lettere di una novizia di Guido Piovene; avrò anche bisogno di immaginare come quella specifica forma potrà combinarsi con la storia che ho intenzione di raccontare.
Questo libro consta dunque di un certo numero di schede organizzate in sei contenitori, corrispondenti a sei movimenti dell’immaginazione. La parola “movimento” ci piace per diversi motivi (nessuno di questi è politico): perché suggerisce un’idea opposta alla stasi e compatibile con la gestualità; perché nelle arti figurative implica una visione dei rapporti formali tra le cose rappresentate; perché non si limita alle sole arti figurative (i movimenti – generalmente tre o quattro – sono le parti in cui si suddivide una composizione sinfonica o da camera); e infine, perché è legata tanto al corpo quanto alla rappresentazione del corpo, e indica tanto un processo quanto il risultato di quel processo.
Il “Primo movimento” è prodotto dalle scelte che ci mettono in relazione, in quanto soggetti immaginatori, con la realtà: quella vera e quella immaginata. Qui trattiamo di realtà e finzione, di invenzione, di cornici e di specchi, della costruzione di un proprio immaginario. Poiché si tratta di cose fondamentali, cioè che sostengono tutto il resto, ci è venuto un movimento più lungo degli altri.
Il “Secondo movimento” è prodotto dalle scelte che facciamo riguardo a noi stessi in relazione alla storia che vogliamo raccontare. Parliamo dunque di autore e narratore, ma anche delle scritture del sé e del lavoro autobiografico.
Il “Terzo movimento” è prodotto dalle scelte che facciamo in relazione agli esistenti, ossia tutti i soggetti, gli oggetti e i luoghi che rendono possibile una narrazione. Qui dedichiamo particolare attenzione agli accorgimenti formali che permettono di far vedere le cose al lettore.
Il “Quarto movimento” è prodotto dalle scelte che riguardano gli eventi, intesi come relazioni fra gli esistenti, lo spazio e il tempo. Parliamo dunque di struttura, di composizione, di trama e di montaggio.
Il “Quinto movimento” è legato alle scelte espressive: lingua, lessico, ritmo, intonazione, insomma “la grana” del testo. Qui, inevitabilmente, la relazione tra arti visive e arte della scrittura si fa più metaforica.
Il “Sesto movimento”, infine, è un contenitore-miscellanea: parliamo della conclusione dell’opera e del distanziamento dallo scritto, ma anche delle posture mentali più utili – o, viceversa, di quelle dannose – che possono influenzare il nostro lavoro. Offriamo alcuni spunti, speriamo utili, per creare un rapporto con le immagini che non sia passivo, di estatica contemplazione, ma attivo e produttivo.
L’introduzione di ogni movimento ha un passo più libero, più erratico e personale, laddove le schede sono più focalizzate e operative: troverai infatti non solo suggestioni e spiegazioni ma anche provocazioni, esercizi, esempi testuali, giochi.
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L’idea generale di questo libro deriva dall’Oracolo manuale per scrittrici e scrittori di Giulio Mozzi (2019) e dall’Oracolo manuale per poete e poeti di Laura Pugno e Giulio Mozzi (2020); i quali a loro volta hanno un debito bello grosso con le Oblique Strategies di Brian Eno. L’occasione del concepimento è stata il corso “Immaginare le storie”, realizzato per la Bottega di narrazione da Valentina Durante e Giulio Mozzi. Il concetto generale dell’opera è dovuto soprattutto a Giulio Mozzi; la sua organizzazione soprattutto a Valentina Durante. Valentina Durante ha scritto quest’introduzione e il terzo, quarto e sesto movimento; Giulio Mozzi il primo, secondo e quinto movimento (anche se, com’è naturale, qualche scambio interno di immagini e testi c’è stato).
Non ci siamo preoccupati di uniformare le nostre scritture: ciascuno di noi due ha portato nel libro il proprio stile, la propria immaginazione e la propria memoria visiva e testuale. La scrittura non è una scienza esatta, e dalla lunga pratica di insegnamento abbiamo appreso che spesso fornire molte suggestioni, anche contrastanti, è più formativo che dispensare precetti.
Per le indicazioni bibliografiche abbiamo preferito indicare, ove possibile, edizioni facilmente reperibili; in alternativa, quelle che abbiamo effettivamente consultate, eventualmente rinviando ad archivi digitali.
[Immagine: Wayne Thiebaud, Cigar in Ashtray, 1973. Olio su tela, 43,1 × 33,3 cm. Collezione privata (particolare)].