di Mauro Piras
Dalle parti del centrosinistra si respira un’aria pesante, plumbea. Sembra più o meno che sia arrivata la fine del mondo. “Il primo governo guidato dalla destra (ex?)-fascista”. “I diritti civili sono in pericolo”. “La destra ha stravinto e la sinistra è in rovina”. Ecc. Da tutte le parti si denunciano i trascorsi (neanche tanto) nostalgici di questo o di quello, le dichiarazioni intolleranti e retrograde, le amicizie sospette, i legami con le peggiori destre europee ecc. Insomma, sembra che la democrazia italiana sia precipitata nel baratro, sul punto di cedere a un regime se non dittatoriale di certo illiberale (Ungheria docet).
Tutto questo sembra un po’ esagerato. Ci sono, al contrario delle buone ragioni per dire che il passaggio a cui stiamo assistendo, dopo il risultato elettorale del 25 settembre e la formazione del governo Meloni, ha dei risvolti positivi. Per esporli, assumerò due punti di vista: quello generale del sano funzionamento (e della legittimazione) delle istituzioni democratiche; quello particolare (che è di chi scrive) delle prospettive politiche delle forze di centrosinistra, quali esse siano.
Gli aspetti positivi sono tre: 1) c’è una maggioranza chiara; 2) il sistema politico si sta riassestando; 3) il PD è condannato all’opposizione.
Vediamoli uno per uno.
1) Le elezioni hanno dato un risultato chiaro: il centrodestra ha ottenuto una maggioranza inequivocabile in Parlamento, e al suo interno è emerso un partito con un ruolo guida incontestabile. E con una leadership individuale incontestabile. Questo ha rilegittimato la formazione del governo. Dopo la quasi bancarotta del 2011 abbiamo avuto sempre governi che non erano espressione di una maggioranza chiara espressa nelle urne: o perché governi di “emergenza nazionale” o perché nati da difficili accordi tra forze che si erano contrapposte duramente in campagna elettorale. Questo ha provocato l’instabilità degli esecutivi e soprattutto una loro crescente delegittimazione: i cittadini si sono rassegnati all’idea di non poter influenzare, con il loro voto, la formazione delle alleanze di governo. In questa delegittimazione si trova una delle cause dell’astensionismo, che certo indebolisce anche il governo attuale. Tuttavia, quest’ultimo nasce, potenzialmente, su basi molto più solide: una alleanza che si è presentata unita alle elezioni ora va unita al governo, disponendo sulla carta di una maggioranza parlamentare abbastanza solida. Le tensioni emerse nei giorni precedenti si sono dimostrate marginali, per ora. Sta a loro, adesso, vedere come tenerle sotto controllo e portare avanti l’esecutivo senza incorrere in crisi politiche che ne anticipino la fine. Dal punto di vista del funzionamento delle istituzioni democratiche, questo significa che inizia un percorso di rilegittimazione della politica; dal punto di vista dell’area di centrosinistra, stare all’opposizione dopo una sconfitta inequivocabile per tutte le forze che la compongono servirà a ricostruirla, ma su questo vedremo meglio nei punti successivi.
2) Il voto del 25 settembre ha riportato il sistema politico italiano a una contrapposizione chiara tra un’area di centrodestra e un’area di centrosinistra. Ricordiamo che la crisi recente (di breve durata, ce n’è un’altra di lunga durata, iniziata nel 1992) del sistema politico italiano è iniziata nel 2011; allora, a causa della crisi del debito pubblico, un governo di unità nazionale ha sostituito un governo di centrodestra, premessa alla crisi della contrapposizione tra due poli; nel 2013 il primo grande successo elettorale del M5S ha reso quasi impossibile fare delle maggioranze stabili: i governi che si sono succeduti, pur a guida PD, erano fragili, con maggioranze anche eterogenee, tenute su a colpi di voti di fiducia; nel 2018 il risultato elettorale ha portato a far nascere, nel corso della legislatura, maggioranze “sperimentali” che tenevano insieme sempre forze radicalmente ostili nell’elettorato e in campagna elettorale. L’esito delle elezioni del 2022 ha ripulito il quadro e riportato alla contrapposizione tra due “poli”: il M5S, che destabilizzava il sistema, si è ridotto alla metà ma si è salvato, facendo un discreto risultato, perché si è intestato una identità dichiaratamente di sinistra; la componente di destra del suo elettorato se n’è andata (o è tornata) nel centrodestra. Questo passaggio ha ridefinito le aree: Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, come sempre, sono “il centrodestra”; e Azione-Italia Vita, Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, e altri partiti di Sinistra, sono “il centrosinistra”. Che queste aree si uniscano o meno, con quali configurazioni, dipende dalla contingenza politica; che siano contrapposte però è chiaro e definisce il sistema politico. Questo aiuta gli elettori a orientarsi, a ritrovare una corrispondenza tra voto e formazione dei governi; quindi rilegittima la politica. E fa bene anche alle forze di centrosinistra perché sanno che l’avversario è uno e ben definito, si trova nell’area di centrodestra, va combattuto costruendo un progetto politico e delle alleanze di centrosinistra.
3) Infine, il Partito democratico. Che abbia subito una sconfitta netta e dura, ma non devastante (è al 19%, non al 7% come il Partito Socialista francese nel 2017), è un fatto anche positivo: perché, in un sistema di nuovo bipolare, il PD viene messo chiaramente all’opposizione e deve impegnarsi in questa, non in altro. Ricordiamo che il PD è stato al governo quasi ininterrottamente dal 2011 a oggi, tolti i quattordici mesi del governo Conte I, detto “giallo-verde”. Questa lunga esperienza di governo, in coalizioni difficili, costruite a fatica, non sulla base di un chiaro esito elettorale, anzi anche in situazioni in cui il PD aveva “perso le elezioni”, tutto questo è stato un danno sia per la legittimazione delle istituzioni democratiche sia per le prospettive delle forze di centrosinistra, e in particolare del PD stesso. Sul primo punto: proprio queste alleanze hanno aumentato lo scontento e l’insoddisfazione nei confronti della politica, e spiegano l’astensione eccezionale delle ultime elezioni. Sul secondo punto: governare sempre, senza aver vinto le elezioni (cioè senza poter imporre una guida forte al governo), con alleati ostili, radicati in elettorati ostili, porta a compromessi di ogni genere; assumersi la responsabilità di governare significa scaricare su se stessi il costo di tutte le decisioni impopolari, soprattutto di quelle prese contro la propria linea politica. È naturale che ci si logori e si perdano le elezioni dopo un’esperienza simile. Fare opposizione, ricostruire la propria identità nel confronto aperto con un governo avverso, senza cadere di nuovo nella tentazione di “fare i pompieri”, rafforzerà il PD e tutte le opposizioni, anche quelle più “di centro” recentemente nate.
(Firenze, 23 ottobre 2022)
Vedremo nel concreto quali saranno le scelte di questo governo, ma da quanto si annuncia saranno allineate alle decisioni che si prendono fuori d’Italia. In sostanza, di destra o di sinistra, i governi hanno un margine di autonomia ristretto e spesso si ritrovano a dover applicare politiche che hanno la loro giustificazione in un quadro internazionale ma vanno contro gli interessi di chi li ha eletti. Questa è senz’altro una delle ragioni della disaffezione elettorale.
Non ravvedo nessuna differenza tra il neoliberismo del centrodestra e quello del centrosinistra. Sono le due facce della stessa medaglia.
Ci stanno imponendo su scala planetaria l’unico sistema che si pretende possibile: quello americano.
Quella che chiamavano democrazia non esiste più. Esiste il pensiero unico. Cioè, un altro sistema dittatoriale.
Quindi, tutte queste dotte discussioni mi sembrano del tutto prive di senso.
L’unica e’ il non voto, la costruzione di un fronte di massa che si opponga all’ennesimo domininio di classe.
La logica seguita dall’articolista Piras non fa una grinza: in un regime pseudo-democratico come quello che si va sempre più affermando in tutto l’occidente, come conseguenza dell’imposizione delle dottrine neoliberiste e della cosiddetta “democrazia dell’alternanza”, la contesa politica è quasi solo nominale, riferita, cioè, solo alla lotta tra fazioni politiche per la conquista del potere gestionale. Ne consegue che la democrazia, in assenza di partiti veri e di vera partecipazione, si riduce a una sorta di sondaggio certificato e legale, per l’attribuzione di una “delega in bianco” alla fazione che si aggiudica la maggioranza dei seggi in parlamento, la quale nomina il capo-condomino e i suoi sottoposti, ministri e sottosegretari. Questa caricatura della democrazia si basa su un presupposto: la democrazia occidentale è la “fine della storia”, ha cioè raggiunto il capolinea dell’evoluzione sociale e politica, per cui qualunque forza politica può aspirare a governare, ovvero gestire il condominio Paese, nell’ambito esclusivo degli indirizzi, delle regole, dei trattati, delle dottrine economiche e dell’evoluzione globale assunti a base del regime neoliberista occidentale e incardinati nella architettura della neonata e immatura Unione Europea. Inserita in questo quadro politico più generale, è ovvio che la pratica dell’alternanza alla guida del governo non deve preoccupare, anzi, come sostiene Piras, è una garanzia di tenuta non tanto della democrazia, che appare di per sé già mutilata, ma di tenuta del sistema, dello status quo, dell’equilibrio dei poteri cosi come si sono consolidati negli ultimi quarant’anni. La politica ha dunque smesso i panni della progettazione, della ricerca, dell’analisi, dell’utopia, dell’organizzazione e della rappresentanza degli interessi della massa della popolazione, per vestire quelli della “burocrazia gestionale” eretta a difesa degli interessi dei mercati, dei capitali, della concorrenza. Tutto bene, dunque, finché al capolinea della storia, la storia stessa, per i suoi ciclici capricci, non ci precipiterà in un burrone.
TRE VELOCI OBIEZIONI
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1.
«Dal punto di vista del funzionamento delle istituzioni democratiche, questo significa che inizia un percorso di rilegittimazione della politica».
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Sì, ma di quale politica (prevedibilmente) si tratta?
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2.
«dal punto di vista dell’area di centrosinistra, stare all’opposizione dopo una sconfitta inequivocabile per tutte le forze che la compongono servirà a ricostruirla».
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Sicuro? Forse la sconfitta deriva da una precedente debolezza dei partiti di centro sinistra – troppo centro e con ben poco o nulla di sinistra (“classica”, “vera”). Tant’è che sono stati capaci di fare soltanto «coalizioni difficili, costruite a fatica, non sulla base di un chiaro esito elettorale», come tu stesso ammetti. In base a quale strano miracolo quella debolezza dovrebbe trasformarsi in forza, ora che il PD è stato costretto – ma solo «dopo una sconfitta inequivocabile» – ad un’opposizione per la quale non è neppure attrezzato?
3.
«ha riportato il sistema politico italiano a una contrapposizione chiara tra un’area di centrodestra e un’area di centrosinistra».
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Sicuro?
Al netto di tutte le considerazioni, rimane il fatto che parliamo di un governo fascista, composto per lo più da persone incompetenti il cui unico valore aggiunto è il fascismo
È diventato inutile leggere Piras. Per lui è sempre il migliore dei mondi possibili.
Per un giudizio diverso:
https://www.terzogiornale.it
Condivido – con la postilla di Giannantonio Antonio
Ho notato, dal 26 settembre, due tipi di reazioni tra coloro che si autoidentificano di sinistra, centrista o radical che sia.
La prima è una sorta di richiamo oscuro, il fascino segreto del fascismo. Ci sono quellə che, anche prima delle elezioni, ma ora più esplicitamente, esprimono una certa ammirazione per quello che questa destra ha saputo fare e sta facendo: chi in funzione anti-Draghi, evocando i traumi legati alla gestione delle ultime fasi della pandemia ma facendo rivivere il falso contenuto ‘proletario’ dei novax, chi trovando dei possibili contenuti validi in faccende come la sovranità alimentare, chi ammaliatə dalla forza e furbizia di Giorgia Meloni, e altro.
La seconda reazione è quella razionalista-ottimista, che vede nella vittoria della coalizione guidata da Fratelli d’Italia una possibilità storica per la ricostituzione della sinistra.
Vorrei dire qualcosa di più su questa seconda possibilità di confrontarsi con la situazione attuale, perché è quella che, ad ora, mi sembra presentare degli argomenti ragionevoli, come quelli di questo articolo di Mauro Piras.
Mauro presenta tre ordini di ragioni per cui secondo lui non bisogna lasciarsi andare alla disperazione, a cui risponderei così:
1. La vittoria chiara e distinta della destra dimostra che la democrazia in Italia ha ricominciato a funzionare. Non posso entrare nel merito dei problemi insiti in questa concezione puramente procedurale di democrazia (Mauro, da fine habermasiano, conoscerà bene il dibattito, e sa quanto sia difficile tirarne fuori una posizione di consenso). Mi limito a buttare lì l’ovvio storico: che una procedura democratica abbia come risultato il trionfo del fascismo (o peggio) dovrebbe farci tremare ancora di più.
2. La vittoria chiara e distinta della destra farà risorgere l’opposizione tra destra e sinistra. Questo è un argomento più hegeliano che habermasiano, e mi trova a pancia più d’accordo. Se non fosse che, per crederci, per prenderlo come puntello della speranza, bisognerebbe anche credere nella razionalità della storia. Ma la dialettica, il conflitto come motore di progresso, non è una necessità concettuale, bisogna guadagnarselo. La lotta viene fuori dalla lotta.
3. Questa lotta potrà ora essere portata avanti dal PD. Non serve essere più a sinistra del PD per capire che questa sembra al momento una speranza vana: basta guardare alla traiettoria del PD come esposta proprio in questo terzo punto.
Poi c’è un’altra cosa, per me ancora più importante, che contesto a queste riflessioni di Mauro. La razionalità di cui si fa portavoce e scudo questo articolo è, in questo momento, irrazionale. Chi, in questo momento, vuole vedere il bene, diventa sordə e ciecə nei confronti del male. Le donne, le immigrate e gli immigrati, le persone LGBTQ*, le precarie e i precari, studentesse e studenti e lavoratricə della scuola e dell’università, e tuttə coloro che hanno a cuore le sorti di queste persone, non possono che fasciarsi la testa ed essere in preda al panico ora. È solo dalla paura, o terrore, di quello che questo governo potrà fare, con questo consenso e maggioranza, e che sta già facendo, che può formarsi la lotta. É solo guardando in faccia, senza farsi paralizzare dalla paura, dal terrore, la “fine del mondo”, che un mondo nuovo potrà magari sorgere. Nel frattempo, un sacco di persone soffriranno in modi che moltə di noi non si stanno neanche immaginando.
Caro Ennio,
provo a rispondere velocemente:
1) ovvio, io parlo della politica democratico-liberale, con tutti i limiti che tu invece critichi e condanni da sempre;
2) non ci sono miracoli: se lo si vuole, c’è un percorso politico di ricostruzione, più sensato quando si è all’opposizione e non si cede continuamente alla logica del potere; poi, noi divergiamo su quale percorso, ma questa è la politica;
3) niente è sicuro, è solo una mia impressione: mi sembra che il quadro del conflitto elettorale si sia giocato su quella contrapposizione.
Caro Rino,
mi dispiace per questo tuo giudizio liquidatorio. Chi legge le mie cose sulla scuola sa che questo non è per me il migliore dei mondi possibili. Il problema è una diversa concezione della democrazia, tra me e te, per cui qui volevo solo mostrare che i problemi non sono questi. Quando avrò tempo dirò cosa non va.
Grazie Federica per l’analisi, quando ho tempo rispondo nel dettaglio.
Mi sembra ci siano diverse crepe nel ragionamento alla base dell’articolo:
1) il nuovo Governo non ha iniziato bene, né ha mostrato una solidità reale nonostante l’ampio margine della vittoria elettorale. I suoi esponenti di spicco hanno iniziato a litigare ancor prima di insediarsi per la spartizione delle poltrone, con dichiarazioni personali velenose gli uni nei confronti degli altri che hanno lasciato un po’ tutti basiti. Questo è un segnale preoccupante, che non fa ben sperare per la stabilità dell’esecutivo. Se la fiducia delle persone nella politica dovrebbe passare anche da una maggiore stabilità del nuovo Governo, c’è da preoccuparsi viste le premesse.
2) La bassa affluenza o la disaffezione dei cittadini alla politica, legata alla sensazione di non poter influenzare l’andamento della vita politica nazionale, non è dovuta all’instabilità dei governi che avevano votato negli anni precedenti e al non poter influire sulle successive alleanze parlamentari quando quei governi andavano in crisi, ma è da ricondurre soprattutto ad una precisa e sotterranea volontà di tutta la classe politica, che sta smantellando la partecipazione popolare cercando di ridurre l’impatto della volontà dei cittadini (qualunque essa sia) sul sistema politico. E ciò attraverso: 1) un abbassamento progressivo della qualità dell’informazione culturale e dei programmi televisivi, che disinformano, distraggono e disabituano al pensiero critico; 2) leggi elettorali molto complicate e che impongono dei candidati spesso non legati al territorio in cui si vota (volute da destra e sinistra indistintamente); 3) impossibilità del voto a distanza (possibile in molti altri paesi europei), cosa che esclude dal voto quasi 5 milioni di persone (per la maggior parte sotto i 40 anni) con la residenza nel sud Italia ma domiciliate al Nord per motivi di studio o lavoro mentre, scandalosamente, gli italiani all’estero possono farlo; 4) i meccanismi parlamentari (voluti anche questi da destra e sinistra e mai riformati) che consentono facili “cambi di casacca” e alimentano una delle piaghe storiche della nostra classe politica: il trasformismo.
3) Nell’articolo si definisce il M5S un fattore di instabilità, ritenendolo un movimento ibrido con anche elettori di destra (poi fuggiti verso altri lidi: vero) e identificando il centro-sinistra anche in PD-Azione. In realtà, il M5S, pur con tutte le sue contraddizioni che ha pagato care sulla propria pelle in termini di uscita di parlamentari, ha fatto alcune delle misure più di sinistra degli ultimi decenni, che negli ultimi anni la cosiddetta Sinistra si è ben guardata dal proporre: 1) Reddito di cittadinanza; 2) Abolizione dei licenziamenti facili voluti dal governo Renzi (di Sinistra); Misura del Cashback e lotta all’evasione con strumenti nuovi; Legge Spazzacorrotti; 5) riduzione dei costi della politica, con taglio del numero dei parlamentari e dimezzamento del proprio stipendio di parlamentare; 6) tentativi, non andati in porto, di far approvare il salario minimo. Riconoscere oggi la Sinistra anche in PD-Azione è un abbaglio dimostrato dai fatti: partiti formati da classi dirigenti lontane anni luce per milieu familiare, formativo e personale che li possa far immedesimare nella condizione dei ceti medi e meno abbienti, senza contare che Azione è un partito più di destra che di sinistra, come dimostrano non solo alcune parti del suo programma, ma anche gli ammiccamenti e la disponibilità a collaborare su varie questioni col nuovo esecutivo.
3) Di per sé fare opposizione in genere alla lunga paga perché chi governa si trova ad affrontare questioni spinose (ancora di più in Italia) e perde consenso perché spesso non riesce a risolverle o si trova costretto a risolverle in un modo che scontenta parte del proprio elettorato. Ma il PD non potrà mai vincere, per quanto la Destra possa perdere consenso, senza includere il M5S e se non rompe una volta per tutte il legame con Calenda-Renzi. Fare opposizione può far guardagnare consensi ma non abbastanza da vincere le prossime elezioni senza un’alleanza con un partito forte.
Ma di questo, a mio avviso, non ci sarà da preoccuparsi: dinnanzi alle questioni più stringenti da affrontare, questa nuova maggioranza, con le divisioni che già si palesano, non saprà trovare la convergenza necessaria e, magari anche a causa della pressione dei mercati, prima che perdere consenso si sfalderà dall’interno, prospettandoci un nuovo Governo di unità nazionale. Il che, date le premesse e le prime dichiarazioni anche sui temi dei diritti ed economici, sarebbe anche un bene.