di Matteo Cazzato

 

Ottobre 2022 ha visto l’insediamento di un governo molto particolare, proprio in occasione di un triste anniversario politico su cui ha speso importanti parole la senatrice Liliana Segre nel discorso d’apertura della legislatura. Ma in questi giorni si è ricordato anche un altro evento drammatico, questa volta della storia repubblicana, la morte di Pier Paolo Pasolini, oltretutto durante l’anno centenario della sua nascita.

Perché dedicare ora un ennesimo intervento allo scrittore, in un anno che ne è colmo? Perché questo è uno strano autunno, che vede un nuovo esecutivo a Palazzo Chigi, e anche perché questi giorni di fine ottobre sono in un certo senso l’anniversario delle ultime pagine scritte da Pasolini, gli interventi pubblici di amara e lucida critica sociale apparsi sulle pagine del Corriere della sera e Il Mondo nel corso del 1975, poi raccolti nel volume Lettere luterane.

 

In questa congiuntura cronologica, e davanti ai primi atti del nuovo governo, viene da riflettere sul discorso di fiducia rivolto dalla neo premier alle camere. In quella occasione è stato proposto un pantheon culturale femminista, affastellando diversi nomi di importanti figure. La condivisione di un tratto biologico però non può bastare come criterio di scelta per proporre dei modelli su cui costruire una visione di paese e di futuro, come quella che andrebbe proposta in sede di fiducia parlamentare. Tra l’altro si tratta di nomi rispetto ai quali si fa fatica a trovare veri legami di sensibilità socioculturale, e politica, con chi ha iniziato a governare il paese. E sta qui il problema: se si vogliono indicare dei riferimenti ideologici, serve una coerenza profonda fra le figure evocate e chi decide di chiamarle in causa.[1] E allora non possiamo non ricordare che pantheon culturali discutibili sono già stati presentati dalle stesse persone, e fra gli altri c’era anche il nome di Pasolini.

 

Nel corso degli ultimi anni lo scrittore corsaro è diventato bersaglio di varie appropriazioni indebite, senza che nessuno si rendesse conto che la sua figura e la sua opera vanno prese per quello che sono, e cioè un monito alla coscienza critica davanti alla realtà. Pasolini non merita di essere tirato per la giacchetta da una parte e dall’altra. Oggi poi non contano le posizioni specifiche che l’intellettuale aveva, o avrebbe potuto avere, su determinati problemi (e di sicuro non contano in questa sede quelle di chi sta scrivendo): importa solo l’atteggiamento che la sua esperienza ci può trasmettere.

Mettiamo da parte le dichiarazioni del ministro della cultura che, pur provenendo da un movimento figlio di quel fascismo che incarcerò Gramsci per le sue opinioni contrarie alla rigida e sterile politica culturale del partito, oggi decide di citarlo a sproposito. E lasciamo stare la notizia del neo-ministro all’istruzione per la Lega, che dovrebbe occuparsi della formazione dei giovani – si spera meglio di quando contribuì alla riforma Gelmini – ma che sembra avere i paraocchi stando ad alcune sue pubblicazioni: decide di considerare solo ciò che torna comodo all’ideologia del partito, ignora il resto, e afferma in modo perentorio e singolare che l’impero romano fu distrutto dagli immigrati (parole esatte di un suo titolo),[2] senza andare oltre la superficie dei fatti, e senza esporre in modo chiaro i rapporti di causa e effetto all’interno della complessità di prospettive che le vicende storiche comportano.

 

Ma torniamo a Pasolini, perché chi si insedia nei banchi del governo con un ruolo da protagonista ha presentato nei mesi scorsi il pantheon culturale del suo partito, anche se ancora non mi è chiaro cosa dovrebbe essere il pantheon culturale di un partito, e che funzione dovrebbe avere. Comunque, in questo pantheon ci sono vari personaggi su cui ci sarebbe da discutere ma limitiamo il discorso a quanto di nostra competenza, e perciò a Pasolini.

Partiamo da un dato scontato e anche banale: certo con un rapporto difficile e controverso, ma Pasolini era legato al Pci. Per quale motivo un partito nato dalle – purtroppo – non spente ceneri del MSI, va a richiamarsi proprio ad un intellettuale di questo tipo? Le due culture di riferimento sono ben diverse. C’è una crisi identitaria, che potrebbe farci ben sperare per il futuro, in vista di nuove linee di pensiero? O c’è piuttosto una voluta ricezione distorta, un abuso senza alcun fondamento autentico e valido?[3] Non so, ma viste le posizioni politiche portate avanti da queste persone mi pongo qualche domanda preoccupata.

 

La costruzione di questi agglomerati indistinti di riferimenti mi sembra un’operazione sbagliata in sé, perché spesso sfrutta proprio figure complesse – e per questo sfuggenti – difficili da maneggiare bene e con onestà, sempre che lo si voglia fare. Perché se si vuole solo piegare Pasolini e altri al proprio tornaconto, diventa tutto molto più semplice. E lo si è visto anche durante la pandemia, quando le stesse persone facevano rimandi infondati a Orwell per attaccare misure di sanità pubblica, dure e su cui naturalmente continuare a interrogarsi per gestire meglio ogni evenienza futura, ma certo non spie di un regime totalitario, come quello fascista o sovietico. Però l’autore di 1984 è diventato, nelle mani di questi politici, uno strumento per alimentare senza nessun fondamento scientifico – ma a questo punto anche storico-filologico – le ondate no-vax e no-mask.

 

La stessa cosa capita con Pasolini, e non è nemmeno la prima volta. Un utile e interessante volume di qualche anno fa era dedicato al pensiero dello scrittore sul fascismo,[4] e si apriva ricordando che il leader leghista aveva fatto ricorso – in modo scorretto moralmente e filologicamente – allo scrittore corsaro durante la campagna elettorale del 2018, estrapolando dal contesto alcune affermazioni su fascisti e antifascisti in modo che giocassero a suo favore. Il problema è che le dichiarazioni degli Scritti corsari vanno calate nel loro momento storico specifico e nel complesso pensiero dell’autore, non sono certo testi da prendere così alla leggera, come tanti articoli di giornale odierni lineari e anche banali. Pensiamo a La droga: una vera tragedia italiana, uscito sul Corriere nel luglio 1975. L’ottica salviniana vi vedrebbe un pieno sostegno per la sua lotta senza quartiere contro l’uso della semplice cannabis, senza accorgersi che Pasolini parla d’altro: il suo è uno sguardo critico profondo che allarga decisamente la riflessione, vedendo in un fenomeno particolare il sintomo di una situazione ben più preoccupante a livello culturale e sociale, legata all’inesorabile mutamento antropologico della società italiana, al venir meno di una vita da vivere in modo intenso, fino in fondo e in modo autentico.

 

E veniamo ad un altro tema caldo, spesso al centro dei dibattiti politici negli ultimi mesi: l’aborto. I politici di FdI avranno esultato davanti a certe dichiarazioni contenute negli Scritti corsari, ed ecco lì Pasolini nel loro pantheon. Troppo facilmente le parole di Pasolini sull’aborto vengono fraintese. Ci si dimentica che tutta la questione dell’aborto secondo lo scrittore va inquadrata all’interno di altre riflessioni: la sessualità come fatto politico, la finta tolleranza imposta dalla nuova società non come accettazione e rapporto col diverso, ma come permissività in linea con le sue logiche di consumo. Pasolini ritiene che il mondo neocapitalista voglia favorire l’interruzione di gravidanza per rendere più diffuso e facile il coito eterosessuale, e per contrastare così le diversità sessuali che invece rappresenterebbero un elemento di disturbo e fastidio. In questo senso la sua contrarietà all’aborto va considerata dal punto di vista del suo voler affermare la diversità omosessuale come «coito politico», in grado di porre un’alternativa alla norma sociale.[5] Posizione ben diversa da quella conservatrice del nuovo governo, basata sull’ossessiva idea della famiglia tradizionale. Infatti il giudizio dello scrittore sulle presunte nuove libertà sessuali non è positivo, ma non per una visione regressiva: nell’articolo Troppa libertà sessuale e si arriva al terrorismo si dice che il sistema concede queste libertà alla coppia eterosessuale – anzi le impone – per favorire lo sviluppo consumistico, e non per vera convinzione ideologica. È un eccesso di libertà che non rappresenta più una conquista, un’affermazione del proprio essere, ma che diventa una nuova forma di conformismo obbligato, di cui non si è nemmeno consapevoli. La contrarietà di Pasolini a certe misure come aborto e divorzio, se vista nell’ottica più ampia del suo pensiero sociale, non è contrarietà al diritto in sé, lecito da rivendicare per i singoli, ma è critica al sistema omologante che produce tale cambiamento.

 

La strumentalizzazione politica passa poi per una selezione non ragionata, che decide di ignorare tutto il resto una volta che ha trovato ciò che può usare a suo comodo. Se invece si allargasse un po’ di più lo sguardo, ci si accorgerebbe di molto altro su cui ragionare. Infatti proprio in Lettere luterane la posizione di Pasolini sull’aborto si esprime in modo forse ancora più chiaro.[6] Nel paragrafo III di Gennariello, troviamo questo discorso: «… io mi sono pronunciato contro l’aborto, e a favore della sua legalizzazione. Naturalmente, essendo contro l’aborto, non posso essere per una legalizzazione indiscriminata, totale, fanatica, retorica. Quasi che legalizzare l’aborto fosse una vittoria allegra e rappacificante. Sono per una legalizzazione prudente e dolorosa… l’aborto è un problema dell’enorme maggioranza, che considera la sua causa, cioè il coito, in modo così ontologico, da renderlo meccanico, banale, irrilevante per eccesso di naturalezza. In ciò c’è qualcosa che oscuramente mi offende».[7] Nella prima parte del discorso Pasolini spiega che la sua è una contrarietà personale all’atto in sé, ma è a favore di una legalizzazione controllata, in modo che chi ne sente il bisogno possa esercitare questo diritto.[8] Per l’intellettuale il problema non era il diritto a interrompere una gravidanza – scelta che spetta al singolo nella specifica situazione – ma il sistema socio-politico che aveva portato a favorire quella scelta. Nella seconda parte del discorso lo scrittore dice infatti che la maggioranza eterosessuale è portata ormai a considerare il coito in modo ontologico, e ciò rende questo aspetto della vita meccanico, eccessivamente naturale: si fa riferimento alla scomparsa di una vitalità autentica davanti ad un modo d’essere imposto come normalità, e così esasperato, alla fine rigido e uniformante. E qui sta un altro problema: Pasolini si è sempre mostrato contrario al feticcio del “normale”, per tutta la vita ha fatto in modo di mostrare e affermare la sua diversità, e di scoprire quella degli altri. Come può un autore del genere essere preso come punto di riferimento da un partito politico che inneggia al normale e al naturale, in ogni ambito e soprattutto per quanto riguarda sessualità e famiglia?! Un partito che sembra rifiutare la diversità in nome di una tradizione e un’identità ritenute monolitiche, e che tali non sono perché ci sono più elementi che vanno oltre i soli mondi classico e giudico-cristiano ricordati durante il discorso alla camera… un partito che come primo atto europeo torna sulla posizione di chiudere i porti, erigere muri metaforici a difesa dei confini identitari, da una parte sventolando il rischio della tenuta economica e sociale (ma i media portano sempre più notizie di violenze proprio da quando è nata questa nuova maggioranza…), e dall’altra credendo nella assurda tesi della sostituzione etnica…

 

Facciamo un esperimento mentale, e diciamo che forse l’anno scorso l’omosessuale Pasolini si sarebbe potuto esprimere contro il ddl Zan, ma il suo sarebbe stato un atto provocatorio, proprio come nel caso di aborto e divorzio: Pasolini si oppose a queste proposte di legge non perché quei diritti non andassero riconosciuti, ma perché vedeva aspetti critici e preoccupanti nei meccanismi socio-politici che avevano portato a queste riforme. L’amore e l’atto sessuale venivano falsamente “liberati” solo per favorire le logiche del nuovo potere omologante del mondo dei consumi. Le sue parole dovevano rappresentare un monito per mantenere vigili le coscienze davanti alle storture del sistema, non per sostenere la negazione di alcuni diritti. Forse anche oggi avrebbe reagito così, ma non per negare tutele e dignità, bensì contro il “politicamente corretto” portato all’eccesso – e dunque ipocrita – e contro il rischio di una diversità sessuale non accolta nella sua autenticità, ma tollerata per poi essere inglobata nella norma, e così privata di vitalità.  Ma stiamo sbagliando anche noi, non dovremmo chiederci cosa direbbe oggi un autore davanti a vicende che non vive, che sono rimaste al di fuori del suo orizzonte. Dobbiamo leggerlo e studiarlo per imparare dallo sguardo critico che ha esercitato nei confronti del suo contesto storico, per essere così allenati davanti ai problemi del nostro presente. Non dobbiamo seguire le sue posizioni ciecamente (cioè stupidamente), ma capire che rappresentano una provocazione per imparare a riconoscere gli elementi di criticità.

 

Per finire va detto naturalmente che anche parte dell’attuale opposizione non può dirsi innocente in tema di appropriazioni indebite. Il Pd non esprime certo una sinistra vera e convinta, non è un partito dalla voce né autentica né corsara, è più vicino semmai alla vecchia Dc, non cara a Pasolini. Per questo intitolare a lui la scuola politica del Partito Democratico non mi sembra un’operazione molto coerente.[9]

In ogni caso, tutte queste operazioni frutto dell’incompetenza e dell’ideologia di parte sono rischiose. Lo vediamo con il caso Pasolini, e lo vediamo nelle dichiarazioni d’apertura di vari membri del governo. Invece di costruire mirabolanti pantheon culturali, i politici pensassero ad acquisire, e soprattutto a dimostrare, le competenze necessarie per il lavoro che si candidano a fare: anche competenze storiche e letterarie (e speriamo vivamente di esser sorpresi, nonostante le premesse), ma in primo luogo competenze tecniche sui dossiers internazionali, economici e amministrativi, e forse, ancora più importanti, competenze morali, addirittura costituzionali, che spesso sembrano tristemente assenti.

 

Note

 

 

[1] Per fare solo un esempio, restando a quanto di nostra competenza: è difficile capire come chi da sempre considera un alleato politico Orban possa ascrivere al suo pantheon culturale Maria Montessori, che tanto lottò perché le donne potessero accedere ad ogni grado dell’istruzione, quando il governo Orban a settembre ha definito la situazione dell’istruzione pubblica ungherese preoccupante perché troppe donne sono iscritte all’università, presentando questo come un rischio per la figura maschile e per la stabilità della famiglia tradizionale

[2] La giustificazione secondo cui il titolo sarebbe stato scelto dall’editore lascia il tempo che trova, ogni autore ha voce in capitolo nel dettare, almeno parzialmente, il titolo delle sue opere, e se non condivide quanto proposto dall’editore si oppone, o chiede di trovare un compromesso. Se il titolo è passato, è perché lui era d’accordo. Così come sembra strano affermare che il titolo non rispecchia il contenuto del testo: allora perché lo si sarebbe scelto?

[3] Tra l’altro non è la prima volta, la neopremier, nella sua “produzione letteraria”, ha più volte fatto riferimento – senza ragioni ben chiare – a Pasolini, sottotitolando il suo primo libro – Noi crediamo (uscito nel 2011 per Sperling&Kupfer) – “Viaggio nella meglio gioventù d’Italia”, e dedicando spazio nel più recente bestseller autobiografico – Io sono Giorgia (uscito per Rizzoli l’anno scorso) – al ruolo da lei attribuito allo scrittore, come un’anticipazione di quanto poi fatto con l’annuncio pubblico del pantheon culturale di FdI durante la primavera di quest’anno.

[4] A. Viola, Il fascismo secondo Pasolini (1942-1975), Sesto San Giovanni, Mimesis, 2020. Pasolini non attacca mai direttamente il fascismo storico (sarebbe anche superfluo) ma, quando si premura di affermare che il nuovo fascismo neocapitalista è riuscito dove il precedente aveva fallito – omologare e uniformare la società –, riconosce che le intenzioni della politica del ventennio erano analoghe, e automaticamente le condanna. Quando in vari interventi rimpiange l’Italia rurale del tempo fascista non è nostalgia del regime ma del suo fallimento, e del persistere tenace dei dialetti e delle particolarità locali, nonostante le logiche accentratrici del potere. E di accentramento nazionale, identità al singolare, il programma di qualche partito al governo è ben esperto.

[5] Si veda al riguardo M. Belpoliti, Settanta, Torino, Einaudi, 2010, pp. 63-100.

[6] Anche se l’idea che la questione dell’aborto vada trattata in relazione a quella della sessualità, nei suoi più ampi risvolti sociali e culturali, trova una sua chiara spiegazione – se lo si legge fino in fondo – già nell’articolo Il coito, laborto, la falsa tolleranza del potere, il conformismo dei progressissi.

[7] P. P. Pasolini, Lettere luterane, Torino, Einaudi, 2003, pp. 24-25.

[8] Qui sta il punto: la contrarietà personale ad un certo tipo di scelta è legittima, ma bisogna avere la consapevolezza che la propria opinione non può in alcun modo impedire che ad altri sia concessa una possibilità. Ciascuno deve poter prendere la sua libera scelta, che non spetta alle opinioni altrui. E aggiungo, personalmente, che ciò vale anche nel caso di vari altri temi caldi per il futuro rapporto tra governo e opposizioni, come l’eutanasia.

[9] Ricorda la notizia sempre Alessandro Viola nell’introduzione del volume ricordato in precedenza.

7 thoughts on “Appropriazioni indebite: il caso Pasolini. La politica e la – mancanza di – competenza culturale

  1. “Pier Paolo Pasolini era un eretico, un critico, un ribelle e soprattutto uno spirito libero”, è il giudizio che va per la maggiore. Sì, Pasolini – scrittore, poeta, regista – è stato questo ed altro ancora. È stato un intellettuale geniale, gran moralista, nemico della frenesia consumistica. È stato vicino sia alla chiesa cattolica sia alla chiesa comunista. Ma da eretico. Si considerava un po’ il nuovo Dante, e tendeva a parlare continuamente di sé stesso, venendo per questo accusato di “autoreferenzialità”. Visse in maniera ossessiva la propria omosessualità. Figlio di borghesi, considerava la piccola borghesia la rovina del mondo, mentre solo i proletari, i poveri, i primitivi, possederebbero, secondo lui, una vera umanità.
    Il suo sguardo nostalgico sul mondo contadino, minacciato dal rullo compressore della modernità, pone il marxista Pasolini a fianco dei cultori dei valori della tradizione, tutti in genere di destra. Suo padre, del resto, fu fascista. Il fratello, partigiano comunista, fu “giustiziato” dai comunisti filojugoslavi. Contro il padre, con cui ebbe sempre un rapporto difficile, Pier Paolo si rifugiò nella corazza del mammismo. “Sono capace di provare amore solo per mia madre, negli altri cerco i corpi”, fu la sua spiegazione.
    Le contraddizioni di Pasolini sono vaste: benché comunista – anche se non iscritto, perché era stato espulso per indegnità “sessuale”, anni prima, dal Partito – si schierò in difesa del feto contro l’aborto, fu contro il divorzio, prese posizione a favore dei questurini contro i manifestanti, figli di papà. Pasolini, che aveva molto dell’esteta decadente, odiava però D’Annunzio.
    “Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere con te e contro di te; con te nel cuore, in luce, contro te nelle buie viscere”, si legge nel suo “Le ceneri di Gramsci”. E questo verso esprime non si potrebbe meglio la contraddizione in lui tra ciò che predicava e ciò che praticava.
    Pasolini, che si proclamava marxista – e in quell’epoca era necessario esserlo o almeno dichiarare di esserlo per sentirsi col vento della storia nelle vele – usò i termini “fascismo” e “male” in maniera interscambiabile, erigendosi a costante difensore del “bene”. Denunciò quindi anche “il fascismo degli antifascisti”.
    Attraverso questo suo Copyright sul “fascismo” non più fenomeno storico ma nuova categoria morale designante “sic et simpliciter” il male assoluto, di cui fu l’abile inventore, Pasolini cercò di superare le sue contraddizioni politiche e morali tanto che inghirlandò di politica e di moralismo, a beneficio delle platee “progressiste”, i suoi aberranti fantasmi sadomasochisti. Vedi il film “Salò”.
    I chierichetti della chiesa marxista si sono sempre battuti per assicurare a Pasolini il salvacondotto per il Pantheon dei buoni, cercando di trasformarlo addirittura in santo. Esaltando Pasolini, i complici morali della sanguinosa utopia alla Stalin e alla Pol Pot cercano di continuare a potersi presentare romanticamente ribelli, anticonformisti, eretici. Come Pasolini.

  2. Buongiorno, leggo solo ora e me ne scuso.
    Devo dire che il senso ultimo di questa risposta al mio articolo non si coglie. Come tanti discorsi di politici (spesso soprattutto di destra, ma non solo), si affastellano elementi su elementi, senza portarli ad una posizione di sintesi. Pasolini intellettuale della contraddizione, certo. Anche in questo sta la sua provocazione, per uscire dalle logiche dell’aut aut, del bianco e del nero, perché la realtà è ben più complessa, cosa di cui appunto non si rendono conto tanti politici nelle loro affermazioni. La situazione psicologica di Pasolini, il rapporto con padre e madre, non mi sembra che sia questione da trattare in questa sede, e di sicuro non con termini come “mammismo”, che nulla colgono della sua personalità e della sua espressione poetica.
    Si cita poi un verso dalla Ceneri, inflazionato e slegato da aspetti specifici affrontati. Solo perché evoca la contraddizione.
    Parlare del concetto pasoliniano di fascismo come modo per “inghirlandare” fantasmi sessuali, è assurdo e riduttivo. Il sesso è un problema centrale per Pasolini, ma se si studia l’autore veramente si vedono le sue riflessioni profonde – certo sul filo della provocazione (ancora) prprpio attraverso accostamenti quelli sessuali – riflessioni di carattere sociale e politico, fatta da intellettuale e poeta, non da sociologo. Ma comunque lucide e rilevanti. Dalla finale menzione di sanguinosi complici di Stalin e Pol Pot (chi sono?), sembra capire che tutto il commento serva solo a demonizzare il comunismo, attraverso un pretesto strumentalizzato. Ma Pasolini non ha nulla a che fare con Stalin, e il pensiero marxista è ben altra cosa da quello che vari folli hanno realizzato nel xx sec., sebbene alla destra faccia comodo confondere le cose.
    Infine, sembra proprio che non si sia colto il punto del mio articolo quando si dice “si schierò in difesa del feto contro l’aborto”. Questa frase da moraletta cattolica era proprio estranea al pensiero di Pasolini, che espresse contrarietà personale per un senso sacro – in senso assoluto, forse pagano, e certo non cattolico – di ogni vita, non parlava di anima del feto e altre cose simili. Ma soprattutto, come ho cercato di mostrare in modo chiaro (ma sembra che non si voglia capire), Pasolini proponeva un pensiero complesso, legato ad una riflessione socio antropologica del mondo che stava cambiando, e legata alla visione della sessualità nel suo insieme, anche alle diversità sessuali (e qui mi si dice “visse ossessivamente l’omosessualità”, sminuendo un vissuto personale e poetico). E ancora, contrarietà personale sì, ma favorevole alla fine dei conti ad una legalizzazione controllata.
    Perciò, ripeto, non colgo il senso e la vera intenzione del commento lasciato, che sembra ignorare quanto io dico nel mio testo.
    Mi scuso per la lunga risposta e auguro a tutti buona giornata,
    Matteo Cazzato

  3. Condivido in gran parte le argomentazioni di Matteo Cazzato per quanto concerne le “appropriazioni indebite” di menti e sensibilità da parte di certa politica il cui livello di ignoranza si accompagna sovente alla strumentalizzazione più rude e sconcertante. Anche Pier Paolo Pasolini non è sfuggito e non sfugge al destino della manipolazione e dell’utilizzazione che fa scempio della sua enorme complessità: non può essere infatti consentita un’ attribuzione, secondo le usuali categorie, della sua ben nota ereticità (cfr Il Fascismo degli antifascisti).
    Il commento precedente rende giustizia al suo pensiero libero, spiazzante e sempre “oltre”.
    Sento invece di portare un contributo critico al tema del pantheon femminista ( così definito da Cazzato) declinato dalla Presidente Giorgia Meloni nel suo discorso alle Camere.
    Non penso che la citazione di donne che sono state fonte di ispirazione per molte di noi , compresa la Presidente Meloni, sia stata proposta quale “tratto biologico” sufficiente per costruire modelli di futuro per il nostro Paese.
    La lontananza tra le sensibilità richiamate e la stessa Presidente, nonché fra alcune di esse, è assolutamente acclarata , ma non si tratta di riferimenti ideologici; la coerenza profonda invece esiste, eccome.
    Noi sappiamo tutta la fatica e l’impegno che noi donne ancora dobbiamo mettere in campo per trovare il nostro posto in ogni settore. Per non mollare abbiamo bisogno di modelli femminili positivi, a prescindere dalla loro collocazione ideologica, che possano sostenerci per superare tutti “gli esami” a cui siamo sottoposte nelle nostre vite.
    Questa trasversalità è necessaria ( e spariglia le carte ), sarebbe davvero significativo non lo fosse più.
    I riferimenti ideologici di Giorgia Meloni sono chiari e da me niente affatto condivisi ma solo oggi una donna occupa un posto per il quale ha lottato e si è spesa con grande energia , un posto fino a ieri con un “tratto biologico” – questo sì – coerente con una visione del mondo non più accettabile.

  4. Buongiorno! Ringrazio per questo commento che arricchisce la riflessione.
    Condivido tutte le osservazioni proposte, e penso che avere per la prima volta una presidente del consiglio sia un segnale di sicura importanza. È anche giusto che i modelli siano trasversali, appartenenti a diverse sensibilità e storie. Dico solo che il termine Pantheon serviva per riallacciarsi all’episodio precedente, di questa primavera, che riguardava Pasolini.
    Continuo però a vedere un problema, ma questa è solo la mia posizione. Quando dico che non basta la condivisione di un tratto biologico non è affatto in senso riduttivo. Penso che al di là di questo elemento, fra chi si richiama ad una figura modello e la figura stessa debba esserci una profonda vicinanza di pensiero, anche e proprio in questo caso nello specifico del femminismo, sennò le cose non funzionano. E ciò soprattutto in sede di fiducia parlamentare, in cui si deve dare una visione di paese e futuro. Perché anche sul tema del femminismo si deve dare una visione, nuova e che produca un vero cambiamento. La prima donna che diventa premier è fatto importantissimo, ma se viene meno la coerenza fra lei e i modelli femminili proprio sul femminismo, qualcosa non torna. E qui la coerenza profonda sul tema non c’è. Lascia sempre il tempo che trova, ma guardiamo anche il mero dato numerico, seppur minimo: nel governo precedente su 23 ministri 8 erano donne, e anche in ministeri di peso (non è una presa di posizione a favore o meno, è un dato) ; in questo esecutivo su 24 ministri 6 sono donne, e nessun ministero di quelli fondamentali è occupato da loro (né giustizia né interni, come era prima). Ma torno su una cosa che dicevo nell’articolo : la coerenza profonda manca se chi evoca la Montessori poi è amico di Orban che in sostanza vorrebbe ridurre l’accesso all’istruzione per le ragazze, se davanti a certe dichiarazioni non prende le distanze e non critica (nessuno ha detto nulla, la cosa è passata sotto silenzio da parte dei suoi alleati italiani). Discorsi simili potrebbero essere fatti anche per altre delle donne ricordate in Parlamento.

    Questa è una vera contraddizione, rischiosa e ambigua, e non come quella pasoliniana provocante e stimolante per il pensiero critico.
    Perciò penso che tutte le osservazioni proposte nel commento siano valide in sé, le condivido del tutto, ma nello specifico della neo premier, secondo me, non si applicano pienamente, e per questo viene meno la coerenza proprio sul tema del femminismo. Lei ha lottato per arrivare dove è, e va riconosciuto. Ma una volta lì, le parole si misurano sui fatti, e continuo a sperare di essere smentito, anche se al momento non mi sembra sia così (come su altri temi dimostrano le azioni dell’esecutivo di questi giorni). Serve coerenza fra i discorsi (come quello in cui si evocano i modelli femminili) e le azioni, anche nel senso della scelta di alleanze e relazioni politiche. In altri casi la neopremier si è mostrata coerente, va detto, anche se non condivido nel modo più assoluto le sue posizioni. In questo caso la coerenza non c’è, e proprio sul femminismo. Quando criticherà apertamente e senza ambiguità Orban, e in sede europea voterà per sanzionare e prendere misure contro quel governo pericoloso, allora sarà coerente coi modelli femminili che ha ricordato.

    Ringrazio ancora per questo commento, e auguro buona giornata a tutti,
    Matteo Cazzato

  5. Pur avendo avvedutamente puntato sull’“Unità”, il quotidiano comunista che era sempre in bella mostra nella tasca della sua giacca quando girava i suoi film (testimonianza fattami da un testimone diretto), Pasolini non fu uno spirito fazioso. Cio’ forse spiega le sue “contraddizioni”. Tali se misurabili col metro “partitito”, metro abbondantemente usato nei commenti di questo blog, dove vi è chi non riesce a formulare un pensiero, su Pasolini, che non sia anche una denuncia della Meloni e del suo partito.
    Occorrerebbe andare un po’ al di là, spezzando questi schemi di un ideologismo ad oltranza che affligge l’Italia. Dimentichiamo “destra” e “sinistra”. Io, nel mio ritratto sintetico di Pasolini, sono stato costretto ad alludervi perché in fondo lo stesso Pasolini, per autodifesa, fu a questi schemi sensibile, anche perché nell’estremo spirito manicheo del tempo se non ci si dichiarava comunisti non si sarebbe fatta carriera. Come durante il fascismo era importante sentirsi col vento della storia nelle vele…
    E difatti il giovane Piepraolo Pasolini partecipo’ al convegno dell’Unione degli scrittori europei che si tenne a Weimar dal 7 all’11 ottobre 1942 .
    Noi sappiamo che della delegazione facevano parte Giovanni Papini, Emilio Cecchi, Antonio Baldini, Enrico Falqui, Natalino Sapegno, Arturo Farinelli, Pier Paolo Pasolini, ed altri ancora. Sulla partecipazione di questi intellettuali a questo convegno, che non è improprio chiamare “nazifascista”, dato che consolidava tra Roma e Berlino sul piano culturale un’unione già esistente sui campi di battaglia, pochi critici si attardano, probabilmente perché essa costituisce un elemento di disturbo in un’immagine consacrata di certi personaggi in seguito approdati dal fascismo a un antifascismo di stampo socialcomunista.
    La descrizione di quelle giornate, fattaci da Pintor, giovane intellettuale germanofilo, è molto lontana dalle immagini accreditate posteriormente da critici fervorosi, politicizzati come il vento della storia comandava. Pintor:
    “Ci furono innumerevoli brindisi e innumerevoli discorsi, gite e concerti […] E sullo sfondo di queste fitte giornate vedemmo muoversi e funzionare la grande macchina tedesca.”
    Al convegno intervenne anche Goebbels: “Soldaten und Fahnen, hoch!’ gridò il più elevato dei gerarchi presenti ed entrò Goebbels col suo passo strascicato e un seguito di soldati in uniforme. Quindi la sala si ricompose lentamente mentre l’orchestra suonava musiche militari. Parlò per primo il Gauleiter della Turingia, Sauckel, il quale, salutato il ministro, definì i nemici contro i quali combatte l’Asse: bolscevismo, democrazia, giudaismo, americanismo.”
    Il giovane Pierpaolo Pasolini in un articolo nel giornale Architrave dei Gruppi universitari fascisti (GUF) di Bologna, inneggerà al ponte Firenze-Weimar del 1942. E ricorderà nel settimanale del GUF di Bologna, tra le altre cose, di aver passeggiato “con ansia quasi tremante […] lungo le favolose vie insieme con i giovani camerati spagnoli ”.

  6. Buongiorno,
    trovo nuovamente l’intervento totalmente slegato da ciò di cui io ho voluto parlare. Rifiuto del tutto la critica del non saper formulare giudizi su Pasolini che non siano di parte politica. Io studio Pasolini nelle mie ricerche all’università, mi sono occupato della sua opera senza mai cercare questioni politiche da affrontare, concentrandomi su tutt’altro, di maggior interesse. Ma davanti agli usi partitici distorti e scorretti penso sia giusto intervenire per correggere i politici, in buona come in mala fede. Inoltre, l’uso partitico mi sembra più legato a chi coi commenti si rifiuta di affrontare la questione specifica, spostando il focus senza motivo dalla proposta iniziale, come sta accadendo qui.
    Su Weimar e gli anni giovanili di Pasolini, non è affatto vero che i critici non si soffermano. Ci sono diversi interventi al riguardo se ci si informa, e spiegano la complessità della situazione, ben diversa da come qui è stata sintetizzata la vicenda. Pasolini incontrò in quell’occasione giovani intellettuali e poeti da tutta Europa che sulle questioni culturali portavano avanti idee opposte a quelle del fascismo, e che nonostante il contesto, ebbero lì l’occasione di conoscersi e confrontarsi, al di là di tutte le scenografie di contorno (F. Vighi, Le ragioni dell’altro ) .
    Poi a ognuno le sue idee, su Pasolini e sulla politica attuale

    Detto questo, penso che in questi giorni ci siano fatti più importanti a cui pensare a livello mondiale, che vedono coinvolto un dittatore (tale ben prima della guerra) elogiato in passato da tutti i membri di questo governo.

    Buona giornata a tutti,
    Matteo Cazzato

  7. ” Trovo nuovamente l’intervento totalmente slegato da ciò di cui io ho voluto parlare.”
    -Io ho voluto parlare semplicemente di Pasolini, al di fuori degli schemi abituali.
    ” Pasolini incontrò in quell’occasione giovani intellettuali e poeti da tutta Europa che sulle questioni culturali portavano avanti idee opposte a quelle del fascismo.”
    -In realtà, il giovane Pasolini prese una posizione chiara, allora. In seguito, questo gemellaggio fu cementato da vari incontri tra “giovani di tutti i Paesi europei che condividono le idealità rivoluzionarie espresse dal Fascismo e dal Nazionalsocialismo”, come si espresse Pasolini. Quanto all’evoluzione di tanti intellettuali italiani, fascisti, anche se fascisti sui generis, all’epoca del Fascismo e antifascisti a tempo pieno all’epoca dell’antifascismo, la spiegazione in molti casi ci è data dalla massima di Elio Vittorini: “È sempre tanto più facile lasciarsi prendere da una corrente che resistervi.”
    “Detto questo, penso che in questi giorni ci siano fatti più importanti a cui pensare a livello mondiale, che vedono coinvolto un dittatore (tale ben prima della guerra) elogiato in passato da tutti i membri di questo governo.”
    -La cosa più’ importante, anche in questa replica al mio commento, continua ad essere il governo Meloni. Cio’ conferma l’analisi da me fatta anteriormente: “… metro “partitito”, metro abbondantemente usato nei commenti di questo blog, dove vi è chi non riesce a formulare un pensiero, su Pasolini, che non sia anche una denuncia della Meloni e del suo partito.”

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