di Francesco Ottonello

 

[Presentiamo in anteprima un estratto dell’introduzione e del primo capitolo di Franco Buffoni un classico contemporaneo. Eros, scientia e traduzione, una monografia di Francesco Ottonello appena uscita per la collana «Quaderni Per Leggere» diretta da Natascia Tonelli e Simone Giusti per  Pensa MultiMedia Editore.]

 

Introduzione

 

Connettere l’analisi critica dell’opera di uno dei maggiori poeti italiani tra Novecento e anni Duemila ai riusi della letteratura classica, con aperture ad altre tradizioni letterarie e discipline, mi è parso il modo più efficace per verticalizzare lo studio della poesia contemporanea, oltrepassando una certa vulgata di ‘fine della tradizione’, che aleggia da decenni[1]. Nella convinzione che la poesia – nei risultati migliori – resti per eccellenza l’arte stratificata della parola, connessa al riuso e avversa al consumo della lingua, al chiacchiericcio (das Geschwätz) di celaniana memoria.

Devo a Massimo Gioseffi, ordinario di Letteratura Latina all’Università degli Studi di Milano e mio relatore per la tesi magistrale (I motivi omoerotici nella poesia di Franco Buffoni tra classico e contemporaneo), l’orientamento allo studio della ricezione classica nella poesia italiana contemporanea. Sono grato anche a Mauro Novelli, che come correlatore mi suggerì un’ulteriore direzione di analisi relativa all’evoluzione della funzione ironica nella produzione del poeta[2].

 

L’opera di Franco Buffoni ben si è prestata a questo tipo di analisi, l’autore avendo ricevuto una formazione classica ed essendosi poi specializzato in Letteratura Inglese e Letterature Comparate, mostrando nei suoi testi una sempre vigile coscienza di varie tradizioni letterarie, nonché un’acuta curiositas per varie discipline: dall’arte alla paleontologia, dall’antropologia all’astrofisica.

Attraverso l’eros – da intendersi con Luca Canali come sessualità e come ideale (1987) – sia la pulsionalità sia l’immaginario concorrono in maniera decisiva alla costituzione del testo letterario. L’eros segna la scrittura di Buffoni in quanto caratterizza in profondità le modalità attraverso cui l’individuo aderisce al mondo, marcando le tracce, determinando le esperienze, plasmando l’habitus che la vita andrà ad assumere (reprimendo, celando o affermando il proprio universo pulsionale).

 

In tale ottica, l’autore di Il profilo del Rosa è particolarmente significativo perché la sua opera affronta in maniera critica e sfaccettata un ampio spettro di tematiche amorose, incrociandole in modo originale con istanze di critica sociopolitica. Nello specifico, la presenza di motivi omoerotici nella sua poesia risulta così articolata da indurci a configurare Franco Buffoni come una delle voci poetiche di riferimento sul tema[3].

Il 10 dicembre 2012, all’Università degli Studi di Siena, presentando l’antologia Le parole tra gli uomini curata da Luca Baldoni (2016, II ed.), Guido Mazzoni ha dichiarato[4] che – dopo Sandro Penna (dagli anni Trenta), Pier Paolo Pasolini (dagli anni Cinquanta), Dario Bellezza (dagli anni Settanta) –  «l’ultima stazione è quella che si può collocare negli anni Novanta-anni Zero. E qui il poeta di riferimento è Franco Buffoni. Con lui il tema dell’omosessualità si lega alla rivendicazione esplicita di diritti. Mentre fino agli anni Ottanta la poesia omosessuale è quasi esclusivamente incentrata sul tema erotico, a partire dagli anni Novanta emerge prepotentemente in Franco Buffoni, e poi anche in altri poeti nati negli anni Sessanta e Settanta, il tema della rivendicazione dei diritti. Con l’immissione dunque di una tematica esplicitamente politica all’interno di questo territorio. E tipicamente ‘occidentale’ è il tipo di omosessualità rivendicata da Franco Buffoni, che intorno al tentativo di importare anche in Italia tale modello, imponendolo come il paradigma del futuro, ha giocato la propria battaglia culturale, letteraria e poetica».

 

La voce di Buffoni risulta pertanto innovatrice e la sua opera dimostra una coscienza critica di varie tradizioni di poesia omoerotica – oltre a quella italiana – che agiscono come sostrato, dalle letterature classiche greca e latina a quella anglosassone e quella francese[5].

Questa monografia è strutturata in quattro capitoli. Nel primo viene fornita un’introduzione generale all’autore dal punto di vista bio-bibliografico [1]; nel secondo si sviluppa un’analisi testuale lungo l’arco di un quarantennio, scandendo attraverso l’eros tre stagioni poetiche [2]; nel terzo si approfondisce l’orizzonte intellettuale di Buffoni con opportune messe a fuoco sulla poetica [3.1], sull’opera in prosa saggistica e narrativa [3.2] e sull’attività di traduttore e teorico della traduzione [3.3]; nella quarta si apportano ulteriori contributi critici sulle interconnessioni tra poesia e latinitas [4.2], storia [4.3], scienza [4.4], con una problematizzazione della definizione di classico contemporaneo in un paradigma di transmodernità [4.1].

 

Quanto al titolo di questo lavoro, inizialmente ho pensato al verso di Buffoni Vincerai tu. Dovrai patire, per il nesso tra dolore e conoscenza, che si collega strettamente all’eros. In seguito ho valutato Franco Buffoni tra classico e contemporaneo per quell’idea di sintesi tra classico e contemporaneo che l’autore è riuscito a incarnare nel corso di cinque decenni di attività; successivamente, completate anche la parti dedicate a Buffoni saggista e narratore, ho preferito sintetizzare ulteriormente il concetto, confortato dalla definizione di ‘classico’ desumibile da Gian Luigi Beccaria in Le forme della lontananza, come esito dell’approfondito dibattito apparso sulla rivista «Sigma» (XVI, 2-3, 1983) su ‘Grande stile e poesia del Novecento’. Un classico è tale perché fondato sull’idea «del fatto, del finito, del solido, del dilagato della materia da ricondurre all’incisione, alla solidità […] della forma che […] permane» (Beccaria 1989, p. 27). Classico dunque come ciò che diventa acquisito, assodato, inconfondibile anche nei suoi eccessi e nei suoi difetti, ma che persino grazie a questi è riconosciuto come un maestro[6].

 

Anche per uno studioso è necessario che un testo poetico eserciti primariamente un incantamento, in modo che il tentativo di lettura critica consegua al godimento estetico. Sono convinto che per comprendere e apprezzare appieno la scrittura di Franco Buffoni occorrano numerose letture, ma è proprio per via di un primo fascino atipico, perlomeno rispetto alla tradizione italiana, che si è indotti a tornare sulla sua opera. E quando finalmente si riesce a entrarvi non si è più grado di uscirne. Con l’auspicio che questa prima monografia sull’opera omnia dell’autore possa fungere da strumento critico per una comprensione più profonda e da viatico ideale per la lettura[7].

 

1.1 Vincerai tu. Dovrai patire

 

Il verso posto in esergo e scelto come titolo di paragrafo è il finale della poesia Vorrei parlare a questa mia foto accanto al pianoforte del libro centrale della produzione di Buffoni: Il profilo del Rosa. Chiude la prima sezione Nella casa riaperta[8], incentrata sull’infanzia e l’adolescenza rivissute attraverso lo sguardo della maturità durante un ritorno nella casa natale.

Isoliamo ora il verso finale: con l’efficacia di un novenario[9] doppiamente lapidario reca un riverbero dell’antica espressione eschilea πάθει μάθος (Ag., v. 177). Conoscenza attraverso il patimento, crescere imparando e soffrendo: si sintetizza così un nesso fondamentale nell’opera di Franco Buffoni, ovvero quello tra sofferenza e affermazione di sé. Nel cosiddetto inno a Zeus dell’Agamennone di Eschilo (vv. 160-183) il Dio, chiunque egli sia, che ha instradato gli uomini all’attività del pensiero, pone «come legge basilare dell’esistenza il fatto che ognuno apprende attraverso la sofferenza che lo colpisce» (Medda 2007, p. 8). Il dolore letteralmente ‘gocciola’ davanti al cuore dell’uomo, con ricordi di affanni passati. Spetta poi a ciascuno riequilibrarsi con la necessaria saggezza. Come Pier Paolo Pasolini scrisse, traducendo lato sensu il finale del passo di Eschilo, «il rimorso s’infiamma, / è in esso, inconscio, la coscienza: / così si attua la violenza d’amore» (Pasolini 2020, p. 29).

 

Anche per Buffoni, come per il poeta di Casarsa in «incontro trasformazionale» (Ottonello 2018, p. 52) con quello greco, «solo chi soffre, sa» (Pasolini, Ibid.) e se vogliamo solo chi soffre può dire di avere amato, di avere conosciuto e di potere ambire a una qualche vittoria, sempre che la ferita non sia ormai andata «in setticemia»[10]. Pertanto nella chiusa gnomica «Vincerai tu. Dovrai patire» tornano sia l’ineluttabilità del dolore sia l’auspicata possibilità di un riscatto prettamente umano. Alla tragedia del mondo può seguire davvero una liberazione dell’individuo, se è in grado di non negarsi a sé stesso nel costante attraversamento del dolore.

A questo punto, potremmo – dovremmo – interrogarci su quale sia più nello specifico il nucleo profondo del conflitto per il nostro poeta, da che cosa tragga origine e rispetto a che cosa sia possibile una soluzione vittoriosa. Riportiamo il testo per intero:

 

Vorrei parlare a questa mia foto accanto al pianoforte,

Al bambino di undici anni dagli zigomi rubizzi

Dire non è il caso di scaldarsi tanto

Nei giochi coi cugini,

Di seguirli nel bersagliare coi mattoni

Le dalie dei vicini

Non per divertimento

Ma per sentirti davvero parte della banda.

Davvero parte?

Vorrei dirgli, lasciali perdere

Con i loro bersagli da colpire,

Tornatene tranquillo ai tuoi disegni

Alle cartine da finire,

Vincerai tu. Dovrai patire.

 

L’Io[11] si rivolge a sé stesso bambino ripensando alla propria estraneità rispetto a passioni, interessi e obiettivi dei coetanei maschi della famiglia, in un gioco infantile che è simbolo di un’intera società adulta, allineata alla pretesa norma. Il testo in versi liberi è costituito da quattro parti: i due lunghi periodi retti dal condizionale presente «vorrei» – come se fosse davvero possibile un dialogo nel tempo – sono inframmezzati dalla proposizione nominale «davvero parte?», che con un’interrogativa retorica ribadisce scetticismo verso un’appartenenza autentica al gruppo. In chiusura il novenario con i due verbi al futuro semplice contiene la duplice predizione di sofferenza e vittoria.

 

Nello specifico, il motore generatore della poesia è un’esperienza ben delineata: avere rivisto nella casa natale una fotografia di sé a undici anni. L’Io esprime il desiderio di rivolgersi a quel bambino, per poterlo confortare da una solitudine irredimibile, in cui si esprime precocemente un senso di diversità ed esclusione. Seppure non esplicitata in questo caso, ma essendo palese considerando macrotesto e contesto, emerge una latente omosessualità come profonda ragione del non sentirsi «davvero parte della banda». Le soluzioni al tempo parevano essere due: fingere un’integrazione con il modello precostituito di virilità, oppure adattarsi a uno status di forzata solitudine; in ogni caso nutrendo all’interno un patimento ineluttabile.

Il valore universale di questo testo non esclude la possibilità di un’interpretazione più articolata e precisa. Proprio perché entrano in gioco l’aspetto fondamentale della conoscenza e un graduale affrancamento dalle pastoie sociali, la sofferenza non coincide con l’esplosione in vittimismo e autodistruzione. Non è sprecata e ripiegata ermeticamente in sé – come accadeva in Pasolini e Bellezza – ma sprona alla lotta, rendendo il soggetto che se ne sa servire degno di un riscatto vittorioso, a livello sia individuale sia sociale.

 

Come vedremo nei capitoli successivi, quella di Buffoni è una poesia di scientia, complementare a una poesia dell’eros. Proprio per questo nesso tra doctrina e bios, sviluppato in maniera originale, la poesia di questo autore è risultata una delle più riconoscibili a cavallo tra Novecento e anni Duemila. Scoperta di sé ed esplorazione dell’altro non possono che svilupparsi insieme, come rami dello stesso albero. E il punto di congiunzione è la traduzione in scrittura delle esperienze, letterarie e biografiche, per offrire attraverso lo sguardo poetico una visione rinnovata del mondo.

La vita di Franco Buffoni ha a che fare infatti con un percorso di formazione senza termine, un vero long life learning, da studioso di primo ordine, nel senso innanzi tutto etimologico (dal latino stŭdĕo) di appassionato, desideroso di sapere. Il suo percorso è all’insegna di un labor sui testi e di una lotta agonistica, ma accorta e meditata, contro un intero sistema che potremmo definire ‘del padre’ (paterno e eteropatriarcale) per affermare una altrettanto robusta e al contempo elastica disciplina ‘del figlio’. Buffoni si è fatto così strada nella società attraverso la conoscenza della poesia, e nella poesia attraverso la conoscenza del mondo. Pertanto la professoralità – primariamente da anglista, poi da traduttore-traduttologo e da comparatista – gioca un ruolo non trascurabile nell’analisi della sua poesia docta e della sua poetica all’insegna della comparazione dei mondi e delle civiltà culturali.

 

1.2 Propedeutica all’opera di Franco Buffoni

 

Escludendo le uscite in rivista e in antologia, le numerose plaquette e le due raccolte antologiche italiane (1993, 2012)[12], nell’arco della produzione poetica di Franco Buffoni possiamo enumerare diciassette sillogi: una trilogia di esordio formata da Nell’acqua degli occhi (1979), I tre desideri (1984) e Quaranta a quindici (1987); la raccolta del ‘coming out poetico’ Scuola di Atene (1991); la «trilogia della Bildung» (come definita da Gezzi 2012, p. xii), composta da Suora carmelitana e altri racconti in versi (1997), Il profilo del Rosa (2000) e Theios (2001); la peculiare raccolta poetologica Del maestro in bottega (2002); il libro che scava nella storia e nella violenza Guerra (2005); Noi e loro (2008), che forma quella che indicheremo come ‘trilogia omorivendicativa’ [2.4] insieme a Jucci (2014) e Avrei fatto la fine di Turing (2015); la silloge sul rapporto da ‘longobardo’ con la città eterna Roma (2009); il prosimetro O Germania (2015); il dramma in versi Personae (2017); il libro di bilancio La linea del cielo (2018); e la raccolta che apre con originalità il nuovo decennio Betelgeuse e altre poesie scientifiche (2021).

 

Il profilo del Rosa si staglia nel 2000 come uno spartiacque ideale tra i due secoli nella produzione più che quarantennale del poeta. Non è un caso che al primo libro di Buffoni uscito per «Lo Specchio» Mondadori la critica abbia dedicato una particolare attenzione. Tra i saggi critici più acuti vi è quello di Guido Mazzoni[13], per il quale Il profilo del Rosa è «uno dei libri di poesia più interessanti dell’ultimo decennio e uno dei migliori fra quelli mai scritti dagli autori della generazione cui Buffoni appartiene» (2005, p. 136). Come osserva Maria Borio, potremmo considerare questo libro uno di quelli fondamentali a cavallo tra Novecento e Duemila, insieme a Tutti (1998) di Umberto Fiori, Notti di pace occidentale (1999) di Antonella Anedda e Umana Gloria (2004) di Mario Benedetti, in quanto riesce a superare criticamente «l’esistenzialismo, l’ironia postmoderna e, in una dimensione che accetta la fluidità e l’ibridazione, rinnova l’idea di canone, di generi, ma soprattutto il rapporto tra scrittura ed etica e tra soggettività e conoscenza» (2018, p. 16).

 

Tenendo come baricentro il libro del 2000, possiamo enumerare nel ventennio novecentesco che lo precede (1979-1999) cinque raccolte, in media una ogni quattro anni, mentre per il ventennio successivo (2001-2021) escono dodici raccolte, ovvero più di una ogni due anni. Inoltre, al ventennio dei Duemila sono da aggiungere i dieci libri della produzione narrativa fortemente ibridata con la saggistica, per cui Mazzoni ha parlato di «docu-fiction»[14]: il manifesto intellettuale Più luce padre. Dialogo su Dio, la guerra e l’omosessualità (2006); il lavoro narrativo recuperato da un’autocensura degli anni Settanta Reperto 74 e altri racconti (2008); il romanzo dialogico sull’omosessualità Zamel (2009); il pamphlet Laico alfabeto in salsa gay piccante. L’ordine del creato e le creature disordinate (2010); il romanzo incentrato sulla vita di Byron Il servo di Byron (2012); il libro autobiografico La casa di via Palestro (2014); la raccolta di racconti Il racconto dallo sguardo acceso (2016); e infine una trilogia che definiremo di ‘biofiction omorivendicativa’ [3.2.4], composta da Due pub, tre poeti e un desiderio (2019), Silvia è un anagramma (2020) e Vite negate (2021).

 

Si constata che, mentre la maggior parte delle pubblicazioni di saggistica accademica e di traduzione appaiono nei decenni novecenteschi [3.2.1], corrispondenti a un maggiore impegno dell’autore nella ricerca e nella didattica universitarie, i due decenni del Duemila registrano una più considerevole prolificità artistica. Un altro aspetto piuttosto sorprendente da rilevare è come ogni raccolta poetica risulti un libro a sé stante, con un nucleo chiaro e ben distinguibile dagli altri, con un progetto di poetica sviluppato nella sua specificità, al di là dei singoli casi di riuso testuale.

Appare evidente una linearità nel percorso poetico di Buffoni con un’evoluzione verso toni sempre più impegnati civilmente e disvelati autobiograficamente, pur non scomparendo la fredda amarezza di fondo e il gusto per l’ironia, che varia tra giocosità e persiflage, presenti fin dalle prime raccolte. Si può rintracciare però anche una certa sinuosità, avente a che fare con un discorso di intertestualità interna che Maria Corti soleva definire cronologicamente «regressiva» (1983, p. 70)[15]. Infatti alcuni testi sono soggetti a riuso in raccolte successive e spesso subiscono una rifunzionalizzazione rispetto al macrotesto: con riprese identiche, con varianti minime o con modifiche più consistenti.

 

Forniamo due esempi paradigmatici. La poesia Per tutti i Walter, presente nella prima raccolta del ’79 (p. 47), riappare in Scuola di Atene (pp. 41-43) e nella prima autoantologia Adidas (p. 15) segmentata in quattro testi con il titolo Nel quarantanove, venendo ad assumere un significato inequivocabile circa la riflessione sul suicidio omofobico[16]. E ancora la poesia Il mio vero nome è così conosciuto (p. 93), dopo essere apparsa nel Profilo, viene inglobata e sviluppata da un ulteriore punto di vista nel testo Dietro un muretto (pp. 10-11) della raccolta Jucci. L’autore compie qui un’ulteriore riflessione in dieci versi su «una poesia dei sedicianni», che presenta un chiaro indizio di omofobia interiorizzata, con l’utilizzo del lemma «invertiti». Il componimento presenta inoltre nove versi in chiusura, connessi alla tragica morte di Jucci, atti a ribadire come sia insensato ricercare le ‘cause’ di un eros inscindibilmente legato al proprio essere. Perché «Non si nasce né si diventa: / Si è. Con la verità infilata dentro / Come un orecchino».

 

Per questioni stilistiche e attraverso il filo conduttore dell’eros, possiamo individuare una coesione nei primi tre libri (1979-1987), che risentono di un paradigma di postmodernità [4.1]. I motivi omoerotici sono presenti in maniera velata, con richiami ad autori e personaggi delle letterature classiche, spesso attraverso il filtro della letteratura inglese o quello della pittura [2.2].

Si apre una seconda stagione a partire dalla silloge del ’91, Scuola di Atene, con un esplicito coming out poetico e lo sviluppo delle prime istanze narrative: come nel caso della sezione Marino, un ciclo unitario di cinque poesie. Segue la trilogia della crescita a cavallo tra anni Novanta e Zero (1997-2001), composta da Suora Carmelitana e altri racconti in versi, Il profilo del Rosa e Theios. Al di là delle differenze tra le singole raccolte, in tutte troviamo sviluppate l’istanza narrativa e la funzione autobiografica, potendo rintracciarvi dei nuclei più sostanziali di omorivendicazione [2.3].

 

La critica rivendicativa a partire dal proprio eros, con una riflessione ad ampio respiro sulla storia dell’omosessualità[17], viene ulteriormente approfondita in quella che proponiamo di definire una trilogia omorivendicativa a cavallo fra anni Zero e Dieci (2008-2015), inaugurata da Noi e loro, culminante in Jucci e conclusasi con Avrei fatto la fine di Turing. L’omorivendicazione è il nucleo propulsore di queste raccolte, a partire dal progetto stesso di poetica. E alla stessa fase appartengono la silloge Roma, incentrata sulle epifanie erotico-lavorative offerte dalla capitale, e Personae, testo drammaturgico in versi, in cui insieme all’eros sono centrali le istanze politico-civili [2.4].

Parallelamente sono da considerare gli altri cinque libri di poesia degli anni Duemila, che saranno affrontati insieme all’opera in prosa sotto diverse luci. In particolar modo, nel terzo capitolo saranno prese in esame le sillogi più autoriflessive e metapoetiche Del maestro in bottega e La linea del cielo [3.1]. Nel quarto si approfondiranno in rapporto alla guerra, alla storia e alla figura paterna Guerra e O Germania [4.3], chiudendo il lavoro con una focalizzazione su scienza e antropocene in Betelgeuse e altre poesie scientifiche [4.4].

 

Note

 

[1] Paolo Giovannetti in La poesia italiana degli anni Duemila (2017) ha sottolineato la vacuità del discorso sulla crisi della poesia italiana, evidenziando la capacità di resistenza e rinnovamento del genere poetico.

[2] In seguito alla tesi, dal 2019 al 2021, alcuni miei articoli su Franco Buffoni sono stati pubblicati sulle riviste «ACME», «Atelier» e «L’Ulisse». Singole recensioni e altri contributi non riportati nella bibliografia di questo volume appaiono su diversi siti letterari e su «l’immaginazione» 309, «OBLIO» 37, «Traduttologia» 20-21, «Semicerchio» 65.

[3] Giovanni Tesio ha sottolineato al riguardo che «uno dei temi decisivi della sua poesia è il tema della “differenza”, dell’alterità vissuta nella carne, nelle più intime fibre» (2012).

[4] La trascrizione è mia (m. 0.00-4.35). Potendo avvalerci di fonti multimediali per lo studio della poesia contemporanea, riportiamo in bibliografia una sezione di videografia e podcast di trasmissioni radiofoniche con link annessi. L’ultimo accesso risale al 22 marzo 2022.

[5] Shakespeare, Byron, Whitman, Auden, Rimbaud, Verlaine sono palesemente citati (gli anglosassoni molte volte, i due francesi in Quaranta a quindici e in Del maestro in bottega), ma sono solo alcuni esempi. Si pensi al rimando a García Lorca nella poesia Sguardi da priore, interno (Il profilo del Rosa, p. 101). Come vedremo, non mancano relazioni intertestuali con altre letterature, come quella tedesca, e interessi comparatistici verso il mondo medio-orientale.

[6] Come ha dichiarato Giovannetti: «Ci sono alcuni maestri. Da Nanni Balestrini e Franco Loi, ultraottantenni, ai sessantenni Patrizia Valduga, Valerio Magrelli, Fabio Pusterla, Gabriele Frasca, passando attraverso il gruppo dei settantenni Franco Buffoni, Milo De Angelis, Umberto Fiori, Eugenio De Signoribus. Si tratta di autori che hanno un seguito presso i più giovani, e godono di un riconoscimento pressoché unanime anche da parte della critica» (2018).

[7] Per quanto riguarda il sistema di citazioni utilizziamo il più agile ‘cognome e anno’ per gli studi e ‘titolo del libro’ per le opere di Buffoni, con indicazioni di pagina. Nella bibliografia i riferimenti completi. Tra parentesi quadre sono inserti i rimandi intratestuali tra i capitoli [1, 2, 3, 4].

[8] Nella casa riaperta (Campanotto, 1994) è anche il titolo della plaquette di Buffoni pubblicata a seguito della vittoria del premio nazionale per l’inedito San Vito al Tagliamento, con Andrea Zanzotto in giuria. Comprende testi della prima, terza e sesta sezione di Il profilo del Rosa, seppure con parecchie varianti.

[9] La presenza di quinario e quinario doppio, senario e senario doppio, settenario e ottonario è tipica solo della prima produzione buffoniana, nel Profilo si è già persa: anche per questo possiamo leggere il verso come un novenario. Sulla metrica di Buffoni vd. Afribo 2018, pp. 94-95; Marchese 2013, pp. 41-53.

[10] Buffoni usa spesso questa immagine, riferendosi a Henri Michaux: «Michaux diceva che l’intelligenza per fiorire deve essere ferita, e prima ancora che deve essere sporcata. Io aggiungo: se non va in setticemia» (Come un polittico che si apre, p. 21).

[11] In questo studio si utilizza convenzionalmente ‘Io’ maiuscolo per indicare l’Io poetico, al fine di differenziarlo dall’io pronome. In numerosi testi di Buffoni, infatti, l’Io assume un valore di persona in senso etimologico. Si pensi in particolare ai mascheramenti della trilogia di esordio, a Guerra in cui l’Io viene praticamente soffocato, o a libri della maturità come Personae e Jucci in cui gli Io si moltiplicano.

[12] Le due autoantologie, con prefazioni di Franco Brevini e Massimo Gezzi, sono rispettivamente Adidas. Poesie scelte 1975-1990 e Poesie 1975-2012. Per le pubblicazioni con traduzioni in altre lingue rimandiamo al terzo capitolo [3.3.4]; per le varie plaquette alla bibliografia.

[13] Uno dei libri più recenti di Buffoni, dal titolo Sul dialogo tra critica e poetica (2022), mette a fuoco la relazione dialogica tra il poeta e i propri critici, riconoscendo alcuni nomi rilevanti da Giovanni Raboni a Luca Canali, da Enzo Siciliano ad Andrea Cortellessa, e sottolineando in particolare l’importanza della lettura critica di Mazzoni.

[14] L’espressione, nata nel mondo anglosassone, indica la fusione tra fiction e documentary nel cinema e nella televisione, ma ha trovato più recentemente un uso anche nell’ambito della critica letteraria. Cfr. Donnarumma, Policastro 2008; Mongelli 2015.

[15] Sull’intertestualità cfr. Bernardelli 2013.

[16] Riteniamo scorretta la terminologia ‘suicidio omosessuale’, poiché la causa non è da rintracciarsi nella sessualità, ma semmai nella non accettazione della stessa da parte propria o altrui (omofobia interiorizzata o esterna).

[17] O anche sulla ‘preistoria’: un testo-chiave è Tecniche di indagine criminale, che trae spunto dagli studi sull’uomo di Similaun (Oetzi) in cui «il dato antropologico sulla presunta omosessualità dell’uomo, vittima di assassinio, si incastra con una riflessione ontologica sulla violenza, di cui diventa simbolo l’immagine del triangolo rosa» (Borio 2018, pp. 302-303). Cfr. Crocco 2015, pp. 190-191.

 

[Immagine: Foto di Dino Ignani].

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