di Paola Giacomoni

 

Non lo avrò notato solo io. Giorgia Meloni sta usando in questi giorni espedienti retorici intesi a far passare un giudizio scomodo nascondendolo dietro uno più confortevole usando in modo discutibile tecniche retoriche e comunicative.  Un primo esempio è quello relativo al governo Draghi, che, afferma, «noi non criticheremo mai», ma, se non si farà in tempo a concludere tutte le richieste per l’ottenimento dei fondi del PNRR, «la colpa non sarà dell’attuale governo». In altre parole, con una formula ellittica, prima afferma di non voler accusare di nulla il governo precedente, per poi aggiungere con una litote che, non essendo sua la colpa delle difficoltà, sarà di chi ha lasciato troppi adempimenti da completare. Si tratta di una costruzione retoricamente puntata a togliere da sé il peso dell’incapacità di portare a compimento gli obblighi istituzionali senza apparentemente accusare altri. Ma l’accusa è evidente: se non siamo noi i responsabili, lo saranno coloro che hanno lasciato il compito a metà. La formula è costruita in modo da affermare, con un tono educato che appare deferente, di non voler fare una cosa (criticare chi ancora gode di grande prestigio internazionale) mentre la si compie. Solo chi ascolta superficialmente può considerare questo argomento come retoricamente valido: basato com’è su una contraddizione, pur lievemente celata dalla frase in negativo, non può persuadere un pubblico minimamente attento.

 

Secondo esempio: la Banca d’Italia fa osservazioni durissime sulla manovra, paradossalmente più dure di quelle dei sindacati, perché basate sul valore incontestabile dei dati numerici, e suscita reazioni scomposte da parte di alcuni che, pur facendo parte del governo, mostrano di non saper riconoscere il carattere pubblico e il valore di ente di controllo e di terzietà dell’istituzione. Allora La presidente del consiglio interviene con il suo recente tono “sommesso” e controllato, che tiene a bada la ben nota sguaiatezza, dicendo che Banca d’Italia «non ha mosso critiche sostanziali alle grandi voci». Negando le critiche si afferma il contrario del vero: il tono rispettoso della Banca d’Italia, tipico del linguaggio di dialogo tra istituzioni in un regime democratico, non fa scomparire le molte osservazioni negative alla manovra proprio sugli elementi essenziali. Per attenuare la durezza delle critiche Meloni le nega, in modo da renderle più digeribili al proprio elettorato; cercando di celare situazioni imbarazzanti per chi «non vuol disturbare chi vuole fare» usa la retorica in modo scorretto, come una pura tecnica manipolativa a disposizione del potere. Ma il gioco è molto scoperto e anche l’uso delle tecniche retoriche è elementare e non potrà essere usato a lungo per accontentare gli elettori. Un discorso che, anziché affermare il vero, afferma ciò che piace al pubblico, mette in valore non l’importanza di una affermazione argomentata ma quella della semplice opinione senza basi. Sul rapporto tra retorica e verità Platone era molto chiaro:

 

«Su questo caro Socrate ho sentito dire così: non è necessario, per chi diventerà oratore, apprendere che cosa è giusto in realtà, ma quello che ne crede in proposito la moltitudine che prende le decisioni, né quanto è realmente buono e bello, ma quello che si crede tale. Infatti la persuasione viene da quello che si crede, ma non dalla verità» (Platone Fedro 260a). La critica di Platone nei confronti di coloro che usano la retorica come una tecnica al servizio del potere e non della verità è ben nota.  Per il filosofo, solo la conoscenza della verità, e non della semplice opinione non argomentata, legittima un uso corretto dell’arte della persuasione.

 

Per Aristotele la retorica è una techne, cioè un procedimento razionale capace di dar conto del proprio metodo, ma non una tecnica che fornisce strumenti pronti per qualsiasi uso; è una forma di comunicazione efficace per i buoni argomenti che la logica ha il compito di dimostrare. Nella comunicazione con un pubblico, sia esso un tribunale o un’aula parlamentare, gli argomenti devono avere una forma definita, tale da persuadere un uditorio che è emotivamente attivo ma anche razionalmente capace. Il discorso persuasivo deve conoscere le passioni dell’uditorio, perché esse possono cambiare il giudizio e accogliere le tesi di chi parla, ma non può ridursi a un gioco di parole che nasconde, dietro formule seducenti, una contraddizione.

 

L’infarinatura di retorica che evidentemente il suo staff le fornisce spinge Meloni su una via stretta, che non può condurre lontano se, con fare rassicurante, si nega la realtà. Ma il tono e le tecniche elementari scelte fanno capire il punto di vista della nuova presidente, tipico di ogni leader dirigista: il popolo deve essere guidato, educato e rassicurato; gli si possono o forse si debbono propinare versioni edulcorate della realtà, quando non vere e proprie bugie. Importa che questo corrisponda a ciò che il pubblico si aspetta, non a ciò che è vero. Forse si tratta solo di scelte improvvisate e non di un uso esperto della manipolazione, che deve sempre fornire immagini che assomiglino al vero se vuole funzionare. Forse si tratta di prove di comunicazione ancora non affinate, e non di un suo uso spericolato in stile dispotico. C’è da sperarlo prima di trarre conclusioni affrettate da queste prime prove. In ogni caso, non è detto che tutti continuino ad apprezzare versioni semplificate quando non distorte del vero, che non durano mai a lungo.

2 thoughts on “Il nuovo governo e il cattivo uso della retorica

  1. Non sono minimamente d’accordo. Queste riflessioni sono frutto di pregiudiziali ideologiche e da rancori per malcelate delusioni elettorali. I fallimenti conclamati di una sinistra inconsistente sua a livello di governo che di opposizione, inducono a supporre che la retorica stia sicuramente nell’ insussistenza di idee e programmi oltre che nella mancanza di rispetto per i principi democratici che sono alla base della scelta degli elettori.

  2. Premessa: sono un medico e non un esperto di retorica; nella mia professione continuo ad osservare quanto segue: l’ arte della verità è un’ arte scettica, che mobilizza le credenze e le apre sistematicamente al regno delle possibilità non ancora esplorate.
    Nella prospettiva del realismo aletico (mondo aletico) le cose non sono «roccia sotto la neve», sono piuttosto «il vivente pane della ragione» come scrive Hegel. (citato da :
    Pag. 57-58
    «La verità al potere.
    Sei diritti aletici».
    F. D’ Agostini, M. Ferrera Ed. Einaudi, Torino, 2019. Grazie per gli stimoli che mi ha dato questa lettura.

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