[Esce oggi il numero XXV de «L’Ulisse – rivista di poesia, arti e scritture», dedicato al tema monografico “Stili della poesia contemporanea”. La rivista è scaricabile gratuitamente qui. Pubblichiamo qui l’indice del numero seguito dall’editoriale]

 

 

NUMERO 25, DICEMBRE 2022: Stili della poesia contemporanea

 

Editoriale  di Stefano Salvi, Italo Testa e Paolo Zublena

 

IL DIBATTITO

 

INTRECCI ED EFFETTI DELLA STILISTICA

Davide Colussi

   Jean Racine tra Spitzer e Auerbach               

Agnese Pieri

   Note sul Marcel Proust di E.R. Curtius        

Margherita Martinengo

La ricezione di Critica stilistica e storia del linguaggio

Andrea Lazzarini

   Il lascito della critica stilistica in Francesco Orlando                                      

Laura Neri

   Aporie e contraddizioni del grande stile                                                               

 

 

STILE E IDEOLOGIA

Massimiliano Manganelli

   Lucini e l’ideologia lombarda dello stile       

Andrea Agliozzo

Fortini e i limiti della stilistica

Massimiliano Cappello

Con Fortini: un adespota attribuibile a Giudici

 

 

STILI DEL PRESENTE

Francesco Diaco

   La classicità queer del ‘tardo’ Buffoni

Giulia Martini

   Lo stilema del dialogato in De Angelis      

Rodolfo Zucco

   Viviani, un clic: tra lettura e didattica       

Paolo Giovannetti

   Intermittenze della stilistica e dello stile

Samuele Capanna

   Appunti su stile e scritture di ricerca       

Gianluca Picconi

   Ironia o ridicolo?                                      

Andrea Sartori

   Lo stile del bíos                                       

 

 

ALTRI SGUARDI

Andrea Bongiorno

   Tra linguistica, teoria della letteratura e stilistica                       

Ulisse Dogà

   La critica stilistica nella germanistica tedesca e Szondi

Riccardo Campi

   Note sulla poetica negativa di Beckett                                       

 

 

TERRITORI LIMITROFI: ROMANZO, FILOSOFIA, TEATRO

Mario Farina

Stile postmoderno: romanzo e realismo

Stefano Marino

Questioni di stile e scrittura nella filosofia contemporanea         

Daniele Rizzo e Gianluca Valle

   L’esperienza dello stile e l’epifania della forma                                      

 

 

GLI AUTORI

 

LETTURE

Riccardo Benzina

Alberto Comparini

Paola Di Gennaro

Giusi Drago

Lorenzo Pataro

 

I TRADOTTI

Lucian Blaga tradotto da Davide Astori

Carlo Bordini tradotto da Francis Catalano e Antonella D’Agostino

Lisa Jeschke tradotta da Giulia Fanetti

Konstantin Pavlov tradotto da Alessandra Bertuccelli

 

Editoriale di Stefano Salvi, Italo Testa e Paolo Zublena

 

Il numero XXV de L’Ulisse. Rivista di poesia, arti e scritture è dedicato al tema Stili della poesia contemporanea. Il nuovo numero de L’Ulisse intende in tal senso chiedersi in che modo il problema dello stile in senso ampio si ponga nelle scritture contemporanee nel suo rapporto con la teoria letteraria, il pensiero filosofico, l’arte e la società. L’indagine è focalizzata su un arco cronologico che va dal secondo novecento sino alle scritture più recenti, con attenzione ad autori italiani ma anche ad altre tradizioni linguistiche.

Ma che cos’è lo stile? E ci serve ancora questa categoria?

La nozione di stile è etimologicamente legata alla scrittura (già il lat. stilus passava dal significato letterale di strumento di incisione sulla cera a quello metaforico di modo di scrivere (e di parlare).

Il Grande dizionario della lingua italiana definisce così lo stile, nella prima accezione contemplata dal lemma: «Insieme di tratti formali (identificabili in abitudini grammaticali e sintattiche, modi di articolazione delle frasi, scelte lessicali, usi retorici) che caratterizza in maniera significativa e costante il linguaggio di un autore, di un’opera, di un genere letterario o di un tipo di scritto, di un movimento o di un periodo della storia della letteratura e che risulta da una scelta consapevole e deviante dall’uso o dalla norma correnti». Se inizialmente (latinità antica e medioevo) lo stile è più concetto retorico e sovraindividuale, in diacronia esso finisce per assumere un valore più spesso riferito all’individualità dell’autore e dell’opera. A partire dalla celebre sentenza di Buffon («Le style est l’homme même»), o magari da una sua sovrainterpretazione a posteriori, si arriva alla concezione romantica dello stile come firma dell’autore. Inoltre, si deve anche registrare il fatto che, nelle sue origini e per molto tempo, la nozione di stile è applicata alla scrittura (letteraria o no): solo in un tempo piuttosto recente essa si estende anche alle altre arti: e comunque rimane in queste più legata a una declinazione di tipo sovraindividuale (esemplare è in questo senso il suo uso in architettura). Ancor prima di espandersi alle altre arti, il concetto si propaga dalla retorica ad altri usi figurati: in primo luogo i modi di comportamento, poi la moda (per arrivare al significato di stile, usato in senso anche assoluto, che oggi è forse più diffuso («che stile!»).

Per chi studia la letteratura, lo stile è anche – accanto e in contrapposizione alla lingua – l’oggetto della stilistica (parola e prassi che nascono in ambito tedesco a partire dall’Ottocento). La stilistica di Spitzer ha rappresentato uno straordinario esempio di riuscito connubio tra l’analisi linguistica del testo letterario e il giudizio estetico su di esso. Tuttavia, il metodo di Spitzer (fondato sullo scarto rispetto alla norma linguistica, e sull’attivazione di questo scarto da parte di un clic di tipo psichico se non addirittura biologico) è tanto euristicamente efficace nella brillante prassi quanto fragile nella sua base epistemologica, sostanzialmente impostata su un dichiarato circolo ermeneutico tra singolarità del tratto deviante e totalità dell’opera (o dello stile, appunto, di un autore). Non per niente i migliori derivati delle stilistica spitzeriana si atterranno a un intelligente empirismo epistemologicamente agnostico: che ha dato straordinari esiti senza generare un vero e proprio framework. Del resto, anche la stilistica di Auerbach, maggiormente orientata a stabilire un rapporto magari più rigoroso tra la totalità del testo e quella del mondo rappresentato, tende a dare i suoi migliori risultati – in Mimesis – a partire dalla tripartizione antica dei livelli stilistici: e quindi a privilegiare testi che meglio si dispongono a un confronto con essa e con la pur “larga” categoria del realismo.

Gli sviluppi ulteriori della stilistica letteraria hanno riguardato soprattutto un affinamento tecnico delle unità di analisi oppure l’individuazione di linee che attraversano cospicui segmenti diacronici.

In generale si può registrare una notevole vitalità dell’analisi stilistica sulla letteratura novecentesca, specie nella dialettica tra tradizione e innovazione. E più di recente l’analisi stilistica si è sviluppata anche in relazione al rapporto con le scienze cognitive, le neuroscienze e il literary darwinism. Più complesso (e ancor poco tematizzato) è il problema della applicabilità del concetto di stile (ed eventualmente – ma le due cose potrebbero non coincidere – dell’analisi stilistica) alla poesia contemporanea nelle sue varie tendenze, incluse le opere che sbrigativamente possiamo ricondurre alle avanguardie. Sanguineti scriveva in un testo di Postkarten: «oggi il mio stile è non avere stile». Prima aveva del resto scritto di aver privilegiato la scelta del francese perché in quella lingua gli era più facile «écrire sans style». In questi casi potremmo chiederci se effettivamente i testi sono impermeabili a una lettura secondo una concezione tradizionale dello stile come insieme di tratti riconoscibili e riconducibili a un’unità (e non è detto che la risposta sia negativa). Ma certo con l’avvento delle tecniche di montaggio (come il cut up) e di altre tecniche in cui (anche attraverso l’uso di tool informatici) il ruolo di scelta dell’autore è limitato o pressoché nullo la pertinenza dello stile come possibile categoria di analisi risulta certamente più gravemente in discussione. E, anzi, eventualmente ripropone la questione del rapporto tra stile (inteso in modo non più individuale) e industria culturale, tra stile e mercato: questione che le arti diverse dalla scrittura avevano proposto a tema probabilmente con un certo anticipo.

Anche nelle scritture contemporanee che mantengono un legame più esplicito con forme ibride, porose, liriche o post-liriche di soggettività, la questione dello stile e del suo legame da un lato con i tratti personali, autentici, fortemente individuati dell’espressione, rimane sospesa sullo sfondo. Ed è questione non indifferente anche alla riflessione dell’estetica come filosofia dell’arte. È vero che l’arte esprime un soggetto (attraverso uno stile, inteso ancor in modo fondamentalmente essenzialista), come vuole Danto nella sua Transfiguration of the Commonplace? È ancora vero che il discernimento dello stile è un aspetto fondamentale per capire un’opera d’arte, come vuole Goodman in The Status of Syle?

Queste sono domande a cui chi si confronta con le opere d’arte – non escluse quelle letterarie – di oggi non può evitare di porsi. Il nuovo numero de L’Ulisse, alla cui progettazione ha collaborato Paolo Zublena, che firma con noi l’editoriale, si pone queste questioni a partire dallo sfondo novecentesco per arrivare alla scritture più recenti.

 

La parte monografica del numero, con la sezione INTRECCI ED EFFETTI DELLA STILISTICA, affronta alcune figure e questioni centrali della storia della stilistica del novecento e della sua ricezione. In apertura, Davide Colussi riscontra nelle pagine di Mimesis su Racine il legame di Auerbach con la stilistica di Spitzer e la sua concezione della «smorzatura» quale condizione del poetico. Agnese Pieri  analizza in parallelo i saggi su Proust di Curtius e di Spitzer, trovando nel primo un caso esemplare di quell’«analisi totale dell’opera artistica» in cui per Spitzer la stilistica quale disciplina autonoma dovrebbe confluire. Alla ricezione nella critica italiana di Critica stilistica e storia del linguaggio è dedicato invece il contributo di Margherita Martinengo, che rileva gli effetti dell’indagine formale di stampo stilistico sia sulla linea storico-linguistica di Croce sia sull’impostazione storico-sociale del filone di critica marxista e in poeti quali Fortini e Pasolini.  Attraverso la lente del modello indiziario di Carlo Ginzburg, Andrea Lazzarini ricostruisce Il lascito della Stilkritik di Spitzer e Auerbach sul paradigma testuale della teoria freudiana della letteratura di Francesco Orlando. Il numero monografico della rivista Sigma in cui Gian Luigi Beccaria proponeva a critici e poeti italiani una riflessione sulla categoria di ‘grande stile’ offre quindi a Laura Neri una prospettiva per indagare il modo in cui l’incrocio tra la stilistica e la poesia del secondo novecento genera tensioni e aporie che si riscontrano sia nella riflessione di maestri della critica quali Pier Vincenzo Mengaldo sia negli interventi, tra gli altri, di Giudici, Zanzotto, Sanguineti, laddove il confronto dialettico con la lezione delle avanguardie mette in discussione alcuni aspetti della categoria di stile.

 

Al rapporto tra  STILE E IDEOLOGIA è dedicata invece la seconda sezione della rivista, aperta da un intervento di Massimiliano Manganelli su come il ‘lombardismo’ operi in Lucini quale ideologia dello stile, ove la volontà di appartenere ad una certa tradizione quale fattore etico-politico e ideologico è messa in opera attraverso l’adozione di un ventaglio di tratti formali e soluzioni stilistiche. Alle considerazioni saggistiche di Fortini sui limiti della concezione spitzeriana dell’atemporalità della forma è dedicato invece il contributo di Andrea Agliozzo, che rinviene nel carteggio con Spitzer l’esplicitazione da parte di Fortini dell’estetica della contraddizione e della concezione dialettica dello stile e della forma quale luogo di tensione e insieme di integrazione tra poesia e ideologia. Il carteggio Giudici-Fortini è invece al centro dell’intervento di Massimiliano Cappello, che servendosi di considerazioni stilistiche giunge a attribuire a Giudici l’anonimo risvolto di copertina della prima edizione di Una volta per sempre.

 

All’incidenza della categoria di stile per l’indagine sulla poesia italiana contemporanea è dedicata la sezione STILI DEL PRESENTE. Francesco Diaco indaga le soluzioni formali che strutturano la poetica inclusiva dello stile tardo di Franco Buffoni, trovandovi il segno di un nomadismo stilistico-culturale e di una spiccata marca sperimentale che mette in discussione insieme le convenzioni di genere letterario e sessuale. Sulla scorta delle considerazioni spitzeriane sulle molteplici funzioni del parlare parentetico, Giulia Martini si concentra sullo stilema del dialogato nel Milo De Angelis di Somiglianze. Mentre tin autori primo-novecenteschi quali Pascoli e Gozzano tale stilema giocherebbe una funzione antidialogica, in De Angelis esso avrebbe un ruolo costruttivo e comunicativo, in ciò anche distanziandosi dall’uso del dialogo in Luzi. La lettura di Credere all’invisibile di Cesare Viviani, dapprima nella propria officina, e quindi nel vivo di un corso universitario, è per Rodolfo Zucco il banco di prova per verificare sia la continuità tra indagine critica ed esperienza di lettura, sia la pertinenza dell’esperienza spitzeriana del clic e quindi la vitalità produttiva dell’approccio stilistico ai testi. Paolo Giovannetti si confronta invece con il fenomeno per cui nel dominio della linguistica italiana si parla sempre meno di stile, subordinando questa nozione a quella di lingua, tendenza che riscontra anche nella recente riflessione di Enrico Testa, e che mette in connessioni con alcune questioni che premono trasversalmente sullo sfondo delle scritture contemporanee, sia di marca sperimentale che lirica: l’adozione di poetiche procedurali e concettuali, e di poetiche dello scarto minimo, entrambe poco connotate da fattori stilistici e formali. Questi fenomeni sembrano mettere in discussione la categoria tradizionale di stile, la cui mutazione in corso viene qui verificata attraverso la lettura in parallelo degli ultimi lavori poetici di Marcello Frixione e Italo Testa e del ruolo che l’uso della cultura visiva gioca in essi nel ridefinire una sorta di ‘stile-zero’. Sull’opportunità o meno di ragionare in termini di stile a proposito delle cosiddette ‘scritture di ricerca’ – all’interno delle quali sembra manifestarsi una condivisa indifferenza per il concetto di stile – si concentra il contributo di Samuele Capanna, scegliendo come campione l’ambiente linguistico testuale omogeneo e monotono delle Istruzioni politico-morali all’indirizzo dei nostri giovani poeti di Michele Zaffarano. Qui sembra manifestarsi un chiaro rifiuto dello concezione tradizionale dello stile come marca individuale e devianza dalla norma, per certi versi invece ancora presente nella pratica neoavanguardistica di Giuliani e Sanguineti e nel Gruppo 93. Se testualità del genere sono chiaramente connotate da una volontà (autoriale) di fuoriuscita dallo stile, Capanna rivendica nello stesso tempo la fecondità dialettica dell’adozione di strumenti stilistici, e in particolare della stilistica multimodale e cognitiva, per indagare testi intenzionalmente privi di stile, ma spesso connotati da una modalità umoristica straniante che finisce per spostare dal piano linguistico a quello pragmatico e illocutivo la nozione stilistica di ‘scarto’ (o devianza). La dimensione dell’ironia e del ridicolo nella sperimentazione poetica è anche il tema del saggio di Gianluca Picconi. Scegliendo come oggetto d’analisi ed esemplificazione il lavoro poetico di Luigi Socci, Picconi propone una definizione dello stile come possibilità di ripetizione di pattern in un insieme coerente, e si interroga quindi sulla nozione, ripresa da Auerbach, di ‘stile comico’, basata sulla ricorsività di determinate tecniche di scrittura che sortiscano un certo effetto, ma che insieme vengono a contraddire alcuni assunti ideologici di partenza postulati del testo. Alla riconcettualizzazione della categoria di stile quale medio tra fenomeno biologico e culturale si dedica invece Andrea Sartori. Prendendo le mosse da una critica del costruzionismo radicale dei cultural studies da un lato, e del biologismo riduzionista di Gotschall e della sua interpretazione dell’Eneide dall’altro, Sartori mostra come literary darwinism e poetica cognitiva forniscano un approccio embodied alla nozione di stile, inteso quale capacità incorporata di stilizzazione, di potere di significazione del corpo, sulla falsariga di Merleau-Ponty, e propone quindi di leggere in tale chiave la poesia di Amelia Rosselli e Alessandra Carnaroli.

 

Nella sezione ALTRI SGUARDI il focus si sposta sull’incidenza della stilistica nella teoria critica e nella letteratura di altri paesi. Andrea Bongiorno esamina alcune proposte teoriche recenti, in area francese, in particolare di Éric Bordas, e Ilias Yocaris, e quindi l’approccio pragmatico dell’analisi del discorso di Alain Rabatel e Michèle Monte, che mettono in luce l’aspetto relazionale e processuale della nozione di stile, quale emergenza della singolarità autoriale e enunciativa. Dopo aver analizzato in questa chiave una poesia di Giudici, Bongiorno considera successivamente la nozione di stile quale manifestazione dell’individualità del testo, dell’enunciatore piuttosto che dell’enunciatore, e propone su questa base un approccio globale allo stile, analizzando in tale chiave una poesia di Zanzotto. Alla critica stilistica nella germanistica tedesca è dedicato invece il saggio di Ulisse Dogà. Se negli ultimi anni la critica stilistica sembra aver perso rilevanza nel panorama di lingua tedesca, a favore di approcci pragmatici, ispirati ai cultural studies, e di metodi neopositivistici, Dogà nota come la grande critica stilistica sviluppatasi tra le due guerre con autori quali Vossler, Spitzer, Auerbach, e Walzel, nonché il metodo eterodosso di critica stilistica messo a punto da Benjamin e ripreso da Adorno e Szondi, nascesse proprio da una polemica sia con il positivismo sia con la storia dello spirito applicati alla letteratura. In particolare Szondi, riattualizzando l’ermeneutica letteraria di Benjamin e Adorno, porterebbe in luce la dimensione gnoseologica della categoria di stile, sviluppando una concezione della critica come stilistica filosofica, capace di cogliere i nessi d’immanenza dell’opera non solo sul piano formale e linguistico, ma insieme su quello materiale e extralinguistico. La poetica negativa di Beckett, con la sua ironia minimalista, e l’assunzione della contraddizione, e della dialettica irrisolta di senso e non senso, quale principio stilistico, è l’oggetto delle note di Riccardo Campi su Worstward Ho, in cui la «sintassi della debolezza» fa del «fallire meglio» un criterio stilistico e un obbiettivo ultimo.

 

La parte monografica della rivista si conclude quindi con la sezione TERRITORI LIMITROFI, in cui la nozione di stile viene esaminata in relazione al romanzo, alla filosofia, e alle arti sceniche e performative contemporanee. Apre la sezione l’intervento di Mario Farina, in cui le ambiguità della nozione di stile, con la sua doppia polarità insieme individuante e astraente, vengono fatte interagire con le peculiarità di scrittura di Thomas Pynchon, Don De Lillo e David Forster Wallace. La nozione di ‘romanzo postmoderno’, inteso quale insieme di elementi messi assieme nel tentativo di risolvere il problema di una forma in dissoluzione – l’io epico quale principio formale di unificazione – riuscirebbe a cogliere alcuni tratti stilistici unificanti di questi autori, in particolare quanto alla posizione del narratore, rilevandone insieme l’appartenenza alla tradizione del romanzo realista occidentale. Stefano Marino affronta invece la questione dello stile della scrittura filosofica, tra le polarità della decostruzione di Derrida, con la sua valorizzazione postmetafisica dello stile e denuncia metafisica della verità; dell’approccio neopragmatista e narrativo di Rorty alla filosofia quale genere letterario; e della teoria critica di Adorno, che alla luce dell’avanguardia letteraria e musicale denuncia il carattere ideologico dello stile, ma insieme ne coglie il legame dialettico con la verità, impegnandosi nella sperimentazione di una pluralità di stili di scrittura filosofica. Daniele Rizzo e Gianluca Valle, infine, riflettendo sul chiasma tra innovazione e tradizione nelle arti sceniche e performative, sostengono che rinunciare del tutto alla categoria di stile,  addivenendo ad una sorta di grado zero stilistico, farebbe cadere la dimensione critica della sperimentazione delle avanguardie, rendendole autoreferenziali e mimeticamente succubi dell’industria culturale. Per contro l’esperienza innovativa della danza di William Forsythe consisterebbe nello sviluppare uno stile contemporaneo nutrito da un legame dialettico con quello classico, salvaguardando così le arti sceniche dall‘implosione nell‘intrattenimento ludico-multimediale.

 

Chiudono il numero, come al solito, le due sezioni di Autori. Le LETTURE accolgono in questo numero scritture inedite di Riccardo Benzina, Alberto Comparini, Paola Di Gennaro, Giusi Drago e Lorenzo Pataro. I TRADOTTI presentano una scelta di traduzioni: Lucien Blaga tradotto da Davide Astori, Carlo Bordini tradotto da Francis Catalano e Antonella D’Agostino, Lisa Jeschke tradotta da Giulia Fanetti, Konstantin Pavlov tradotto da Alessandra Bertuccelli.

 

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