di Charles Simic (trad. di Damiano Abeni)
[Ci giunge stasera la notizia della morte di Charles Simic (1938-2023), uno dei più grandi poeti statunitensi contemporanei. Nel marzo 2022 LPLC, che l’ha stimato e seguito negli anni, pubblicò queste traduzioni di Damiano Abeni di alcuni testi inediti destinati a No Land in Sight, l’ultima raccolta di Simic uscita poi in agosto. Li riproponiamo, come primo contributo per ricordarlo].
I miei averi
Ho un sacco di amici morti
e vie in cui vago a tutte le ore
a occhi aperti o chiusi
sperando di incontrarli.
Ho una quantità di rubriche
con nomi depennati, due
pendole e una dozzina di orologi
che da anni non sento ticchettare.
Ho un grosso ombrello nero
che ho paura di aprire in casa,
e anche quando metto piede fuori,
non importa quanto forte piove.
Come un calzolaio perso in una scarpa
che sta riparando, non alzo quasi mai
lo sguardo da quello che sto facendo
con un piede nella fossa, ovvio.
Amore mio
Siamo come una coppia di rane
che si crogiolano in una pentola
scaldata a fuoco lento sui fornelli,
che si bea dell’acqua tiepida
e chiama tutte le rane
da tutti gli stagni e pozzanghere
che si affrettino a raggiungerli
in questo paradiso tropicale
al quale non sapranno resistere
vedendo parenti e amici
che sguazzano là sotto
senza la benché minima angustia.
Tomba di famiglia
Uomini rabbiosi e donne furibonde
sepolti fianco a fianco anni e anni fa.
Le loro bestemmie e i gemiti soffocati
fanno tremare gli alberi ancora oggi.
I miei doppi
In gioventù le donne mi prendevano da parte
per confidarmi che ricordavo loro
un fratello morto o un ex-amante,
tutti che portavano occhiali tondi come me.
Uno giaceva in una vasca con i polsi tagliati,
un altro aveva fatto una gita in mongolfiera
e non si era più né visto né sentito.
Uno suonava il pianoforte così bene
che assoluti estranei bussavano alla porta
implorando che li si lasciasse entrare ad ascoltarlo.
Quanto a me, l’ultima volta che qualcuno mi ha visto,
stavo leggendo la Bibbia in metropolitana,
scuotevo la testa e ridacchiavo tra me e me.
Alba
Come se una strega o un santo martire
venissero bruciati al rogo.
Fiocchi di neve rossi che cadono
nell’ardore del sole che sorge.
L’ombra a cui ogni albero si afferrava
che fugge come uno scippatore
mentre braci calde mi cadono in giardino
invitandoci a mettere alla prova la nostra fede
camminando su di loro a piedi nudi.
Non mi dimentico mai niente
Ecco il mio problema!
Come quella scatola di scarpe con le foto strappate
in cui mi sono imbattuto alla discarica comunale.
E me ne sono presa una
di una coppia in costume da bagno
che si teneva per mano su una spiaggia tropicale,
le cui teste e facce
il vento aveva spazzato via
mentre io mi infervoravo
a studiare cosa era rimasto
della loro gioventù e della loro bellezza.
La cornacchia
Presto stamattina
le sua ali intrise di sangue
si sono levate alte su di me
come un paio di forbici
che hanno trinciato i fili
che mi tenevano ritta la testa
mentre i piedi scalpicciavano frenetici
sul ghiaccio in giardino.
Pensieri notturni
La luce li spaventa. L’oscurità pure.
Strisciano nei nostri letti,
non per parlare, ma per sussurrare
come si fa negli obitori.
Crepuscolo estivo
Sei stata l’amore della mia vita,
luce che indugia nel cielo
alla chiusa di una lunga giornata
sopra i tetti di una città
come New York o Roma,
mentre le strade si svuotano nell’afa,
e le ombre si allungano
e oscurano ogni stanza,
occupata o ancora vuota,
mentre alcuni accendono la lampada
e altri vanno a una finestra
per assaporare quest’attimo fuggente
quando tutto si ferma
come stupefatto dalla propria bellezza.
Fato
L’appuntamento al buio di tutti quanti.