di Massimo Gezzi
[Nel 2007, su invito di Damiano Abeni, mi capitò di scrivere una nota per Il titolo, un libretto di Charles Simic tradotto dallo stesso Abeni e pubblicato da l’Obliquo di Giorgio Bertelli. La ripropongo qui, come omaggio a quello che ho sempre percepito, dalla prima volta che lo lessi, come un poeta straordinario e necessario.
Di seguito pubblico un video inedito girato a Roma nell’ottobre del 2015, in occasione di una lettura di Simic presso la Saint Stephen’s School. Assieme a lui, il suo traduttore Damiano Abeni (mg)].
Charles Simic, «un angelo appeso a una molletta da bucato»
Delle poesie di Simic non ci si dimentica più. Una volta che un lettore abbia incrociato in uno dei suoi sentieri quelle formiche che al cadere della prima briciola dalla tavola si mettono il cappello da quacchero (Solitude) e si lanciano all’assalto, o quella folata di vento che solleva la veste di una donna che stende i panni, facendola scoppiare a ridere senza ragioni (Spring, da Hotel Insomnia del 1992), il gioco è fatto: la memoria resta impressionata per sempre come una lastra fotografica dinanzi a uno scoppio improvviso di luce.
Charles Simic è un poeta generoso. Uno che riesce ad apparecchiare i propri testi con varietà di vivande per il maggior numero possibile di convitati. Fuor di metafora, Simic è uno scrittore del paradosso e dell’inclusione, della quotidianità più comune e talvolta intima (si leggano alcune poesie erotiche appartenenti alla seconda sezione di questo libro) e insieme dell’impennata immaginativa di derivazione surrealista. Tutto, nei suoi versi, è incredibilmente grave e insieme leggero: necessario e urgente come gli eventi o i fenomeni decisivi di un’esistenza, e però lieve, a tratti scanzonato e divertito come un’allegria inattesa e passeggera da gustare con voluttà, prima che dilegui lasciando riaffiorare Il senso tragico della vita, come recita il titolo di uno di questi testi ottimamente tradotti, come d’abitudine, da Damiano Abeni, che con questo Titolo completa il suo trittico di versioni da Simic dopo Il mondo non finisce (Donzelli 2001) e Zoo (L’Obliquo, 2002), più il gruppo di poesie sugli animali apparso l’anno scorso su «Nuovi Argomenti» (36, ottobre-dicembre 2006).
Si prendano tre testi di questo prezioso libretto che mette insieme poesie tratte dall’ultima raccolta (My Noiseless Entourage del 2005, da cui attinge la prima sezione) e componimenti già pubblicati o recuperati dai cassetti: il primo è Descrizione di una cosa perduta, da cui ho tolto il verso che fa da titolo a questa nota; il secondo è Venere al bagno con scarafaggi, e in generale tutta la seconda sezione; il terzo Paesaggio lercio, dalla terza. Ebbene, anche a una prima e velocissima lettura non sfuggirà che in tutti e i tre testi il poeta serbo-americano si diverte a degradare realtà tradizionalmente alate, sublimi, sacre. Così la cosa perduta del primo testo somiglia a «un angelo appeso a una molletta da bucato»; la Venere del secondo è una «Ignota dea dei bassifondi», e il sole della terza poesia viene sì personificato, mentre spunta timidamente tra le nubi rosee, ma in questo modo: «Veduta scandalosa di un colle / tra nuvole rosa di lascivia. / Il sole che in mezzo ad esse fa capolino / di tanto in tanto come un pappone».
Mark Strand una volta ha scritto che l’opera di Simic è «pervasa dal senso […] che il mondo è una creazione della favola». Non si potrebbe usare formula più efficace, credo, per definire l’impasto di divertita intelligenza, pietas creaturale e leggerezza onirica di cui sono composti questi versi, in cui non è raro imbattersi in «improvvisi spifferi metafisici», secondo le parole di Andrea Molesini (a patto, naturalmente, di intendere tale metafisica in senso decisamente laico, perché il Signore di Mia moglie si porta un dito alle labbra non è neanche capace di vedere «i pidocchi che corrono al riparo»). Stemperando con una robusta dose di empirismo la lezione talvolta frastornante del surrealismo di Breton (richiamato da una prosa di Il mondo non finisce: «A papà piacevano molto gli strani libri di André Breton») o della tradizione balcanica ed est-europea, Charles Simic, poeta di due continenti e di due culture, ci consegna con queste pagine un nuovo manipolo di liriche brevi in cui accompagna il lettore in un inquietante Negozio di vestiti usati, dove «i cappelli dei morti rotolano / per terra», poco prima di presentargli il più classico e rasserenante dei quadretti lirici: «Il tuo seno e i tuoi capelli volano – / come le nuvole, le nuvole bianche».
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Roma, 27 ottobre 2015: Charles Simic e Damiano Abeni