di Antonio Francesco Perozzi

 

Esercizi di lettura, rubrica a cura di Francesco Brancati

 

In matematica, la spirale è una curva che ruota attorno a un punto fisso ma che progressivamente gli si avvicina (o allontana, a seconda della direzione). E cioè (a prescindere dalla direzione) è un movimento contraddittorio: da una parte tiene fisso un riferimento spaziale, dall’altra si sposta, gli precipita addosso o tenta (solo tenta) di liberarsene. Per questo motivo – un motivo di movimento – anche Nella spirale di Gianluca D’Andrea, uscito nel 2021 per Industria&Letteratura, risulta contraddittorio: da una parte prende il passo circolare delle stagioni, dividendosi in quattro momenti; dall’altra muove in una direzione precisa, verso un Nuovo mondo, che è il titolo dell’ultimo testo.

 

Questo perché il libro è legato all’esperienza della pandemia. Ma anche perché – e le due cose sono legate – si fa specchio di un’intera tradizione poetica: si sposta in continuazione tra le lingue (dai «dialetti» agli «anglismi più biechi», come evidenzia Fabio Pusterla in postfazione), tra gli stili (dalla prosa saggistica al recupero delle coblas capfinidas), tra le citazioni (Nella spirale è quasi un ipertesto di continui rimandi e materiali alloctoni), nonché, tematicamente, tra gli spazi fisici, tanto che «in cammino», in «continuo movimento che non conosce compromessi», è la postura emotiva ed etico-politica della voce che dice io.

 

Una linearità turbolenta, dunque, perché tirata ai lati dalle curve della spirale, che sono i moti della storia addosso alla poesia, e cioè la dialettica tra visione e dissipazione che permea tutto il libro: su questa tensione si gioca lo scavo nelle lingue e nelle scritture di D’Andrea, nonché la partita politica di uno stadio umano che sente forte «l’emergenza» ma, «per uscire dall’impasse», necessita di «“vedere” un altro mondo». Il Nuovo mondo, appunto.

L’ultima poesia del libro (che è anche, quindi, l’ultima della sezione Inverno) condensa questa ricerca di immaginazione, e non solo a livello tematico. Così l’attacco:

 

Con le mani non libere stanotte

dormiremo in altre sfere di mare.

In acqua scende pende oscilla l’aria,

tra porti e sbarchi muta le stagioni.

Voi, scampati, considerate il ghiaccio

e in stelle immergerete il desiderio.

 

Notte, mare, aria, stagioni, ghiaccio, desiderio. Nuovo mondo è innanzitutto una sestina, di cui queste sono le parole chiave. Ed è significativo che per chiudere il libro si scelga il componimento metricamente più complesso della tradizione poetica italiana. Non solo: si sistema la sua impalcatura su sei travi di cui solo una, «desiderio», è astratta e umana invece che naturale. In questo modo, perciò – considerando i loop su cui si basa la sestina – già nella prima strofa veniamo edotti sulle componenti che sostanziano lo spannung del libro: siamo alla fine dell’Inverno, la natura è al massimo della sua asciugatura e rigidità, e proprio lì, sotto glaciali e dantesche «stelle», l’invito è a immergersi nel desiderio, che vale, però, come spiegano le strofe successive, a immergersi negli stessi elementi naturali:

 

Forse è un’ultima luce il desiderio

che nuovi dei scandagliando la notte

scopriranno sotto crepe di ghiaccio.

La terra è vostra, correte altro mare

naufraghi carezzati da stagioni

inedite, diverse come l’aria

che respirate. Sempre nuova è l’aria

se a commuovere dentro è il desiderio

intestino del fuori. Le stagioni

si scambiano alternando giorno e notte

anche se l’onda ormai stinta del mare

si dilata da macerie di ghiaccio.

Quando la stanca materia nel ghiaccio

al risveglio cambierà ancora l’aria

sciogliendo il cuore nel cuore del mare

venefico, nascerà il desiderio

e un vento nuovo nel cielo la notte

ravviverà le alterate stagioni.

 

Il «desiderio» si trova infatti «sotto crepe di ghiaccio», e cioè l’immaginazione del Nuovo mondo passa per una nuova fusione con la materia («sciogliendo il cuore nel cuore»), che solitamente risulta invece ottusa dal nostro essere «ridotti a manichini di noi stessi», come si legge altrove nel libro. Ecco quindi perché si insiste sulla novità («nuovi dei», «altro mare», «stagioni inedite» e «alterate», «nuova è l’aria», «vento nuovo», «cambierà», «risveglio», «ravviverà»): in quanto tale, in quanto stadio linearmente susseguente, la novità mette sotto scacco (o forse riconosce – siamo in un gioco di intreccio tra prospettiva e riappropriazione) la spinta circolare. «Le stagioni / si scambiano alternando giorno e notte», quindi – ma l’«anche se» immediatamente successivo infrange questo eterno ritorno, e così troviamo «l’onda ormai stinta del mare», le «macerie di ghiaccio» e la «stanca materia».

 

Per tale motivo, quando nella quinta strofa assistiamo all’ingresso esplicito dell’uomo – già comunque richiamato dalle «mani» e dal «desiderio» – la sua azione non può che essere quella di misurarsi con i movimenti della natura, adeguarvisi:

 

Così l’uomo si adatta alle stagioni,

come un respiro profondo sul ghiaccio

che avvolgendo il mattino nella notte

trasforma di anno in anno terra e aria.

Il suo passaggio è puro desiderio,

i suoi passi una scintilla di mare.

Come gocce in sospensione sul mare

sono già i nostri giorni e le stagioni

saranno nel futuro il desiderio

di nuove albe, nel cuore di ghiaccio

della terra, fin quando fiato e aria

si scomporranno nell’eterna notte.

 

Ma questo adattamento non coincide con una sconfitta, una regressione all’animale; al contrario, è l’esatto superamento della sua condizione reietta. Che si può leggere sia in termini ecosistemici (l’uomo, prima tragicamente svincolato da ogni ecosistema, rientra ora nell’equilibrio della natura), sia in termini politici di emancipazione dalla vita alienata. L’azione umana, infatti, non è negata tout court («correte altro mare / naufraghi»), ma reimpostata sulle frequenze naturali: è il «respiro» umano a intervenire su «terra e aria», si accostano il «fiato» (umano) e l’«aria» (extraumana), i «nostri giorni» e le «stagioni». Così anche la fine dell’uomo (c’è uno spiraglio escatologico nell’«eterna notte» che chiude la sesta strofa) non è letta come fine apocalittica (ripensiamo qui facilmente a Fisher) bensì come un recuperato essere-per-la-morte che “suona” con gli accordi della natura.

 

Non è un caso, del resto, che gli elementi con cui si descrive la natura riportino tutt’altro che una natura calda e ospitale: siamo in Inverno, sì, ma soprattutto siamo oltre uno schema che connota positivamente o negativamente, a livello estetico, questo o quell’altro elemento della natura. E dunque la resa finale, il desiderio umano che si risolve in questo aggancio al naturale, avviene di «notte», in mezzo al «ghiaccio», in uno scenario che tende all’astratto e sembra mescolare la metafisica degli ultimi canti del Paradiso con la cupezza assoluta e glaciale degli ultimi dell’Inferno. Poi: oltre ai riferimenti estetico-simbolici, a saltare sono anche gli schemi logici, nel senso che gli elementi naturali vengono associati fra loro in modalità multiple e contrastanti, si trasformano di continuo da segnali positivi a negativi e viceversa. Così il «mare» prima è «venefico» poi una «scintilla», la «notte» contiene prima «crepe di ghiaccio» poi il «vento nuovo» che «ravviverà le alterate stagioni», la «terra» è sia «vostra», campo d’azione umano, sia custode di un «cuore di ghiaccio».

 

A permettere tale fluidità logica e simbolica è proprio il dispositivo della sestina, che recupera costantemente i termini della strofa precedente e li inserisce in nuovi spazi di senso. Per di più, D’Andrea sembra voler applicare questo meccanismo non solo alle parole-rima, ma anche a quelle interne, che vengono anch’esse, sebbene in forma meno ferrea, ripetute («respiro»/«respirate», «terra», «cuore», «altro», «giorno»/«giorni»…), generando così un effetto ipnotico che arriva al culmine nella condensazione finale (dove tutte le parole-rima devono riapparire):

 

Intanto questa notte è desiderio

d’aria e respiro, protesta del ghiaccio

alle stagioni in cerca d’altro mare.

 

Come si vede, i versi finali sigillano il gioco di scambi logico-simbolici e – di conseguenza – di fusione uomo-natura. La «notte» finisce per sovrapporsi al «desiderio» e il «ghiaccio», prima connotato negativamente («crepe», «macerie», «stanca materia»), assume ora la «protesta» per una conquista di quell’«altro mare» che nella prima strofa era legato agli «dei». Non una fusione di estasi panica, quindi, ma d’intenti, dunque attiva, che si risolve nella «protesta» (parola, si badi, politica), dove, come nella spirale, si contraddicono e attraversano unità ed alterità, direzione circolare e direzione lineare. Come nell’ecologismo (quello serio, non commerciale), che vede la natura al di là del bene del male, possibile minaccia per l’uomo e insieme sua condizione d’esistenza, tesoro. E D’Andrea genera questi larghi cerchi di significato con l’espediente metrico meno attuale, il trobar clus della sestina, che consente l’intero gioco di rimandi e sovrapposizioni: Nuovo mondo è una poesia intelligentemente monotonale, annuncia una venuta con uno strumento antico, parla di uomini che si gettano nel ghiaccio preparando futuri e necessari scongelamenti.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *