di Linnio Accorroni
Vocali, rubrica a cura di Linnio Accorroni
Caro M.,
Appena terminato di leggere la Giada Biaggi de Il bikini di Sylvia Plath, Nottetempo, 2022, tanta è la goduria che gozzaniamente solfeggio: «Rinasco, rinasco del duemila venti due!». Che nuovi Tondelli -anzi Tondelle- crescano, ordunque! (Sì, Tondelle: terribile e pure politicamente scorrettissimo questo orrido derivativo. Lo so. Ma tieni pur conto che sono disposto ad autoconsegnarmi, per questo scambio di ultima vocale di pessimo gusto maschilista, alle ronde puritane del post-trans-iper femminismo ed alle consonanti tutte del movimento LBGTXY. Mi autodenuncio in qualità di maschio degenere, putrido e fetido esponente di quel ‘patriarcato negazionista’ su cui si abbattono gli strali dell’umano, troppo umano, folle, sulfureo, complesso e complessato ‘io narrante’ di questo romanzo). «Tondelli» dicevo (-ed il nome agì-), perché questo romanzo ha, in my humble opinion, la stessa potenza folgorante e luminosa e pure numinosa di quel capolavoro che fu Altri libertini, che -ricordi?- divorammo in un fiato io, tu e tanti altri giovani maschi in fiore, appena 42 anni or sono. E perché proprio Tondelli? Non solo perché la protagonista del romanzo è una Altra libertina della contemporaneità modaiola, ma anche perché, come quello di Tondelli, questo è un romanzo generazionale che radiografa, da par suo, un particolare milieu giovanile e metropolitano. Si chiama Eva la protagonista, dottoranda in filosofia, casa 32 quadrati in via Melzo, ça va sans dire a Milano, per mantenersi si spoglia su OnlyFans leggendo classici russi dell’800, preda consapevole di mille dipendenze chimiche, umane, culturali, sociali: tanto per dire, intesse bizzarri scambi dialettici con Freud e David Forster Wallace, dialogando con disarmante naturalezza con i loro fantasmi. Poi, al netto di pasticche, alcool, etc, Eva per sovrappiù tira cocaina. Le ho contate: 18 volte. Ecco il catalogo: non per insulso feticismo tassonomico, ma perché queste pippate intellettuali potrebbero tornare buone non solo per disegnare un interessante profilo intellettuale di an artist was young woman, ma anche come titoli per una possibile bibliografia ideale di un corso di filosofia e letteratura contemporanea. 1. riga – (NB: I numeri indicano le righe, ma nel senso della pippate e non delle pagine). Nascita della tragedia Nietzsche 2. Arte e spazio Heidegger 3. La tentazione di esistere Cioran 4. Osho – fuorviante e desultorio rispetto agli altri nomi, certo: infatti è un libro regalatole da un’amica sciocca 5. La vita interiore Moravia 6. Qui un’eccezione cinematografica, certo non casuale: il DVD di Lezioni di piano 7. Nemesi P. Roth 8. Saggio anonimo sull’estetico del vuoto 9. La nausea Sartre 10. Il piacere di scoprire R. Feynman 11. L’ordine del discorso Foucault 12. Féerie pour une autre fois Céline 13. L’anno del pensiero magico di Joan Didion 14. La pietra filosofale 15. Confessioni di Sant’Agostino 16. Un altro Roth: Ho sposato un comunista 17. Barthes Frammenti di un discorso amoroso 18 Céline Il viaggio al termine della notte. (Exit cocaina ). La madre ha un glorioso passato, sia come ‘Miss Maglietta Bagnata’ che come starlette nella versione soft di quel porno familiare e domestico sdoganato dai canali Mediaset ed ora pratica, con ottimi risultati, la tanatoprassia -googlare, please-. Il padre è un professore universitario che insegna storia del cinema specializzato in nazismo (Do you remember Mr. Jack Gladney in Rumore Bianco di Don De Lillo?), perfetto esemplare di maschio porco sciovinista e pure incestuoso, con la ineffabile leggerezza di chi non dà alcun parvenza di esserlo. Eva, la nostra Altra libertina, è alle prese con una tesi interminabile sulle performance femministe fra XX e XXI secolo (inevitabile, come il Natale, mi viene il ricordo di quella battuta immortale e profondamente veritiera che la madre di Sophie Call rivolse alla propria figlia, dopo aver visto che le ‘opere’ della sua ‘creatura’ erano insieme a dei Picasso e dei Mirò: «Li abbiamo fregati tutti stavolta, cara. N’est pas?») si innamora perdutamente di un curatore d’arte, Ludovico. Ai tempi di Werther, gli innamorati si scambiavano lettere. Eva e Ludovico, al tempo di Tinder e della DM su Instagram, praticano il sexting. L’apoteosi di questo amore tutto digitale culminerà in un analogico tristo pompino ‘foucaldiano’- così lo definisce Eva e noi ci fidiamo-, consumato nei bagni della Fondazione Prada, of course. Ma perché mi è piaciuto così tanto questo romanzo? Per tanti motivi del tutto eterogenei. Ne citerò solo pochi, fra i tanti che potrei e che non faccio, in omaggio alla mia sacra oblomoviana pigrizia e per non tediare ulteriormente il lettore che, invece di leggere questa mia, dovrebbe correre a comprarsi il libro. In primis, perché, in omaggio alla massima hofmannsthaliana – Dove va nascosta la profondità? In superficie – la folle bizzarra colta profonda sulfurea depressa tanatologica Eva surfa su un universo metropolitano mid-cult composto da vernissage, performance, sfilate di moda, seminari, concerti, after- party, popolato dalla inevitabile fauna del caso, che frequenta questo côté estetizzante/mondano/dandy, tentando di nascondere vanamente un incombente senso obituario di disperazione e di insignificanza che aleggia sovrano su tutto. Nemmeno la furia citazionista delirante, il parossismo delle similitudini, l’apoteosi manierista del ‘come se’ (ogni gesto ed ogni atto-anche cagare- nel romanzo rimanda a qualcosa d’altro, anzi a qualcun altro: è il tracimante showing off intellettuale, bellezza) riesce a placare il cupio dissolvi che travolge tutto e tutti. Ma è anche un libro dove si ride purché si consideri il comico come uno strumento per conoscere se stessi tanto che, quando viene opportunamente stilizzato come fa la Biaggi nelle pagine di questo libro, diventa realizzazione estetica.
Per quello che riguarda poi più propriamente l’amor fou di Eva, esso non riguarda solo Ludovico, ma anche tutta una serie di uomini senza qualità (Giovanni, il fidanzato rozzo, Giosuè il cantante indie tossico, Paolo lo spacciatore, etc…) che, esemplari incarnazioni del girardiano desiderio mimetico o triangolare, fanno venire in mente ciò che Swann dirà di Odette: «La donna che ho amato per tutta la vita non era neppure il mio tipo». Resta irrisolta la domanda che Eva si fa a pag. 236: ma se Heidegger ed Hanna Arendt avessero usato le gift, le emoticon e il selfie, che cosa ne sarebbe stato di loro?