di Alberto Casadei
Proporre l’ennesima riforma della scuola italiana è forse velleitario e quasi di sicuro inutile. Eppure alcuni obiettivi da raggiungere dovrebbero risultare comuni a ogni tipo di partito o movimento, per andare oltre la cosiddetta “riforma Gelmini” e la cosiddetta “Buona scuola”, proseguite da qualche blando aggiustamento, poi travolto dall’emergenza del periodo pandemico. Non si tratta di entrare nel merito delle legittime rivendicazioni di migliaia di insegnanti, alle quali si dovrebbe rispondere in un unico modo: maggiori risorse stipendiali in corrispondenza a una professionalità in costante crescita durante gli anni di docenza (altro che aumenti in rapporto al costo della vita regionale o locale: pare che persino l’attuale ministro se ne sia reso conto). Né si tratta di evidenziare le carenze di strutture, specie in contesti sociali altamente degradati. Occorrerebbe un’unica azione, radicale: finanziamenti di nuove scuole o di ristrutturazioni complete, a fronte di una risposta delle istituzioni locali riguardo alla valorizzazione o riqualificazione del contesto in cui si svolge l’attività didattica, in modo da farla apparire per quello che è, l’azione fondamentale per passare dalla famiglia alla società civile in quanto cittadini consapevoli e responsabili. Sarebbero ovvietà se non fosse che queste misure vengono sistematicamente evitate, procrastinate, aggirate, mentre si procede per esempio a ridurre a una giungla burocratica l’attività didattica e valutativa, e a un ruolo del tutto marginale, ricoperto da individui privi di autorevolezza e idonei a essere screditati e bullizzati, quello dei docenti.
Non di questi aspetti vorrei però parlare, senz’altro da approfondire ma legati a fattori esterni di facile individuazione; vorrei invece riflettere su una questione di fondo: che cosa è diventata oggi la Bildung, ossia quell’insieme di ‘formazione-apprendimento-crescita intellettuale’ che dopo la Rivoluzione francese cominciò a non riguardare più solo l’aristocrazia, bensì le classi borghesi, e poi ogni classe sociale almeno a partire dal secolo XX? Si trattava, bisogna sottolinearlo subito, di un processo che poteva non rientrare nell’insegnamento istituzionale, e addirittura a esso si contrapponeva o attraverso una ricerca indipendente di valori formativi, come capita ai protagonisti dei tanti Bildungsromane scritti dalla fine del Settecento, o persino attraverso una disponibilità passiva, cioè lasciando che la vita stessa dia le sue lezioni, magari grazie a casuali incontri on the road o semplicemente fermandosi presso un grande parco a Londra o a New York.
E tuttavia quel processo che fino a non molti anni fa avremmo ancora chiamato Bildung forse non esiste più. L’ironia di un acuto interprete del nostro presente, Walter Siti, il quale proponeva circa trent’anni fa un suo Body-buildingroman, peraltro ancora intitolabile Scuola (di nudo, 1994), ora non susciterebbe alcun tipo di reazione. Non ci si lascia formare dalla scuola o dai partiti o dai mass media, e in fondo nemmeno dai casi della vita, perché ogni formazione risulta esteriore e inutilizzabile: se lo scopo era quello di fornire un bagaglio di conoscenze e di nozioni riapplicabili, magari con un adeguato metodo e sulla scorta di alcuni assunti assai antichi (la storia è maestra di vita, le ripetizioni giovano ecc.), il minimo che si può dire è che attualmente esso non viene raggiunto. Con ogni evidenza, tra la formazione scolastica o ricavabile da centri culturali un tempo accreditati (giornali autorevoli, sezioni dei partiti, laboratori sperimentali come la Olivetti a Ivrea o la scuola di Barbiana…), e quella diffusa, legata adesso soprattutto al web e ai social, esiste un crepaccio che tende ad allargarsi costantemente.
Una delle cause è l’ormai evidente prevalenza della triade ‘facilità-immediatezza-efficacia’ su ogni altro parametro idoneo a stabilire la validità di un concetto, di un testo, di un’opera d’arte o d’ingegno. Ogni dichiarazione di un potente (di qualunque ambito) attraverso i social risponde perfettamente a quella triade e contribuisce a generare un’attenzione fugace ma pervasiva. Qualche dubbio può sorgere solo se si diffonde una controinformazione ancora più efficace, in genere fake ma idonea a generare sospetti di oscuri complotti, ottimi per alcuni giorni di vacue discussioni. Tutto ciò va contro le esigenze di una formazione costante e meditata.
Se poi consideriamo l’effetto emozionale e impressivo, prioritariamente ricercato da artisti, cantanti, youtuber, tiktoker e quasi tutti gli altri tipi di influencer inseriti nell’attuale campo di forze culturale (e politico), dobbiamo riconoscere che viene oggettivamente ridotto se sono necessarie complesse articolazioni concettuali per arrivare a una spiegazione o un’interpretazione adeguata di un testo. In questo ambito sono molte le possibilità nate nell’era dell’arte pop: le emozioni sono generabili in molti modi, l’importante è che siano suscitate in maniera immediata, magari rielaborando stili ben riconoscibili. Se prendiamo un’icona della nuova arte mondiale, Banksy, intuiamo facilmente che il suo primo merito è quello di aver dirottato la street-art prima maniera verso un manierismo ironico, a sfondo spesso anticonvenzionale ma comunque leggibile in sé, nella sua evidenza iconografica. Ma si può ipotizzare che le sue opere siano destinate a entrare in futuro in una Bildung che comprenda un’ampia e articolata ‘storia dell’arte’? È difficile crederlo.
Per lo più ci si limita a estrapolare, dalla congerie che chiamiamo storia, pochi eventi da ricordare oltre a quelli commemorati per obbligo: non diventano Bildung e comunque sono subordinati ai ‘fatti propri’, condivisibili globalmente attraverso i social, che producono un’implicita equiparazione di grande e piccolo, rilevante e irrilevante, pensieri estemporanei, lunghe riflessioni, video del tragico incidente o del cane che ferma un gatto pronto ad azzuffarsi, selfie semplici o rielaborati, opere meditate per decenni, soluzioni radicali, compromessi accettabili e così via ad infinitum. Perfino le immagini di Banksy fanno parte integrante di questo sistema, non si collocano in una linea selezionata o canonica.
A questo punto dovrebbe cominciare, da tópos, il lamento per la condizione in cui ci siamo venuti a trovare. Invece no. Io credo che questa condizione vada compresa sino in fondo, non accettata nelle sue derive ma sfidata dopo aver messo in luce i suoi presupposti. Bisogna innanzitutto riconoscere che la triade di cui sopra ha una forza cognitiva quasi insuperabile: come già le ‘forme semplici’ individuate da André Jolles, anche le nuove, nate in sostanza con gli anni Cinquanta del XX secolo, si adattano a vari livelli comunicativi e ottengono, in campo artistico, esiti notevolissimi nell’allargamento della base dei fruitori, creando per di più una dissimmetria e quindi un’impossibilità di comparazione proprio nella storia di quei fenomeni biologico-stilistici che chiamiamo arti. Possiamo forse confrontare la Hammerklavier con Starway to Heaven o Wish you were here o qualunque grande brano delle rapide e intense stagioni dal 1950-60 a oggi? O possiamo confrontare i ratti di Banksy con Piero della Francesca o con Monet (che peraltro poi lo stesso Banksy s’incarica di attualizzare con il suo Save the Monet)? Non si tratta di rotture volontarie, come nel caso delle avanguardie, o indirette, come nel primo postmodernismo; piuttosto, si è instaurato, fuori della Bildung fondata sulla maestria dell’artista, un altro circuito ‘creatore-contesto-fruitore’, il cui obiettivo non è la perfezione, come nella classicità, o l’eccezionale, come nelle varie fasi romantiche e postromantiche, bensì il godibile nel proprio tempo, che si può manifestare nella forma dell’eversione ma più di frequente in quella del puro divertissement.
Questo tipo di opere favorisce una fruizione emotiva, e insieme cognitiva, perché ottiene l’efficacia potenziando, riadattando e a volte straniando forme già sperimentate, immagini circolanti ecc., oppure ritornando a partizioni semplici ma penetranti, come nel caso del rap. Viceversa, la letteratura solo scritta non si configura più nemmeno come ‘sistema passante’ ma come snodo laterale, nobile intrattenimento però in decadenza inarrestabile, perché la complessità stessa della scrittura risulterà a breve insostenibile nella comunicazione standard. Paradossalmente nascono così opportunità inedite che andrebbero favorite, soprattutto a livello intermediale: ma non è possibile approfondire qui questo aspetto davvero essenziale nel campo di forze delle arti contemporanee.
Venendo alla scuola del futuro, quali sarebbero dunque i fondamenti di un apprendistato che sia ancora degno di formare un giovane, indipendentemente dal suo futuro ruolo sociale? Il primo snodo mi sembra quello di procedere a una drastica selezione dei contenuti formativi essenziali per saper leggere consapevolmente qualunque tipo di testo, esaltando le capacità di confronto. Uno dei tratti caratteristici della maieutica socratica risulta adattissimo alle modalità euristiche attuali, soprattutto per capire perché si è arrivati a un determinato risultato. Ciò vale sia per gli esiti oggettivamente condivisibili, che chiamiamo scientifici ma sono comunque frutto di confronti sistematici e quindi di scelte e di scarti, sia per quelli probabili o opinabili, sino alle mere questioni di gusto: e pure su quelle, nel presente, si può esercitare l’arte del confronto per giungere a una scelta argomentata.
Quanto ai nuovi ambiti da introdurre, di certo il conoscere le funzioni cerebro-corporee ormai assodate, le reazioni di fronte a determinate condizioni, primordiali (la paura, il desiderio fisico…) o secondarie (il piacere intellettuale, il gusto elaborato…), dovrebbe essere considerato più rilevante rispetto a un nozionismo riducibile a poche battute su funzionamenti basilari delle cellule o della fotosintesi. E l’uso di Internet, sinora piuttosto casuale, dovrebbe finalmente svecchiare l’insegnamento di materie che possono essere rivoluzionate con il semplice uso di un buon motore di ricerca, dalla geografia alla storia (del tutto da ripensare quanto a fondamenti e obiettivi), magari con ricostruzione 3D o attività immersive e interattive. Il che non implica un ridurre queste o altre materie di studio a una sorta di videogioco: occorre sempre applicare dei paradigmi per ricavare elementi davvero essenziali da quello che si è esaminato, che siano le condizioni delle nazioni del mondo oggi o le fasi della II guerra mondiale, magari guardando anche ai regimi politici dei vari popoli in guerra, per capire meglio cosa si intende per ‘totalitarismo’.
In questo modo sarebbe ben più semplice introdurre le nozioni di Educazione civica, che deve chiarire i rapporti fra Stato come istituzione e cittadini come soggetti in formazione e che si troveranno sempre più nella necessità/opportunità di convivere con altri individui provenienti da culture e società completamente diverse fra loro. La multietnicità è una condizione irreversibile, e l’integrazione autentica si ottiene attraverso un cambiamento di mentalità, che deriva dalla piena comprensione dei diritti e dei doveri, personali e collettivi.
Non va poi dimenticato il recente passato. A partire dal mese di marzo 2020, in pochi giorni un sistema scolastico come quello italiano, da anni alla ricerca di una nuova anima, è stato costretto a cambiare profondamente: l’emergenza dell’epidemia ha obbligato studenti e insegnanti a operare in classi virtuali, praticando modalità didattiche per molti del tutto nuove, a volte con disagio ma altre con curiosità e intraprendenza. Ora, dopo questo esperimento del tutto forzato, sarebbe un errore tornare al passato senza acquisire nessun vantaggio da questa drammatica esperienza.
Si dovrebbe quindi prendere atto che la didattica per via telematica è anche un’opportunità, per esempio se si vogliono differenziare gli impegni in presenza, quindi alleggerendo o distribuendo in modo nuovo l’impatto sulle strutture, sui trasporti locali, sulla vita stessa delle famiglie. E poi si possono realizzare percorsi didattici personalizzati, grazie a strumenti pensati direttamente per l’online, che favoriscano l’apprendimento specie per i ragazzi che non seguono facilmente la lezione tradizionale: l’implementazione dell’italiano per i non madrelingua, per esempio, può avvenire benissimo anche grazie a corsi con esercizi mirati, ovviamente da verificare poi con i docenti ma ben praticabili anche, e con divertimento, attraverso strumenti informatici.
Con risorse non enormi, e con linee guida nazionali ma flessibili riguardo alle realtà locali, sarebbe insomma possibile dotare di strumenti nuovi le nostre scuole: naturalmente andrebbero valorizzate le potenzialità dei docenti, per troppo tempo depresse, in modo da renderli in grado di impiegare con competenza questi strumenti, che non sostituirebbero ma integrerebbero la didattica in presenza, rendendola molto più dinamica.
Questi sono solo alcuni degli obiettivi fondamentali, ossia adeguati alla formazione di una persona consapevole e in grado di interagire autonomamente nel contesto sociale attuale e a venire. Ora andrebbero indicate le pratiche per raggiungerli, ma ciò implica modelli educativi che sono oggetto di continue revisioni e andrebbero analizzati a lungo. Mi devo allora limitare a un piccolo esempio relativo al mio campo di studi, la letteratura, considerando lo stato attuale come implicito punto di partenza. Ma approfondirò solo alcuni aspetti della questione, dialogando implicitamente con quanto si è detto anche di recente, per esempio in “Le parole e le cose2” (https://www.leparoleelecose.it/?tag=scuola) oppure in siti specifici come “La letteratura e noi”, “Griselda online” e molti altri, dove tanti docenti riflettono sulle loro esperienze (molte delle quali da me condivise assieme alla Sezione Didattica dell’Associazione degli Italianisti).
Innanzitutto è ormai indispensabile coordinare sistematicamente l’insegnamento della lingua con quello della letteratura: il percorso di formazione nell’uso della propria lingua madre, o dell’italiano come L2, deve essere ininterrotto a partire dal primo anno di scolarizzazione e deve perseguire obiettivi chiari a ogni livello ma soprattutto al termine dell’obbligo, quando ogni studente deve essere in grado di esprimere correttamente una propria argomentazione, magari dopo aver interpretato e recepito quelle altrui. È quindi evidente che già nel primo ciclo quinquennale deve essere incrementata la lettura di testi a complessità crescente, seguita da applicazioni varie (riassunti, commenti, riscritture e rielaborazioni), come in parte già si fa ma senza una gradualità e spesso incorrendo in ripetizioni inutili.
Il secondo ciclo attualmente triennale (ma riducibile a un biennio, se è necessario arrivare, per conformità con gli standard europei, alla contrazione di un anno dell’istruzione secondaria) dovrebbe concentrarsi sulle letterature del XX e del XXI secolo, istituendo percorsi tematici e aprendosi a confronti con tutti i tipi di testi reperibili in rete e relativi all’attualità, da commentare motivatamente. Non si tratterebbe di seguire una moda, dato che ormai non sono certo le nuove opere letterarie (o gli articoli giornalistici o i saggi più o meno ampi) a incidere sull’immaginario giovanile, bensì di usare vari metodi per decodificare i vari tipi di messaggi, Solo in questo modo, ossia lavorando in età precoce, si possono raggiungere quegli obiettivi di capacità critica che è carente o solo personale nella gran parte degli studenti all’uscita delle scuole secondarie.
Per l’ultimo quinquennio, in futuro da dividersi in un triennio e un biennio, occorre salvaguardare la consequenzialità storica delle opere da esaminare, ma rinunciando alla ‘storia della letteratura’ secondo ormai irraggiungibili obiettivi di completezza, oltretutto resi inutili dalla disponibilità di una congerie enorme di dati, buoni o cattivi che siano, in rete. Bisogna invece puntare su pochi, grandi classici della letteratura italiana, da leggere e conoscere in ogni tipo di scuola (sia pure con approcci differenziati), e da inserire nel contesto più ampio delle letterature europee ed extraeuropee almeno con opportuni accenni. Garantita questa solida base, agli insegnanti può essere riservato il compito di creare percorsi didattici adatti alle proprie classi, per esempio favorendo elaborazioni per competenze, secondo modalità progettuali da definire, e soprattutto l’interpretazione motivata.
Il biennio conclusivo (ma il discorso resterebbe valido persino se si mantenesse l’attuale articolazione, quindi con un biennio seguito da un triennio) potrebbe introdurre confronti interdisciplinari mirati a seconda degli indirizzi, in modo da far riflettere sulle caratteristiche dei metodi conoscitivi, magari a partire da casi concreti, per esempio da nozioni minime di filologia, ovvero di analisi degli indizi, per capire quando ci si trova di fronte a errori o a fake news. E non si dovrebbe aver timore di affrontare testi complessi e tuttavia di eccezionale valore: per esempio, sulla condizione umana durante una guerra conta molto la conoscenza di poeti come Ungaretti o di narratori e saggisti come Lussu, però non bisogna evitare a priori di affrontare la bellissima Primavera hitleriana di Montale o un passo del Partigiano Johnny di Fenoglio o addirittura opere straniere (da Simone Weil a Vassilij Grossman), se la loro analisi contribuisce a far comprendere perché un’alta elaborazione stilistica conduce a un modo diverso di configurare la realtà. Al termine di un percorso ben strutturato, opere come queste possono essere oggetto di esame, in rapporto agli obiettivi previsti dall’indirizzo di studio.
Si dirà che tutto questo non risponde ad alcuni problemi macroscopici, oltre a quelli già indicati all’inizio: la forte dispersione una volta soddisfatti gli obblighi di legge (o, purtroppo, pure prima), tale da impedire in media al 25% degli studenti iscritti di raggiungere un diploma; le forme di violenza e bullismo e in generale le difficoltà a creare gruppi coesi nelle classi, in genere sempre più eterogenee; l’incapacità di giustificare lo sforzo formativo dello studente al di fuori di formule stereotipate ormai difficili da accettare. Se non si partirà da una radicale revisione dei contenuti da veicolare e dei modi più adatti a farlo, problemi come quelli appena citati rimarranno del tutto irrisolti.
Le linee operative qui presentate, pur schematicissime, dovrebbero almeno suggerire in che direzione bisogna lavorare, molto presto, per ricondurre la scuola italiana a esercitare una sua funzione indispensabile, quella di supporto essenziale a una Bildung che non si nutra soltanto di assunti veteroumanistici e sia invece aperta alle nuove sfide e propositiva.