di Gherardo Bortolotti

 

[Pubblichiamo la prefazione di Gherardo Bortolotti al libro di poesie bilingue Other rooms/Altre stanze di Vanni Santoni, tratto dal progetto 999 rooms e in uscita il 3 marzo nella collana novecento/duemila diretta da Raoul Bruni e Diego Bertelli per Le Lettere, più una selezione dal volume]

 

In una fase della nostra letteratura in cui il canone della tradizione occidentale viaggia parallelo alla produzione orizzontale di contenuti online, le letterature nazionali si confondono con il mainstream transnazionale e transmediale e le forme consolidate della narrativa lasciano sempre più margine alle scritture ibride o indecidibili, il testo di Vanni Santoni ci dà un esempio riuscitissimo di soluzione (oltre che di vitale prospettiva) nella gestione di tutte quelle spinte centrifughe e allo stesso tempo innovative che caratterizzano un’epoca di transizione.
Nato come progetto di scrittura in inglese in rete (tuttora in corso – e va notata la scelta così carica di significato in termini di poetica come quella di scrivere in una lingua globalizzata negli spazi di un’infrastruttura altrettanto globale) e adesso pubblicato in forma di autotraduzione, 999 rooms ha sicuramente una serie di modelli letterari espliciti e impliciti ma trova le sue radici e le sue soluzioni estetiche forse soprattutto in mondi anche molto distanti, come il creepypasta e le strutture videoludiche.
Per quel che riguarda i modelli letterari possiamo sicuramente citare l’immaginario di Borges (non per nulla una delle stanze ha una pianta esagonale, come le sale della Biblioteca di Babele, e, allo stesso modo, in un’altra stanza, si aggira una tigre) ma anche le Città invisibili calviniane (richiamate non solo da qualche ritorno stilistico negli incipit di alcune singole stanze ma anche in molti dei titoli delle serie in cui le prose/poesie sono organizzate: Stanze dell’innocenza, Stanze dell’esperienza, Stanze delle memoria, Stanze del desiderio, Stanze della notte – facendo eccezione solo la serie Sogno della camera blu). D’altra parte, non mancano i riferimenti a The Waste Land (e come non ricordare, leggendo le sequenze di Santoni, lo «heap of broken images» come anche i «fragments […] shored against my ruins» eliotiani?) e, almeno per i lettori di Perec, più d’uno degli interni affollati di oggetti, accostati forse casualmente e per questo in qualche modo ancora più numinosi, ricorda le descrizioni degli appartamenti all’11, rue Simon-Crubellier.
Ma le “rooms” di Santoni riecheggiano sicuramente anche i mondi creepypasta e le backrooms generate dall’intelligenza collettiva nelle board di 4chan o in altre piattaforme online, quelle stanze sotterranee, unheimlich, dalle pareti ricoperte di carta da parati ingiallita, con la moquette umida e illuminate da neon che ronzano ininterrottamente, relegate fuori dalla realtà, nelle wrong areas, composte in un labirinto che si estende indefinitamente, su più livelli, e abitato da creature inquietanti e sinistre. Allo stesso modo, si entra in ognuno dei testi della raccolta con il sottile senso di perturbante con cui ci si inoltra nei sotterranei dei videogiochi RPG (Role-playing games), ogni camera luogo di pericolo o di scoperta, ogni camera forse già visitata, forse non esplorata completamente, forse non ancora compresa ma comunque segnata da un inestinguibile vibrazione di mistero.
Il modello degli RPG, soprattutto quelli più datati, è probabilmente quello che rende meglio l’operazione estetica e di immaginario che Santoni mette in azione con la scrittura delle sue “rooms”.
Non solo ogni locale sembra pieno di un segreto indicibile, sottile e minaccioso; non solo le collezioni di oggetti o le scene che vi si incontrano riecheggiano significati enigmatici, forse parte di un disegno più ampio ma frammentario, contraddittorio e comunque ignoto; non solo ogni interno che esploriamo presuppone l’estensione di una mappa incognita, uno schema di tante altre stanze ignote che sostengono l’esistenza di quella nota. Non solo tutto questo sembra la filigrana della collezione che Santoni ha raccolto ma lo stesso motore narrativo degli RPG, la continua riformulazione della struttura multidimensionale in un’esperienza sequenziale, è al cuore della raccolta.
Ogni stanza si presenta come il momento in una trama, senza che la stessa trama sia chiara o se di trame ce ne sono più d’una, e quindi ogni interno che esploriamo (che è anche una scena a cui assistiamo – come anche viceversa) è la realizzazione nello spazio di un momento nel tempo, nella struttura narrativa generata ininterrottamente per successione lineare, il fermo immagine di qualche video online senza inizio né fine, la scorcio di qualche spazio liminale, la fotografia perturbante di qualche scena incomprensibile che incontriamo navigando in rete, che ci precede e che ci sopravviverà.
Tutto questo genera il peculiare punto di vista che 999 rooms ci concede, l’unico a cui possiamo accedere per continuare il nostro cammino in questa mappa presupposta e dai confini sconosciuti: quello di chi si imbatte in un reperto, in una traccia, nella testimonianza arcana di chissà quale civiltà aliena o remota. Il punto di vista proiettivo che genera un legame tra la nostra soggettività, qui e ora, e un manufatto ambiguo, forse collocato in qualche punto nel tempo passato o futuro, una proiezione che non dura se non per la durata della visione, per azzerarsi e poi rigenerarsi resettata con l’apparire della stanza successiva.
Al netto di quanto questo punto di vista sia quello proprio di chi ha esperienza dell’online e dei suoi spazi serendipici e proiettivi (e di quanto questo si rifaccia direttamente a una delle radici della scrittura di Santoni, quella che parte dalla produzione di contenuti su Splinder), questa raccolta è quindi un peregrinare continuo tra porzioni e metonimie di ordini incompleti, tra paradigmi solo in parte espressi, che non solo la catena delle sequenze ma anche le collezioni enciclopediche di oggetti e scene e i cluster lessicali che li traducono (spesso composti in accostamenti preziosi e inusuali) sembrano continuamente evocare.
Una della stanze, come recita l’esergo di questa prefazione, è un enorme cristallo sognante ed è forse questo uno dei più chiari rispecchiamenti della raccolta di Santoni su se stessa, componendo quell’immagine un emblema delle “rooms” nell’emblema più ampio che le “rooms” stesse vanno disegnando. Ma questo cristallo non è mai presente del tutto, si dispiega in qualche dimensione ulteriore, in qualche corrente di rêverie che solo un’altra nostra rigenerazione, in qualche saving point lontano, ci permetterà di seguire.


 

Una selezione da Other rooms/Altre stanze

 

di Vanni Santoni

 

Room 12

 

On the table in room 12, there are twelve loaves of bread, twelve branches, twelve stones, twelve strips of cloth and three sets of twelve silver bowls.

 

Stanza 12

 

Sul tavolo nella stanza 12, ci sono dodici filoni di pane, dodici rami, dodici pietre, dodici strisce di tessuto e tre serviti da dodici ciotole d’argento.

 

 

Room 23

 

In room 23
a golden braid or gyre,
more gyre than a braid
(yet eternal, some say)
spins the night afire.

 

Stanza 23

 

Nella stanza 23
un’aurea treccia o spirale,
più spirale che treccia
(ma eterna, sì pare)
fila in fiamme, rotante, la notte.

 

 

Room 34

 

In room 34, dogs are beheaded with cleavers and suspended over buckets to let the blood collect; the heads are thrown in a corner, where a rickety adolescent burns away the hair with a blowtorch before piling them up.

 

Stanza 34

 

Nella stanza 34, i cani vengono decapitati con le mannaie e appesi sopra ai secchi per raccoglierne il sangue; le teste vengono lanciate in un angolo, dove un’adolescente rachitica ne brucia via il crine con una fiamma ossidrica e poi le impila.

 

 

Room 43

 

The austere instruments in room 43
made of polished walnut wood
and tight hemp rope and wrought iron
are rarely used, their mere display usually
being sufficient to draw prompt abjurations.

 

Stanza 43

 

Gli austeri strumenti nella stanza 43
fatti di legno di noce lucidato e tesa corda di canapa e ferro battuto
vengono usati di rado, essendo la mera ostensione
in genere bastante a cavare rapide abiure.

 

 

Room 55

 

The irregular shape of room 55, with a number of concavities and convexities, may look strange to the delver who doesn’t realize he is inside the head of a statue, whose eyes are nothing but the oval windows from where he will see dark columns of smoke raising from a distance and fire eating whole quarters in flashes of brimstone, and ships sinking one after the other and all those oh so tiny drowning men.

 

Stanza 55

 

La forma irregolare della stanza 55, piena di nicchie e protuberanze, può apparire strana all’esploratore che non capisca di essere all’interno della testa di una statua, i cui occhi non sono altro che le finestre ovali da cui vedrà nere colonne di fumo salire alla distanza, e fuoco che divora interi quartieri in sprazzi sulfurei, e navi che affondano una dopo l’altra e tutti quegli uomini – così piccoli! – che affogano.

 

 

Room 97

 

That one was a classroom,
first floor, fourth door,
one plastic signbearer
which should hold a
paper reading 1-B,
but held instead
the face of some Wolfsburg
defender; and
at Morgen the hallway
a bath of light
and I wished I could just
go straight, become
the light – but I’d have reached
the toilets instead,
reign of the bigs, a place
of cigarettes
‘chwas wise to avoid.

 

Stanza 97

 

Quella era un’aula scolastica,
primo piano, quarta porta,
un porta-etichetta di plastica
che avrebbe dovuto avere un
foglietto con scritto 1-B,
ma aveva invece il volto di un
difensore del Wolfsburg;
e al Morgen il corridoio
un bagno di luce
e avrei voluto poter solo
andar dritto, diventare
la luce – ma mi sarei ritrovato
invece ai bagni,
regno dei grandi, un posto
di sigarette
ch’era saggio evitare.

 

 

Room 141

 

then, a transition.
tracers, confetti, a couple black frames.
dim lights on, enter
a honest living room
blue wallpaper, moiré
mom cries on a chair
That’s all, says dad,
his beard, then, still dark.

 

 

Stanza 141

 

poi, una transizione.
traccianti, coriandoli, due fotogrammi
neri. Luci soffuse, ed ecco
un onesto salotto
carta blu ai muri, marezzata
la mamma che piange su una sedia

È tutto, dice il babbo,
la sua barba, allora, ancora scura.

 

 

Room 149

 

you cannot,
said the voice,
cat again father again,
you cannot
twice enter
twice descend
the same room,
twice obtain
the same state

 

and there was in the deep
of that one, not
cat nor dad but
the wisest man alive,
the Blind

three fleasquishin’ kids
fooled him with seen / taken,
with ‘‘did you hear the one about…’’
with the pea trick, with tell-me-boob.

 

not before not after
at the same time
binds unbinds
looms & fades
fire again

 

Stanza 149

 

non puoi,
disse la voce,
ora gatto
ora babbo,
non puoi
entrare due volte
scendere due volte
nella stessa stanza,
ottenere due volte
lo stesso stato

 

e c’era nel profondo
di quella stanza, non
gatto né babbo
ma il più saggio di tutti,
il Cieco
…tre ragazzini schiacciapulci
lo avevano fregato col vist’-e-preso,
con “l’hai sentita quella su…”
col trucco del pisello,
col chiamazinna.

 

non prima non dopo
allo stesso tempo
lega slega
incombe e svanisce
fuoco di nuovo

 

 

 

[immagine di copertina: la Stanza 27 di Other rooms reinterpretata da Midjourney]

6 thoughts on “Un enorme cristallo sognante

  1. Tutto bellissimo ma quanti come me sono anche stufi (in realtà mi sento cringiato fortissimo) da queste pubblicazioni? Cioè, le pubblicazioni di raccolte di poesie da parte di affermati prosatori. Di solito si tratta sapete di cosa? Di prose brevi, surreali, che l’autore decide di scrivere “sotto forma” di “poesie”. E sapete come lo fa? Andando a capo a casaccio. Da notare l’abbondanza di enjambement (tipico di chi di fatto non sa cosa sta facendo ma vabbè decide di scrivere poesia). Attenzione, con questo voglio dire che il volumetto di Santoni può anche essere bellino, per carità, non sto dicendo che sia brutto. Un volumetto in cui si descrivono queste stanze misteriose e bizzarre (stanza 55 una delle mie preferite di questa anteprima) può essere interessante. Però, cavolo, ma scrivi direttamente delle prose brevissime allora (tanto sono prose, fidati), perché sforzarti a fare dei versi che versi non sono? E dai. Facevi delle prose poetiche, e stop. Invece così da lettore mi sento preso in giro. Pare che alcuni narratori debbano per forza mettere le mani in pasta ovunque e approdare anche nella poesia (anche quando evidentemente non c’è motivo). Volete leggere uno splendido volumetto in cui anziché una lista di descrizioni di stanze c’è una descrizione di padri? Consiglio un reale libro di poesia uscito diversi anni fa ma mai più dimenticato, si tratta de “I padri” di Giulia Rusconi. Ciao e grazie per chi leggerà.

  2. Buondì, peccato l’anonimato del commento, sarebbe stato più serio col vero nome e non solo con l’IP ;) Ciò detto, quanto scritto mi trova piuttosto d’accordo – io stesso penso le Stanze più come prose poetry che come poesia-poesia – e senz’altro diventano “prose-con-a-capo” in traduzione. Il commento però non tiene conto (e in effetti non può farlo, dato che non abbiamo riportato la nota finale del libro: è quindi scusato) del fatto che il progetto 999 rooms (che, si noterà, ha anche archi narrativi, non percepibili in una selezione piccola e variegata come questa), nasce e si sviluppa in inglese, è pensato in inglese e scritto in relazione alla poesia inglese (di cui usa anche versi in mash-up e mutua specifici dispositivi).
    Le versioni italiane sono mie traduzioni e, non essendo io un traduttore di poesia, ho preferito farle in modo che risultassero più come “guide” per chi non conosce bene la lingua inglese che come traduzioni poetiche nel senso pieno del termine: è per questa ragione (facilità di lettura e riferimento) che si è deciso di mantenere gli a capo come nella versione originale, che è la sola a cui si deve guardare per considerazioni di ordine, appunto, poetico.

  3. A scanso di equivoci, e invitando a considerare le 198 stanze di “Altre stanze” per intero e nella loro versione originale, ovvero inglese, riporto qua in calce anche la nota finale presente nel volume:

    ~

    Nota dell’autore

    999 rooms, di cui sono qui raccolte le prime 198 “stanze”, nasce – ormai dodici anni prima dell’uscita del presente volume – come progetto in inglese per una ragione deliberata. Se oggi il mio mestiere è la scrit- tura, lo devo anzitutto ai poeti di lingua inglese che scovai, compulsando il volume ben oltre il program- ma, nell’antologia del liceo. Blake, Coleridge, Yeats, Pound, T.S. Eliot e Owen prima di tutti, e poi ancora Pope, Dickinson, Plath, Cummings, Walcott, furono i primi a “parlarmi con parole potenti”, per dirla con Ginsberg (un altro che poi lo fece!) e a mostrarmi, quindi, che la letteratura poteva essere qualcosa di straordinario. Qualcosa a cui si poteva anche consa- crare l’esistenza: questo lo compresi solo diversi anni dopo, ma erano stati loro a sussurrarlo nel mio orec- chio di adolescente. La mia strada è stata poi quella della prosa nella mia lingua, che è l’italiano; ma se avessi dovuto fare, per una volta, della poesia, non avrei potuto usare altra lingua che l’inglese. Alla fine è capitato, e così ho dunque operato. C’era un debito enorme da rimettere, e Altre stanze è un piccolo gesto in tale direzione.
    La traduzione italiana è mia, e non essendo io un traduttore di poesia, è da intendersi anche come una sorta di “guida alla lettura” per chi non conosce, o conosce poco la lingua inglese. Va da sé che molti elementi – scelte metriche e di suono, doppi sensi, riferimenti inter- testuali, citazioni, sono reciprocamente perduti (e al contem- po, in qualche modo, autonomi); per questo chiedo venia al lettore non anglofono e a quello non italofono, e allo stesso tempo invito entrambi a compiere il proprio percorso, incrociandolo là dove possibile e desiderato.

  4. La rottura del canone poetico italiano contemporaneo l’abbiamo vissuta in tanti, in diretta, sui siti del primissimo internet letterario nostrano, dai newsgroup di meta’ anni ‘90 ai forum tipo Clarence a fine secolo e poi blog come Nazione Indiana dei primi anni 2000, con la contemporanea irruzione degli outsider del generico sottobosco e degli accademici non cooptati o espulsi dal cartaceo. Oggi, dopo venti o trent’anni, vale praticamente tutto, in quanto non esiste alcun modo neutrale per muovere una critica di qualunque spessore ad alcun tipo di proposta. Dopo di che, le forme canoniche esistono/esistevano anche come punto di osservazione specifico o lente adatta a guardare un certo tipo di faccende, in particolare in poesia: il sostrato umano, l’incarnazione unica, caduca e non riproducibile dello spirito del tempo o la sintesi di quel che siamo, prima ancora di quel che non vogliamo. Tutte robe che una meccanica combinatoriale comunque raffinata non riesce tuttora a restituire, semplicemente perche’ oggetti d’arte senza consapevolezza della finitezza umana, con tutto quel che ne deriva, semplicemente non sono, o almeno non ci sono utili ad allargare la nostra individuale, finita, definita e localizzata esperienza del mondo in cui viviamo. Come gia’ venti, sessanta e centodieci anni fa, il codice sottostante e’ la forma davvero interessante, quindi eventualmente il metodo che Santoni usa o ancora meglio il codice scritto dal programmatore al quale si appoggia.

  5. Ringrazio Vanni Santoni per il confronto e la nota sul progetto. Però, per favore, “prose poetry” anche no. Tutta la tradizione delle forme ibride tra poesia e prosa è francese, da Baudelaire a Ponge. Al massimo, dunque “poeme en prose”. Leggerò sicuramente Altre stanze! Alla prossima.

  6. @ niente di personale:

    progetto con 11 anni di storia, uscito nelle migliori riviste di poesia italiane e USA; esce su LPELC… imboscatella di poeta o poetessa anonima. Ecco lo stato della scena poetica italiana oggi

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