di Alberto Casadei

 

[Questo contributo prosegue una riflessione iniziata con La scuola italiana e la formazione di lunga durata e riprende, ampliandolo, un contributo uscito sulla “Lettura” del “Corriere della Sera” del 29 gennaio 2023].

 

Il volume di Isotta Piazza “Canonici si diventa”. Mediazione editoriale e canonizzazione nel e del Novecento (Palumbo, Palermo 2022) non è soltanto una sintesi di numerose questioni che coinvolgono l’editoria e la critica italiane del secolo scorso, soprattutto riguardo alla promozione o meno di autori recenti a punti di riferimento imprescindibili. Da questo punto di vista, Piazza riprende e sviluppa con efficacia molte considerazioni di studiosi quali Alberto Cadioli e Vittorio Spinazzola e le intreccia con quelle relative ai canoni di lunga durata, proposte da Alberto Asor Rosa, Romano Luperini e Amedeo Quondam, andando poi a esaminare le effettive forze in campo, secondo un procedimento alla Bourdieu, ormai a sua volta canonico.

 

Ma la parte della ricerca più interessante per le sue implicazioni è quella in cui si confrontano gli esiti della canonizzazione degli autori novecenteschi sul versante della critica e della storia letteraria, e però pure su quello delle scelte libere dei lettori, che alla fine vanno a formare un ‘canone diffuso’, solo in parte convergente con quello accademico-ufficiale. Se si guardano per esempio le acquisizioni di volumi da parte delle biblioteche nazionali, tramite una ricerca sul catalogo online SBN, ci si accorge che, tra il 1900 e il 1999, Pirandello e d’Annunzio si staccano nettamente, con oltre 2000 schede, seguiti da Croce, Moravia, Pascoli ma anche Liala con oltre 1000, poi da un gruppo più fitto oltre quota 500: Bacchelli, Calvino, De Filippo, Deledda, Gentile (Giovanni), Papini, Pasolini, Pavese, Sciascia. E così via a scendere, in una serie di podi che coinvolgono autori molto rinomati e altri considerati commerciali, grandi intellettuali ora ben poco seguiti e scrittori dalle parabole assai diverse (Bacchelli e Pasolini, per esempio). Scontato poi sottolineare la complessiva inferiorità della presenza dei poeti che, salvo casi eccezionali (Pascoli), si attestano sempre a una rilevanza pari a un quarto o un quinto di quella media dei narratori coevi.

 

Si tratta di dati piuttosto grezzi, che andrebbero distinti meglio secondo tanti fattori (per esempio la prolificità e la durata di ciascuna produzione), ma insomma almeno un elemento risulta evidente, come osserva Piazza: non è la sola critica letteraria a poter canonizzare. Ancor di più nel XXI secolo è inevitabile che sia così, vista la pluralità di coloro che agiscono nel campo letterario, le case editrici e i mass media, certo, ma adesso pure i social, gli esperti consiglieri, oppure i giovani che propongono a coetanei libri piacevoli da loro già sperimentati. Vorrei soffermarmi proprio su questi ultimi aspetti, che non rientrano nella trattazione del saggio perché troppo recenti, ma sono invece rappresentativi dei rapidi cambiamenti in corso, già segnalati dalle classifiche settimanali delle vendite librarie: da qualche anno è sempre più frequente vedere tra i bestseller manga o graphic novels, mentre i romanzi tradizionali sono in difficoltà. Come mai?

 

Se ci basiamo sugli articoli disponibili in rete, debitamente vagliati, constatiamo che alcuni booktoker, ovvero influencer nel settore dei libri attivi sulla piattaforma Tiktok, raggiungono in Italia i 200.000 follower, un numero davvero elevato in rapporto a qualunque tipo di blog o di sito letterario tradizionale. Nel concreto, i consigli sono davvero seguiti, perché è noto che, nel 2022, il maggior successo di vendite è toccato a due libri molto consigliati dai booktoker, scritti da Erin Doom, pseudonimo di una giovane scrittrice emiliana, specialista di urban fantasy e di romance, come dimostrano Fabbricante di lacrime (2021) e Nel modo in cui cade la neve (2022). Erin ha cominciato a pubblicare su wattpad e si è conquistata poi (con Salani) decine di migliaia di lettori non solo in rete, senza nemmeno sfruttare la presenza nei social. Il modello di Elena Ferrante, peraltro legato a ben diversi motivi di anonimato, comunque garantisce che si tratta di una scelta che non danneggia, anzi.

 

Ma esaminiamo meglio il caso Erin Doom. Da un punto di vista critico-valutativo, si tratta di prodotti del tutto medi nell’ambito (molto diversificato) del fantasy, il genere ora più apprezzato nella fascia dei lettori giovani o giovanissimi, che siano della ‘generazione Z’ (per convenzione, i nati tra il 1997 e il 2012) o anche un po’ precedenti, ma naturalmente seguitissimo già da coloro che hanno amato Il signore degli anelli in tutte le sue versioni, e poi gli sviluppi in varie direzioni, magari sino a Game of Thrones. Anche un prodotto ibrido come Harry Potter (con i suoi spin off) è arrivato a una permanenza stabile tra quelli che potremmo chiamare i long-bestseller, ossia quelle opere che non si limitano a trionfare per un periodo (ad es. i romanzi egiziani di Christian Jacq), ma diventano di culto anche per le generazioni successive a quella che li ha accolti.

 

Questo punto va commentato. Da un lato la canonizzazione di opere degne di essere considerate in una prospettiva storico-letteraria è diventata pressoché impraticabile già nel secondo Novecento; dall’altro esiste, nei fatti, una canonizzazione di pochissimi testi, quelli in grado non solo di primeggiare per un piccolo numero di anni, bensì di essere letti devotamente per più di una generazione. Alcune di queste opere hanno sfruttato già in passato il rapporto con film magari seriali – quelli di James Bond, per esempio; ora prevale il collegamento con saghe o serie televisive pluriennali e di vario livello: pensiamo a quelle horror, spesso derivate da Stephen King, o a quelle distopiche, con esiti notevoli come The Handmaid’s Tale basata sul romanzo di Margaret Atwood.

 

Molte novità di successo si collocano in questo campo di forze: arieggiano a fantasy o a ibridi (un po’ horror, un po’ thriller, un po’ polizieschi ecc.), trovano un sostegno efficace non nella critica e nemmeno nella pubblicità editoriale ma negli influencer specifici, arrivano a un successo che potrà essere molto limitato (un paio d’anni), dopodiché quasi sempre svaniscono nell’indistinto del ‘pubblicato’ (in qualunque modo ciò avvenga) e ‘non più guardato’. La nuova regola sembrerebbe questa: nella forma di canonizzazione tipica del sistema social-web non si può aspirare a un ruolo di lunga durata nemmeno dopo una notevole vendita, perché quel ruolo è ormai occupato non tanto dai ‘classici’ bensì da pochi long-bestseller, archetipi fondativi o elaborazioni perfette di un genere puro o già mescidato.

 

Il procedimento è per certi aspetti analogo a quello che avviene nel campo dei prodotti industriali in genere, e in specie nelle aziende basate essenzialmente sull’online: la concentrazione di valore simbolico e di potere reale riguarda pochissimi brand, sebbene ne esistano altri persino migliori; alcuni fruitori esperti possono riconoscerli e impiegarli, tuttavia il loro apporto economico-sociale effettivo è assai basso. E i giovani e giovanissimi lettori seguono un comportamento simile: non a caso sono ormai davvero pochi a volersi impegnare nella conoscenza integrale dei classici tradizionali, al massimo proposti in piccole antologie a scuola (dall’Orlando furioso ai romanzi di Elsa Morante, a puro titolo di esempio), mentre sono tantissimi i disponibili a leggere le migliaia di pagine di Tolkien o Rowling.

 

Insomma, sembrerebbe che non si possa affermare, banalmente, che i ‘nativi digitali’ non sono affatto lettori, mentre invece si deve accettare che non sono propensi a leggere quanto viene proposto da voci autoritative di vecchio stampo (la scuola, la critica, persino le case editrici), seguendo un loro canone alternativo. Questo li può portare a rivalutare persino scrittori sino a pochi anni fa disprezzati (basta controllare cosa scriveva, di H.P. Lovecraft, David Punter nel suo invecchiatissimo Storia della letteratura del terrore), oppure a implementare i settori che prediligono (fantasy, horror ecc.) con nuove acquisizioni, meglio se legate ad autori affini, come attualmente Erin Doom. In questo contesto si spiegano meglio le ormai numerose versioni alternative dei classici più manipolabili, come Omero, Dante e Shakespeare, per esempio riletti secondo angolature femminili, o comunque impreviste in origine, da autrici ora di successo internazionale come Madeline Miller (idolatrata dai booktoker).

 

Si dirà che situazioni simili si sono già viste, ma in effetti, all’inizio del Duemila, i canoni tradizionali sembravano essere necessari e semmai da implementare, mentre adesso paiono accantonati e comunque inattivi. Il sistema culturale tipico dell’era del web, e in particolare del secondo decennio del XXI secolo, è non solo autonomo da quelle che scherzosamente potremmo definire ‘canonizzazioni canoniche’, come in parte è sempre stato quello al di fuori dei circuiti istituzionali a cominciare dalla scuola e dall’accademia, ma per di più, fondandosi sui long-bestseller, sta ridisegnando dalle fondamenta il campo di forze letterarie, rendendo una zona magari elegante, e però del tutto marginale, quella dei testi di valore sinora riconosciuto.

 

Rispetto a quanto io stesso scrivevo una decina di anni fa in Letteratura e controvalori (Donzelli, 2014), mi pare che ormai non si tratti più di proporre valutazioni convinte di opere antiche o recenti, in modo da allargare la platea dei potenziali lettori attraverso un dialogo costruttivo. Si tratterebbe allora di predisporre una nuova visione d’insieme su come indagare la tradizione letteraria, in base a paradigmi storico-culturali dinamici che tengano sempre conto dei valori specifici delle grandi opere, la concentrazione stilistica e, per la narrativa, la capacità di creare personaggi polivalenti. In quest’ottica, si possono individuare alcuni autori che superano persino le barriere delle traduzioni e possono essere rivisitati nelle scuole ma anche nelle letture autonome: oltre agli ‘autentici’ Omero, Dante e Shakespeare, ecco Cervantes, con Don Chisciotte, e Goethe, con Faust, ma pure Defoe (Robinson Crusoe), Flaubert (M.me Bovary), Dostoevskij (soprattutto con Delitto e castigo) o Tolstoj (soprattutto con Anna Karenina), nonché di tanti altri davvero di tutto il mondo, almeno a partire dal Novecento. La fase attuale, insomma, potrebbe spingere a una rilettura attiva e non solo reverenziale di tanti grandi scrittori: e questo potrebbe costituire non un atto finale, bensì una buona ripartenza.

 

Sembrano tentativi già effettuati nei decenni scorsi, e segnalati in Italia soprattutto da Remo Ceserani e Stefano Calabrese, però quasi sempre si era partiti da nuovi paradigmi (gender, cultural, più di recente cancel o politically correct) molto specifici e, a volte, francamente censòri e moralistici-benpensanti 2.0. Ora, in un contesto che sembra eludere ogni canonizzazione sinora praticata possiamo e dobbiamo considerare pure quella attuale come una fase storica, nei confronti della quale occorre agire riformulando alcuni assunti critici e culturali, non per azzerare ogni possibilità di ‘tradizione’ bensì per capire sempre meglio in che modo le grandi opere hanno modellato, con i lori stili, nuclei di senso che continuiamo a indagare, sia pure in forme diverse rispetto all’ormai lontano Novecento.

 

[Immagine: Booktoker italiani, da https://blog.buzzoole.com/it/].

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