di Gilda Policastro

 

[Esce oggi per Giulio Perrone editore La distinzione, il nuovo libro di poesia di Gilda Policastro. Ne anticipiamo alcuni testi].

 

 

Un nome che può essere Salim

 

Stacco tutto e me ne vado:

è grosso, una stampella per parte

L’altro non sa scrivere il nome

Somalo? Etiopia. E te pareva,

quante possibilità ciàvevo, su un mijjone

Promiscuità, è questo a definirci

nell’anticamera del reparto dove il sonno ci intuba:

staccati gli aghi ci sveglieremo tutti sani o più malati

a digiuno

e niente acqua dalla mezzanotte

Mettiamo un po’ di musica così ce passa,

s’infila i guanti per Salim, lui non sa scriverlo

ma lei lo ha imparato col tu democratico

degli ospedali

Scrollo le poesie del poeta operaio

dice rinchiudi un porco nel reparto

noi aspettiamo in fila dopo il girotondo

del rispondi alle domande

(allergie, farmaci, malattie importanti)

poi spostati tu da quella parte

(a fissargli l’ago, senza i guanti)

Siamo in quattro, guardiamo un po’ in aria

un po’ ci sorridiamo mentre Salim non ha capito

che deve togliersi la giacca

Glielo mimo pensando al cianciare brutto

di ogni Facebook sui cosiddetti #migranti

(categoria che vorrebbe smarcarsi)

Siamo fermi in questo spazio che ci contiene

insieme al tempo che a dispetto della musica non passa

Saremo fuori, prima o dopo, saremo a casa

Salim forse resta, l’infermiera ha detto il nome

del suo male che non ha capito lui solo,

finalmente senza giacca

 

 

Così poi forse divento brava

 

 

Legatemi la testa, non voglio morire

(nessun suicida vorrebbe mai)

Alternativa tra giù e le fiamme

rincorsa e oplà

imparare a stare al mondo

come si passa dalla pianta al vortice

dal cumulo alla sintassi

Verticalizza il dolore nella serie (elenco di farmaci,

a seguire)

ammorbidisci

(rilascia, incapsula, guarisci)

oppure dilacerato, a stacchi (incisioni soprapelle, che si vedano,

che ti facciano, poi, quelle domande,

collaterali, effetti: tutti)

offrilo ai vicini, compassione: condiviso come nei giorni buoni

scomponi i filamenti

(molecole, principi attivi, rifinitura)

La scorciatoia è ribellarti all’escussione

con l’attivismo della tana

ordina in piccole azioni lente precise

il tratto quotidiano dalla testa all’arto, uno:

il cinismo non guarisce nessuno

(dormi con un cane: ti sveglierai?)

Guardatemi, scompaio

 

 

Cut-up

 

I modi di morire, due li sappiamo,

l’incidente, il cancro, e poi l’infarto secco, l’embolo,

il soffocamento. Quest’ultimo, abbiamo appreso da poco,

vale per i bambini: quelli che non gli praticano in tempo

l’Heimlich, oppure che non hanno l’ess-i-di-esse [1]

ancora prima

In casa muori facile, soprattutto in cucina,

ma pure in bagno, camere e tinello,

le scale per gli anziani, urti per tutti,

folgorazioni  schiacciamenti,

a seguire ustioni (termico-chimiche) e avvelenamenti:

4,5 milioni di infortuni, di cui 8000 con esito letale

e questi sono i morti delle statistiche, dei rapporti annuali

Poi ci sono i modi eccezionali, adesso va il femminicidio:

prendi una donna, cuocila a modo, sgozzala come un maiale,

se lo sai fare (servono corde, un forno a legna, un cavetto del tipo di-vu-di),

un tempo l’infanticidio – Cogne, quella meno famosa Meri,

e altri (l’albanese ne ha macellate un-due-tre in una notte)

Oppure ci sono le botte: prendi due che sempre nella notte, ubriachi,

si abbandonano, dice il superstite, a una guasconata

L’altro muore tra caserma e psichiatria: si è picchiato da solo, ha battuto

la testa, dichiara l’arma (si chiamava Uva Giuseppe,

e dici tu che l’hanno vendemmiato)

Anossia posturale (je so’ saliti sopra) per quell’altro,

Aldrovandi, Riccardo è morto ricorsivo (sto morendo,

sto morendo), autoevidente, metanarrativo

 

 

The happy song makes me happy: alle 8.33 scrive Courtney (near High Point,

North Carolina), le 8.34: si schianta contro un albero

Muore sul colpo, la miglior cosa, ok anche l’infarto,

non nascere proprio, morire ultimi, morire a iosa

…………………………………………………………280 mila lo tsunami ad Aceh, Sumatra,

5846 el evento telúrico más potente

en la historia de la humanidad

…………………………………………………………142 mila, baia di Sagami

E le guerre? le guerre, quante vittime fanno: 2-3 milioni, compresi i feriti

a Saigon, Yom Kippur da 8 mila a 18                                                                           35 (+ 1000 e passa della coalizione) in Kuwait, senza dimenticare la Shoah, ça va

E i sinistri stradali? 1700, sulle strade urbane,

la domenica specialmente (2,8 morti per 100 incidenti),

di notte, il sabato, tra i venti e i trent’anni, veicoli coinvolti:

autovetture, vittime: conducenti (69%)

……………………………Le specie della morte:

bene, se si muore, non male

se si muore bene, terzo modo di morire è sacrosanto

il gioco finché è bello è bello, poi

morire di morte letale, con la siringa: il cocktail ha fallito

meglio la cinghia, l’elettroscossa, il deportato,

quelli che durano ancora

dopo l’ultimo fiato

Chiudere con la morte:

crollare o scrollare, abitare da capo, a un di presso

i pixel del volo, cromakey del decesso (schianto)

e in aggiunta ai tradizionali referti [dna: per sempre

del volto] sotto ai cipressi,

……………………………un selfie

 

 

[1] Sudden Infant Death Syndrome

 

 

 

Uno tira l’altro

 

Tu è la persona che accompagna Io quella che si sottopone a controlli/accertamenti con o senza prescrizione (con vuol dire serietà), tu in quel caso è la persona che crede di dover tirare su il morale e proprio per tutta quella serietà che annette alla pratica sforzarsi di trovare battute frasi divertenti o carine, e poi va al cup, la persona tu, mentre io diretta in stanza per esame accertamento e ricevere diagnosi

Tu in quel momento è persona che gioca al telefono, fuma sui balconi/scale d’emergenza, cerca il bar

 

– Oggi hanno operato la baronessa.

– Bene.

 

Nelle gite ospedaliere la noia si misura in ore, se l’io non prevede un tu, quando invece lo prevede può essere che si restringa in minuti dritti al punto, già hai fatto, sì possiamo andare ma allora che ti hanno detto

 

Il tempo delle gite ospedaliere ha una cadenza diversa per la persona che si chiama io e quella che viceversa tu: io vorrebbe non arrivare mai a quel momento in cui si condivide e il sollievo deve manifestarsi perché è bene, specie per la persona che chiamano tu, è bene che ciò avvenga, che il sollievo possibilmente espresso in immediata distensio facies certifichi dia conto confermi

 

Io ha ancora paura della diagnosi. La diagnosi, quando avvengono le gite ospedaliere che si sono guadagnate quel plurale per la loro frequenza e incombenza e ricorsività, la diagnosi col sollievo non avrebbe a che spartire nemmeno se fosse intera compiuta irrefutabile

 

La persona che abbiamo detto tu non sa che nessuna diagnosi raggiunge in simultanea, penetrando la soglia di attenzione bloccata dall’allarme azionato a regime permanente, più che mai durante le gite suddette, le gite ospedaliere, nessuna diagnosi dicevamo raggiunge in simultanea orecchio e cranio (cervelletto) e poi dal centro al cerchio della bocca e bene, grazie

 

Non lo dirai nelle gite ospedaliere perché il pensiero, quello tuo, non è di salvarti ma di essere spacciati tutti con la prima diagnosi di parcheggio per quel tempo che basta alle pratiche di immatricolazione, scartamento, le gite ospedaliere sono quasi, a vederla così, un momento catartico oppure semplicemente un diversivo quando io è quello che gioca che fuma che vorrebbe dice svegliarsi morto e tu pur di gite gite ospedaliere toujours, tu (…)

 

fastidio senza contenuto

ecco la tua poesia

però è una peculiarità

non c’è nessuna scrittura

che si sia incaricata

di trasmettere

esclusivamente

fastidio

 

 

Histoire d’H

 

ci aspettiamo miglioramenti sul piano della socialità, ha detto. Lavorarci è difficile, in un momento come questo. Si può prendere un tè anche via Skype, e ha mimato con la mano quel come frugare tra le pastarelle del tè

 

mi ha provocato per tutta la lezione, dico

È una stronzetta, dice

No, non proprio: è una persona talentuosa, intelligente, controbatte

È una stronzetta col talento, chiude

 

in autobus R. le posava la mano sulla guancia, e lei si accoccolava. Lui era in piedi, alto, imponente, ma aveva un che di remissivo. Poi arrivava una ragazza con la gonna larga e gli chiedeva se il posto davanti a loro era libero per la rivoluzione

 

Passavano di corsa, da lei quasi mai perché non avevano terapie da somministrarle ed era autonoma (l’unica in piedi). Quello che però s’incaricavano di fare, nei rari momenti di assopimento, era toccarle il braccio. Alle 6 del mattino per tirarle il sangue o misurarle la pressione: 43, la minima: “è ok, ci’”.

 

le infermiere si avvicendavano come nel casting delle veline. Le sente parlare del Circeo o di Santa Marinella: altri mondi in cui nessuno si aspettava di incontrarla, perché è passata dalla parte degli stesi. E no, non le aveva fatto bene, rileggere Mann

 

 

[Immagine: Jenny Holzer, Red Yellow Looming, 2004].

2 thoughts on “La distinzione

  1. Senza alcuna intenzione offensiva ed esprimendo tutta la stima che ho per l’ottima attività svolta da Policastro nell’ambito della critica letteraria, mi domando e domando se versi del genere possano suscitare una seppur minima emozione. In passato, Policastro ha fatto sfoggio del suo indubitabile spessore culturale, confezionando versi che una ristretta cerchia di addetti ai lavori di letteratura può davvero ricevere e digerire. Nelle prove che leggo qui, il predetto e più che sbandierato sfoggio culturale, lascia il posto a un andamento privo (intenzionalmente, io credo) del più pallido ritmo e in cui domina un arzigogolo espressivo che offusca quelle che intravedo essere forti e convincenti immagini – visive e visionarie – rendendole non fruibili con una certa immediatezza emotiva, come invece sarebbe, io penso, opportuno in poesia. Se si ha vasta cultura e notevole intelligenza – ed è sicuramente questo il caso – e se ne vuole dare testimonianza in versi, benissimo ma, a mia umilissima opinione, si dovrebbe farlo tenendo presente gli obiettivi precipui di ogni lavoro poetico, che sono, alla fine, emozione e commozione, perché questo è il lavoro di un poeta che possa dirsi autentico, seppur non necessariamente grande.

  2. Gentilissimo, la ringrazio intanto della sua impressione di lettura. Che però la poesia debba emozionare e commuovere (e perché non infastidire, disgustare e irritare, per esempio?) o che esista una sola via per sortire l’effetto che lei predilige, mi consenta di continuare a non pensarlo e anzi di crederlo, di fatto, indimostrabile e non dimostrato dalle sue asserzioni. Legittime ma che non condivido, essendo però di parte. Resto comunque aperta al dibattito e alla discussione: un libro (saggio romanzo o poesia non importa) serve a questo. Cordialità.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *