di Riccardo Socci

 

[Da poco Mimesis ha pubblicato il volume di Riccardo Socci (1991) dal titolo Modi di deindividuazione. Il soggetto nella lirica italiana di fine Novecento. Attraverso il confronto fra cinque autori significativi (De Angelis, Magrelli, Fiori, Anedda e Benedetti), il libro offre un’interpretazione generale della prima persona nella lirica, alla luce del concetto di deindividuazione, mediante il quale si esplora la tesi che l’io, da nucleo fondante del discorso, diventa un elemento da ricostruire e riconquistare. Si pubblica l’ultimo paragrafo dell’introduzione.]

 

1. Lirica contemporanea e deindividuazione

 

In questo studio prenderemo in esame i modi di costruzione e rappresentazione del soggetto nella lirica italiana di fine Novecento. Ho scelto dunque di escludere dal campo di indagine le recenti scritture sperimentali, ad esempio quelle del Gruppo 93 (che instaurano un rapporto dialettico con i modelli della Neoavanguardia), dove l’io poetico, o meglio la sua parziale cancellazione, continua a definirsi in antitesi al paradigma della lirica, senza apportare a mio giudizio novità sostanziali nello statuto del soggetto e del suo discorso rispetto a quanto abbiamo visto nel secondo paragrafo. Gli autori che costituiranno il nostro corpus appartengono alla generazione post-sessantottesca: sono poeti che fanno il loro esordio tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Novanta – è questo il caso di Anedda, che però aveva già pubblicato nel decennio precedente diversi testi in rivista. Ho selezionato in particolare cinque autori, ai quali sarà dedicato un capitolo ciascuno, le cui opere sono tra le più significative e riconosciute, sia dalle varie antologie sia dai contributi della critica, nel panorama della lirica contemporanea: Milo De Angelis, Valerio Magrelli, Umberto Fiori, Antonella Anedda e Mario Benedetti. Per ogni poeta, ho scelto inoltre una specifica raccolta di riferimento, che costituirà il punto focale dell’analisi. Le opere sono, rispettivamente: Biografia sommaria (1999), Esercizi di tiptologia (1992), Esempi (1992), Notti di pace occidentale (1999) e Umana gloria (2004). Tutte le raccolte sono state pubblicate nell’ultimo decennio del secolo, fatta eccezione per il libro di Benedetti, assemblato all’inizio degli anni Zero ma di fatto scritto quasi interamente negli ultimi vent’anni del Novecento, come vedremo nel quinto capitolo. L’analisi procederà in direzione sincronica e insieme diacronica: se, da un lato, il confronto tra le varie raccolte ci consentirà di restituire un’istantanea della lirica italiana di fine secolo, dall’altro in ogni capitolo si cercherà di mettere in luce anche le linee di evoluzione interne all’opera di ciascun autore, dagli esordi alle pubblicazioni più recenti. Al tempo stesso, alla fine del nostro discorso potrà forse emergere anche una rappresentazione, per quanto limitata, del campo della poesia italiana contemporanea, dei rapporti di forza al suo interno, delle relazioni e delle influenze tra i vari autori, testimoniate dalle interviste, dalle recensioni, dagli interventi critici e dalle riprese intertestuali. Come accade in Posture dell’io di Damiano Frasca, del quale questo studio si propone come una sorta di ideale proseguimento, l’indagine segue il metodo dei testi-campione, due per poeta, che saranno oggetto di letture ravvicinate. Ogni capitolo prenderà le mosse da alcune dichiarazioni di poetica e dai commenti degli autori alla propria opera, che testimoniano innanzitutto la centralità della riflessione sull’io e sul soggetto poetico nella lirica più recente, non soltanto in ambito critico, ma anche per quanto riguarda la consapevolezza che gli stessi poeti hanno del genere al quale si dedicano.

 

Secondo quello che è ormai diventato un luogo comune della critica, la frammentazione del campo della poesia contemporanea sembra di fatto rendere impossibile qualsiasi sguardo d’insieme[i]. Il tramonto delle poetiche e dei progetti collettivi (l’ultimo dei quali, forse, è stato proprio quello del Gruppo 93) ha esaltato la specificità dei percorsi dei singoli autori, non più riconducibili a tendenze generali, se non parzialmente. Il campo della poesia di fine Novecento si configurerebbe dunque come un’aggregazione di opere e di proposte a sé stanti, che coesistono all’insegna di un pluralismo, apparentemente privo di tensioni interne, celebrato nei primi anni del Duemila da una voluminosa antologia che raccoglie ben sessantaquattro autori: Parola plurale (2005). Ciononostante, come si è visto, dopo la fine della grande tradizione novecentesca, collegata anche ai cambiamenti nella sociologia della letteratura prima descritti, molta poesia contemporanea italiana muove dall’esigenza di riformulare il proprio statuto di genere, concentrando in particolare l’attenzione sul soggetto del proprio discorso[ii]. Per questi motivi, rispetto alle scritture sperimentali, dalle quali spesso la prima persona è sì estromessa sul piano formale, ma non su quello della logica del discorso, la lirica offre uno spazio di indagine a mio giudizio più interessante, sia perché rappresenta ancora il centro del campo della poesia, sia perché, se messi a confronto con la sostanziale fedeltà ai propri moduli tipica della nostra tradizione, i cambiamenti interni al genere, sul finire del Novecento, sembrano annunciare un cambio decisivo di paradigma. Come spiega bene Coletti:

 

Le spinte centrifughe più devastanti nel testo sono state autorizzate dalla sopravvivenza della forza legante e centripeta del soggetto (si pensi a Campana ma anche a Sanguineti), che non ha mai rinunciato davvero a scomparire (o, meglio, quando lo ha fatto, non lo ha proclamato dietro i clamori dello sperimentalismo formale ma lo ha dichiarato in soluzioni formalmente molto più neutre e meno sconvolte; penso ovviamente all’ultimo Caproni).[iii]

 

Prendendo in esame il soggetto della lirica di fine Novecento, cercherò di mettere in luce una tendenza che ho definito deindividuazione, la quale rappresenta a mio giudizio un punto di contatto fra tutti i poeti qui analizzati – ma si potrebbero considerare anche altri autori della stessa generazione, ad esempio Fabio Pusterla o Franco Buffoni. La deindividuazione non è evidentemente da intendersi come una categoria circoscritta ed esclusiva, ma come un insieme variegato di fenomeni che si combinano in modi diversi da autore ad autore, e che in parte interessano anche, lo abbiamo visto, poeti delle generazioni precedenti, come Sereni, Fortini o Caproni, che costituiranno un punto di riferimento costante nel nostro discorso. A questo complesso, riconduco fenomeni che riguardano tanto la logica che sorregge il discorso lirico (la sua struttura, potremmo dire) e i suoi temi, quanto, di riflesso, aspetti testuali specifici. Ad esempio: l’eclissi, totale o parziale, dell’io empirico del poeta, e quindi dell’autobiografismo; la delega a personaggi che prendono la parola, diventando i protagonisti della scena; la rimozione, totale o parziale, dell’io lirico, e dunque della prima persona quale soggetto dell’enunciazione; il decentramento del soggetto poetante e l’ostentazione della sua marginalità; l’accento posto sul senso di alienazione ed estraneazione dell’io, e sul carattere frammentario della sua Erlebnis; la riflessione sull’inconsistenza della propria identità; il ricorso a “formule di debolezza conoscitiva”[iv]; l’uso sistematico di pronomi indefiniti in funzione di soggetto o di verbi impersonali.

 

Se, come abbiamo visto, molti di questi fenomeni riguardano già una parte della lirica italiana del Novecento, è a partire dagli anni Settanta, e poi in particolare nell’ultimo decennio del secolo, che essi diventano davvero capillari, permettendoci di definire una tendenza generale:

 

La svolta che coinvolge in pieno tutti questi fattori e mutamenti e, con essa, la consapevolezza in poesia (vertiginosa ormai e priva di infingimenti) del limite del proprio “dire” e della frana della sua prospettiva umanistica, sono probabilmente fatti recenti, collocabili, con effetti di ribaltamento rispetto al passato, sulla soglia estrema del secolo.[v]

 

Propongo di adottare il termine deindividuazione, rispetto a formule simili come spersonalizzazione o desoggettivazione, per l’evidente richiamo alle parole di Adorno, ma anche alle tesi di Taylor. Come cercherò di mostrare, i poeti che analizzeremo sembrano in effetti negare la sintesi adorniana in due modi, fra loro complementari: in alcuni casi viene meno il principio stesso di individuazione, e la lirica cessa di essere un discorso dell’io, o abolendo del tutto la prima persona o adottando un soggetto dell’enunciazione impersonale e privo di tratti identitari e distintivi; in altri casi, l’individuazione ha luogo con riserva, ovvero soltanto se accompagnata da una serie di strategie discorsive atte a metterne in mostra la natura soggettiva, e dunque la parzialità. Una tendenza deindividuante caratterizza allo stesso modo, laddove è presente, la rappresentazione che la prima persona offre di sé, e in seguito degli altri personaggi. Nella lirica di fine Novecento, di norma, l’io non assume più posture elitarie, “descrivendosi, e di fatto operando tecnicamente, come ‘uno dei tanti’: soggettività parziale accanto ad altre soggettività parziali”[vi]. Al contrario di quanto affermava Jakobson, è un individuo “orientato all’esterno”[vii], il quale, per riprendere una formula di Jung, assume un atteggiamento estroverso:

 

L’atteggiamento introverso è caratterizzato dall’affermazione del soggetto e delle sue intenzioni e scopi coscienti di fronte alle esigenze dell’oggetto; al contrario, l’atteggiamento estroverso è caratterizzato dalla sottomissione del soggetto alle esigenze dell’oggetto.[viii]

 

Invece che sprofondare in sé stesso, secondo le letture di Hegel e in seguito Adorno, il soggetto dell’enunciazione si dimostra piuttosto aperto alla realtà referenziale e “attento a quanto lo circonda”[ix], dalla dimensione della cronaca a quella degli eventi della Storia, allargando i propri quadri di riferimento, e dunque le proprie fonti di influenza, ad ambiti non strettamente poetici, come la narrativa, la filosofia, la musica, le arti figurative o il cinema.

 

In questo senso, come vedremo, l’io della lirica contemporanea segna anche il passaggio da un’identità di tipo monadico a una di tipo relazionale. Oltre ai temi del suo discorso, sarà dunque necessario tenere in considerazione sia i modi in cui il soggetto dell’enunciazione costruisce o decostruisce la propria identità, in direzione anche narrativa (aspetto per il quale farò spesso riferimento alle teorie di Taylor e Ricoeur), sia, in particolare, il suo posizionamento all’interno della rappresentazione poetica, dal momento che, come ricorda Taylor, “io definisco la mia identità indicando la posizione da cui parlo”[x]. Da un lato avremo “la concezione di soggettività, espressa esplicitamente o implicitamente in una poesia”, dall’altro “le forme del discorso lirico (ovvero il parlare in prima, seconda, terza persona, o attraverso maschere, o a più voci)”[xi]. Per quest’ultimo aspetto, sarà importante analizzare nello specifico l’uso di quelli che Ricoeur definisce operatori di individualizzazione[xii], ovvero i nomi propri, i pronomi – per capire “quale funzione essi assumono nella struttura del testo”[xiii] – e i deittici, vale a dire i dimostrativi, gli avverbi di luogo e di tempo e, in una certa misura, i tempi verbali: in sintesi, gli indici linguistici che tipicamente denotano il discorso aperto e in presenza della lirica[xiv]. Occorre infine introdurre una distinzione terminologica che ci guiderà nell’analisi. Abbiamo già incontrato i concetti di io empirico, ossia la prima persona autobiografica ed egoriferita dell’autore, e io lirico, cioè il personaggio che nel testo parla in prima persona, collocandosi di norma al centro della scena e dell’azione. Dal momento che molta lirica contemporanea rifiuta il principio di identità fra questi due io, riservando al primo uno spazio minoritario e sostituendo – quando non annullando – il secondo con interposte persone (siano esse reali o fittive), ricorrerò spesso alla categoria di io autoriale, con la quale intendo quel soggetto dell’enunciazione che, pur non rispecchiando a priori l’io empirico del poeta e la sua Erlebnis, ne riflette appunto la figura di autore. Si tratta, in sintesi, di un soggetto non necessariamente autobiografico (che può parlare in prima, seconda o terza persona), il quale, esercitando la propria funzione normativa e poietica, manifesta la propria presenza nel discorso – in buona sostanza, potremmo considerare questa figura l’equivalente poetico del narratore.

 

Venuto meno un paradigma di riferimento, al punto che, come scrive Testa, “l’abituale distinzione tra lirico e antilirico, utile in passato”, alla fine del Novecento non sembra quasi “più produttiva”[xv], il soggetto della lirica contemporanea assume le forme più varie, rifuggendo ogni classificazione esclusiva. Nel complesso, il nostro genere ci restituisce l’immagine di un individuo frammentato, estraniato o del tutto inconsistente, per il quale “significare il reale, e significarsi attraverso la propria collocazione rispetto ad esso, diviene sempre più difficile a mano a mano che si perdono le coordinate della propria appartenenza a una situazione, e il senso stesso dell’esperienza”[xvi]. Rispetto ai poeti delle generazioni precedenti, gli autori in esame conducono in vari modi alle estreme conseguenze la marginalizzazione della propria prima persona, per una sorta di “fastidio sopravvenuto all’egocentrismo, alla dominanza e […] alla loquacità dell’io”[xvii]. La prima persona, con la sua sfera interiore e la sua Erlebnis, sembra insomma non rappresentare più il nucleo dal quale prende forma lirica, ma piuttosto una conquista da ottenere attraverso un processo di rifondazione:

 

O indebolendola all’estremo, o azzerandola, oppure trasformandola in “persona non poetica”, ma filosofica, saggistica, narrativa, estremizzando il processo di sbiancamento, o “deflazione dell’io” che rappresenta una delle poche costanti davvero significative, uno dei rari tratti unificanti del movimento della poesia degli ultimi trent’anni.[xviii]

 

Alla fine del suo studio, nel quale analizza alcuni dei maggiori poeti italiani della terza generazione, Frasca esprime un giudizio sostanzialmente negativo su quegli autori che esordiscono a partire dagli anni Settanta: “per gli esordienti, la poesia non si pratica più vincolandola sempre a riserve, giustificazioni, contropartite, autocritiche. Subentra in loro un’altra percezione del proprio ruolo, con sottovalutazioni o addirittura rimozioni della questione del mandato sociale”[xix]. Se un’affermazione del genere può essere valida per certe opere nate in clima neo-orfico o per certe scritture iper-soggettive e ingenuamente innamorate, sul finire del Novecento i poeti lirici di maggiore rilievo prendono al contrario le mosse dalla consapevolezza della marginalità del proprio ruolo e del proprio status di individui finiti: in questa prospettiva, le strategie di riformulazione del soggetto di cui parleremo vanno a mio avviso interpretate precisamente come una forma di risposta, che ambisce ad avere un valore anche etico, a circostanze nuove – ivi compreso il venir meno dei “sostegni ideologici e politici del passato”[xx], sui quali ancora potevano fare parziale affidamento poeti come Sereni o Fortini. Pur continuando a seguire la logica di un discorso aperto e in presenza, la lirica contemporanea si riavvicina a un’idea mimetica della scrittura, ponendo programmaticamente un limite all’espressivismo dei contenuti e a quello della forma.

 

Nel saggio prima citato, Käte Hamburger sostiene che dal suo punto di vista “la questione della costituzione dell’io lirico diventa in generale irrilevante quando il soggetto che enuncia la poesia resta impersonale e indeterminato, senza evocare temi o esperienze personali”[xxi]. Per il nostro discorso, la questione appare al contrario centrale, nel momento in cui la deindividuazione rappresenta una tendenza comune a molti autori e la lirica cessa di configurarsi semplicemente come il discorso privato di un io reale, e il luogo di un’individuazione senza riserve.

 

Note

 

[i] Cfr., ad esempio, Testa 2005, Afribo 2017, Simonetti 2018 e Borio 2018.

[ii] Luperini ha rilevato come la riflessione sullo statuto del soggetto sia centrale anche nelle scritture poetiche sperimentali di fine secolo (cfr. Luperini 1989, pp. 297 e ss.).

[iii] Coletti 2001, p. 163.

[iv] Testa 2005, p. 265.

[v] Testa 1999, p. 12.

[vi] Simonetti 2018, p. 142.

[vii] Colangelo 2009, p. 3.

[viii] Jung 1979, p. 33.

[ix] Testa 2005, p. XXIX.

[x] Taylor 1993, p. 53.

[xi] Ott 2015, p. 11.

[xii] Ricoeur 1993, pp. 104-106.

[xiii] Moroni 1998, p. 9.

[xiv] Cfr. Bernardelli 2002, p. 143.

[xv] Testa 2005, p. XXVIII.

[xvi] Lorenzini 2002, p. 35.

[xvii] Grignani 2002, p. 89.

[xviii] Simonetti 2018, p. 196.

[xix] Frasca 2014, p. 244.

[xx] Luperini 1989, p. 300.

[xxi] Hamburger 2015, p. 276.

 

[Immagine: Opera di Alberto Giacometti].

1 thought on “Modi di deindividuazione. Il soggetto nella lirica italiana di fine Novecento

  1. Interessante articolo.
    Sono autore di alcune un paio di raccolte poetiche, più tarde rispetto a questi autori, sono nato nel 1980 e ho pubblicato l’ultima volta nel 2016. Ma indubbiamente la tematica dell’identità messa in discussione nella lirica e attraverso la lirica (decostruzione del linguaggio) la trovo determinante

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