di Thea Rimini

 

[Oggi alle 15 a Siena Thea Rimini terrà la seconda “Lezione Tabucchi”, sulle prime prove narrative dello scrittore. Proponiamo un estratto un estratto della sua postfazione a Lettere a Capitano Nemo, un romanzo di Tabucchi rimasto inedito per molti anni e pubblicato alla fine del 2022 da Mondadori].

 

Ho finito di scrivere un altro romanzo. Non so se è un romanzo breve o un racconto lungo: forse né una cosa né l’altra. Si intitola Lettere a Capitano Nemo. Parla di una villa sulla costa toscana, degli anni Cinquanta, di un grammofono che suona Amado mio, della fotografia di un padre a braccio steso, di un’Aprilia rossa, di certi sotterranei, di un topo morto spedito per posta, di una cena di Capodanno, di un ragazzo, di Capitano Nemo. Cosa significa tutto questo non lo so bene. È una storia tenebrosa. Forse è l’alter-ego del fanciullino pascoliano che costruisce il suo aquilone coi brandelli della turpitudine che lo circonda. O forse è l’impossibile scongiuro di un guasto che ci riguarda. Ma potrebbe anche essere la cronaca di un suicidio. (A. Tabucchi, Tabucchi par lui-même, a cura di T. Rimini, pref. di F. Gambaro, «Cahiers de l’Hôtel de Galliffet», Edizioni dell’Istituto italiano di cultura, Paris 2019, p. 42)

 

Così scrive Tabucchi nel 1978 in alcune note dattiloscritte che aveva preparato per un’intervista – poi non pubblicata – in occasione dell’uscita per Mondadori del suo secondo romanzo, Il piccolo naviglio. Fornisce dettagli sulla trama di quest’«altro romanzo» annunciando un’ambientazione toscana vicina a quella dei suoi due libri precedenti, anticipa il timbro tenebroso della vicenda e, aspetto ancor più interessante, offre una serie di piste di lettura del libro, dando un saggio di quel metodo ipotetico che gli è particolarmente caro: «Forse è l’alter-ego del fanciullino pascoliano […]. O forse è l’impossibile scongiuro di un guasto che ci riguarda. Ma potrebbe anche essere la cronaca di un suicidio». Ipotesi tutte plausibili e tutte allo stesso tempo confutabili in accordo con l’atmosfera enigmaticamente sospesa che domina le storie tabucchiane.

 

Un anno dopo, in un’intervista pubblicata su «Il Ragguaglio Librario», Tabucchi ritorna sul suo prossimo romanzo e si sofferma in modo più dettagliato sul ragazzino protagonista e sulla sua nevrosi:

 

C’è uno scongiuro infantile toscano che dice: «Medicina medicina / un po’ di cacca di gallina / un po’ di cane e un po’ di gatto / domattina non c’è più altro». L’adulto deve pronunciarlo tracciando il segno di una croce immaginaria sulla parte del corpo che il bambino si è ferito, magari cadendo, o su un’altra parte ammalata. Naturalmente lo scongiuro non cura affatto la ferita, però contribuisce a tranquillizzare il bambino. Questo scongiuro infantile è l’epigrafe del mio prossimo romanzo, e il romanzo ha fondamentalmente il senso di uno scongiuro, anch’esso inutile come la letteratura, ma necessario. Parla di un ragazzo che scopre il lato turpe della vita e che cerca di scongiurarlo con i mezzi che ha a disposizione. Quali sono i mezzi che ha a disposizione? Per esempio la follia, che nel caso del mio personaggio può essere una struggente e poetica mitomania, una confortante schizofrenia; oppure la costruzione di una realtà “diversa” da opporre a quella fattuale. Il romanzo si intitola Lettere a Capitano Nemo e si svolge in una villa toscana, in riva al mare, negli anni Cinquanta. Se si vuole sono i miei anni Cinquanta, cioè di quando io ero bambino, e la mia Toscana di allora. I personaggi sono una madre che ascolta sul grammofono Amado mio, un padre fotografato eternamente a braccio steso, uno zio che colleziona bambole e un ragazzino che scrive lettere a Capitano Nemo, il personaggio di Verne. Ancorato alla riva di quegli anni Cinquanta c’è un Nautilus misterioso e metaforico che aspetta quel ragazzino per sbarcarlo sulla riva del nostro oggi. Chi sia diventato, durante il tragitto, quel bambino maniaco e solitario, non è detto nel romanzo, e il lettore potrà immaginarlo a suo piacimento. Non mi dispiacerebbe se il lettore pensasse che egli è un potenziale scrittore. Si badi, non uno scrittore, ma un potenziale scrittore. Devo dire che amo molto la figura del potenziale scrittore, di chi pensa per tutta la vita: “domani scriverò un romanzo”. («Il Ragguaglio Librario», aprile-maggio 1979)

 

Se Tabucchi invita il lettore a considerare il protagonista del suo romanzo «un potenziale scrittore», in realtà è lo stesso Lettere a Capitano Nemo a dover essere considerato “un potenziale romanzo” perché, nonostante sia stato scritto, non verrà pubblicato. Ma le assenze, si sa, fanno spesso più rumore delle presenze e Tabucchi racconta la storia travagliata di Lettere a Capitano Nemo in Storia di una storia che non c’è, testo contenuto nel libretto I volatili del Beato Angelico (1987). L’io narrante, facilmente identificabile con l’io autobiografico, ricorda la genesi del romanzo, risalente al 1977, ripercorre il cambio dei titoli (da Lettere a Capitano Nemo a Nessuno dietro la porta) e infine racconta la sua distruzione. In una notte atlantica, su una falesia vicino a una casa abitata da fantasmi, lo scrittore ha disperso al vento le pagine del suo romanzo inedito, nonostante abbia raggiunto l’accordo con un editore per la sua pubblicazione: «Andai sulla falesia verso le due di notte […]. Portai con me il romanzo e lo affidai al vento pagina per pagina» (Opere, tomo I, p. 874).[1] Dopo qualche anno, nel ’91, nella Nota introduttiva alla raccolta L’angelo nero, Tabucchi torna a parlare del romanzo, e della sua dispersione, a proposito dell’ultimo racconto del libro, Capodanno:

 

Questa storia apparteneva a un romanzo che scrissi molti anni or sono e che poi buttai via [corsivo del curatore]. All’improvviso le prime due pagine di quel romanzo sono sbucate da un cassetto, sotto la forma di una rivista che ap-parteneva alla mia età giovanile e che rimpiango. Quelle pagine hanno agito. E hanno chiesto uno svolgimento della storia, non come l’avevo scritta anni fa, ma come la penso ora. (Opere, tomo I, p. 895)

 

Delle dichiarazioni degli scrittori è però bene diffidare. Il romanzo Lettere a Capitano Nemo non è stato buttato via: anche se non dalle onde atlantiche, è comunque riemerso dalle carte custodite in un cassetto di una scrivania della casa di Tabucchi a Vecchiano. È stato presentato per la prima volta ai lettori nelle Opere di Tabucchi de «I Meridiani» Mondadori e ora esce in volume singolo.

 

Traversie editoriali

 

La storia editoriale di Lettere a Capitano Nemo ha inizio proprio con la rivista che, aveva scritto Tabucchi nella Nota a L’angelo nero prima menzionata, «apparteneva alla mia età giovanile e che rimpiango». Si tratta de «il Caffè», il periodico satirico fondato da Giambattista Vicari in cui Tabucchi pubblica il primo capitolo del romanzo nel giugno del ’77 (a. XXII, 1977, pp. 24-26).

Per il titolo, viene scelto quello di un capitolo di Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne: Nel regno del corallo, e il testo è accompagnato da un’illustrazione tratta dall’edizione Sonzogno di cui nella casa di Vecchiano è stata recuperata una copia. Tra le pagine del volume è stato rinvenuto anche un appunto manoscritto che sarebbe servito per la quarta di copertina di Lettere a Capitano Nemo:

«Antonio Tabucchi è nato nel 1943. Lettere a Capitano Nemo è il suo terzo romanzo*. Ha tradotto in italiano Fernando Pessoa. Di prossima pubblicazione un volume di racconti. Suoi testi di letteratura in “Il Caffè”, “Il Ponte”, “Paragone”, “L’Illustrazione italiana”.

* Ha curato l’antologia La parola interdetta. Poeti surrealisti portoghesi (Einaudi 1971) e l’edizione italiana di Fernando Pessoa (Una sola moltitudine, Adelphi 1979).»

Ma Lettere a Capitano Nemo dovrà viaggiare a lungo e tra continue insidie negli abissi editoriali prima di approdare alla stampa.

Nell’estate del ’77 il romanzo è in lettura presso Einaudi e Mondadori. È stato Silvio Guarnieri, professore di Tabucchi all’Università di Pisa e suo mentore, a segnalarlo a Calvino, ma la storia non convince la casa torinese. La redazione, scrive Ernesto Ferrero, ha colto una «impressione di déjà lu» e l’indubbia «eleganza della scrittura» è «parsa restare pura superficie» (lettera del 27 settembre 1977, Archivio Antonio Tabucchi, Bibliothèque nationale de France; d’ora in avanti BnF). La trattativa con Einaudi si chiude definitivamente nell’aprile del ’79: a dispetto della «suggestività di certe situazioni» e della «innegabile padronanza dei mezzi espressivi» il romanzo breve, scrive Carena, «si presenta così discontinuo nei suoi esiti, con suture faticose» (lettera del 6 aprile 1979, BnF).

 

Come Einaudi, anche Mondadori, che risponde con un certo ritardo, esprime delle perplessità su Lettere a Capitano Nemo. E i toni degli scambi epistolari si fanno più accesi. Alcide Paolini è categorico: «Che questo tuo nuovo libro sia pubblicabile, anzi da pubblicare, è fuori di dubbio»; ma è incerto sulla tempistica da seguire per una serie di considerazioni economico-editoriali (lettera del 27 luglio 1978, BnF). Se Lettere a Capitano Nemo venisse pubblicato adesso, subito dopo Piazza d’Italia e Il piccolo naviglio, Tabucchi, secondo Paolini, correrebbe il rischio di essere etichettato «scrittore per pochi». E allora gli consiglia: «il terzo libro dovrebbe essere a nostro avviso (concedici un’esperienza vissuta giorno per giorno), un romanzo con un grado di leggibilità maggiore».

 

L’appunto sulla leggibilità è ciò che più indispone Tabucchi, che dal soggiorno estivo a Cascais scrive a Guarnieri: «Quale sarà mai il “grado di leggibilità” desiderato dalla Mondadori? […] Non lo so, certo è deprimente» (lettera del 17 agosto [1978], Centro manoscritti dell’Università di Pavia). La risposta di Tabucchi a Paolini è fiera e risentita:

 

[Lettere a Capitano Nemo] È troppo in punta di penna, un tantino snob, con i rimandi al Verne rivisitato da Butor: non può costituire una grande garanzia per le tirature della Mondadori. Per quanto mi concerne come scrittore, cercherò di trovargli un’altra sede, anche perché il pericolo di essere considerato scrittore per pochi non mi preoccupa molto. (Lettera del 21 agosto 1978, BnF)

 

Difendendo il diritto a essere uno «scrittore per pochi» Tabucchi chiude la lettera con una risoluta dichiarazione di poetica che distingue tra il «romanziere» e chi «scrive dei romanzi»:

 

In realtà io non faccio il romanziere, ma scrivo dei romanzi; e in questa situazione diciamo più esistenziale che professionale, non mi sono mai posto il problema per chi o per quanti scrivo. Con tutta probabilità scrivo essenzialmente per me; cosa che suppongo succeda anche a coloro che fanno gli scrittori, anche se hanno in mente quando scrivono un pubblico ben preciso. Voglio dire che ogni scrittore guarda sempre a se stesso come al lettore ideale. Buon per coloro per i quali il se stesso lettore coincide con tanti lettori. Oppure mal per loro, chissà. (Ibid.)

 

La chiusa di Tabucchi è sarcastica e provoca la risposta, irritata, di Paolini che ribadisce la necessità per l’editore di «far quadrare i conti» e prevedere le possibili tirature di un libro (lettera del 14 settembre 1978, BnF). Tuttavia, conclude Paolini, la Mondadori non rifiuta di pubblicare Nemo, ma propone solo di rinviarne l’uscita al 1980.

Con lo scambio Tabucchi/Paolini si arriva alla fine dell’estate e all’inizio dell’autunno del ’78. Dopo il rifiuto di Einaudi e le titubanze di Mondadori, Tabucchi si rivolge a Garzanti e Bompiani, ma le trattative si risolvono in un nulla di fatto. È Vittorio Sereni, che ha ricevuto il romanzo da Guarnieri, a delinearsi finalmente come l’interlocutore ideale. In una lettera del dicembre del ’78, Sereni non si stupisce che nella sede Mondadori il romanzo sia stato rifiutato, «non perché non meritasse fiducia ma perché sarebbe stata una pubblicazione a vuoto»; e riflette sui meccanismi editoriali in cui le potenzialità letterarie e quelle commerciali non sempre coincidono: «L’apprezzamento della qualità non basta a superare gli ostacoli obbiettivi (indifferenza dei venditori e dei librai, politica generale fondata sulle previsioni del successo commerciale per un libro che raggiunge la sua onesta tiratura di sei, settemila copie non interessa agli effetti del fatturato eccetera)» (lettera dell’11 dicembre 1978, Archivio privato Antonio Tabucchi).

 

Secondo Sereni, però, il «merito» di Lettere a Capitano Nemo è indubbio, grazie anche alle risonanze letterarie che suscita la lettura:

 

Il libro confermava le tue qualità e in più introduceva una nota inquietante, che non ti conoscevo, almeno in questa misura. Mi ha fatto pensare al bellissimo The turn of the screw di Henry James (è un’impressione di lettore, magari sbagliata, ma illustra il tipo di reazione a certi momenti di particolare mistero). Basta questo a far capire come difficilmente si inserisca nell’attuale produzione mondadoriana. (Ibid.)

 

E difatti Mondadori continua a rinviarne l’uscita fino a liberare Tabucchi da ogni impegno contrattuale, ma lui non desiste e ipotizza una collocazione del romanzo nella collezione delle «Silerchie» che Sereni sta progettando per Il Saggiatore:

 

Il progetto delle Silerchie come va? Il mio Nemo per ora è ancora libero. Attualmente lo ha fra le mani un amico che prima dell’estate era molto interessato alla cosa, ma per ora non ho deciso niente. Se hai già pensato a un tuo calendario e se mi hai ancora in mente fammi sapere qualcosa. (Lettera del 27 settembre 1979, Archivio Vittorio Sereni, Biblioteca comunale di Luino)

 

Ma la collana fatica a prendere avvio; Sereni chiarisce:

 

la collezione delle «Silerchie», alla quale è idealmente destinato il tuo Nemo, stenta a mettersi in movimento, soprattutto perché deve azzeccare l’avvio (che è poi una ripresa). Vorrei poi chiarire un punto a scanso di malintesi: a me il libro sembra consigliabile per il Saggiatore e loro sono d’accordo, ma la decisione non spetta a me. In altri termini il mio rapporto con il Saggiatore è un semplice rapporto di collaborazione. (Lettera del 18 ottobre 1979, Archivio Vittorio Sereni)

 

Nel frattempo Tabucchi ha consegnato a Sereni i racconti de Il gioco del rovescio. Il poeta ne è entusiasta e, all’inizio del gennaio 1980, scrive all’amministratore delegato Laura Boselli: «Per me non ci sono dubbi: il libro per le “Silerchie” è questo [Il gioco del rovescio] e non l’altro [Lettere a Capitano Nemo]» (lettera del 6 gennaio 1980, Archivio Vittorio Sereni). Ciononostante le trattative con Il Saggiatore per la pubblicazione di Nemo vanno avanti e sembrerebbero concludersi per il meglio il 22 giugno 1984 con il contratto inviato a Tabucchi (BnF). Ma il documento non sarà firmato e il libro non verrà stampato. Dopo sette anni di faticosi tentativi la decisione di Tabucchi non può che sorprendere. Tanto più che nel 1984 lo scrittore non aveva ancora raggiunto la notorietà internazionale che avrebbe conquistato negli anni successivi. Forse la scelta è da imputare al temperamento febbrile dello scrittore incline a prendere decisioni improvvise e irrevocabili? O deve essere messa in relazione con i testi scritti in quegli anni? Nel 1984 Tabucchi aveva intrapreso nuove strade narrative: da qualche anno aveva pubblicato Il gioco del rovescio, poi era stata la volta di Donna di Porto Pim, e nello stesso ’84 era in uscita Notturno indiano. Ormai la sua curiosità era diretta a Paesi lontani e forse ritornare alla Toscana degli esordi sarebbe equivalso a voltarsi indietro, a ripiegarsi su un io di allora in cui non si riconosceva più. Ma, come sempre nell’universo tabucchiano, il modo ipotetico è d’obbligo.

Note

 

[1]Se non diversamente indicato, le citazioni sono tratte da Antonio Tabucchi, Opere, Progetto editoriale, Introduzione e Cronologia di Paolo Mauri, Notizie sui testi e Bibliografia di Thea Rimini, 2 tomi, «I Meridiani», Mondadori, Milano 2018.

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