di Filippo Tuena

 

[Esce il 14 aprile per Nottetempo In cerca di Pan di Filippo Tuena. Ne anticipiamo alcuni brani].

 

  

All’imbrunire

Nel porto di Brundisium ovvero Brindisi

In data incerta

 

 

Accade sempre con minime variazioni legate al clima, all’equipaggio, ai passeggeri, quasi nella stessa maniera e alla medesima ora forse perché il tramonto coincide con l’idea della partenza. Ci ritroviamo sul ponte di poppa senza esserci dati un appuntamento e osserviamo il sole che svanisce oltre il profilo della città alle nostre spalle. Le ombre delle costruzioni sul porto si allungano fin oltre l’imbarcadero e oscurano la nave poco alla volta. Quando l’ombra ci raggiunge e ci supera sentiamo il freddo nelle ossa e l’ineluttabile che precede ogni viaggio. Siamo riuniti sul castello di poppa, davanti a un tavolo basso, pronti a bere l’aperitivo di congedo dalla terraferma. L’aria è quieta, il mare tranquillo; sentiamo sul ponte dabbasso gli uomini del porto che caricano silenziosi le provviste.

 

I passeggeri si riconoscono dall’eccitazione che li invade. Percorrono il ponte, si affacciano dalla balaustra, si raggruppano ai tavoli del bar scambiandosi impressioni. L’equipaggio è impegnato in altro modo e non ha tempo di fare gli onori di casa che spettano al comandante intento a stappare una bottiglia di Falerio al tavolo di quelli che sembrano gli ospiti di maggior riguardo. Dopo un bicchiere la conversazione comincia a prendere piede. Gli argomenti sono sempre gli stessi: fuga dal passato, il futuro imprevedibile che ci viene incontro; gli imprevisti del viaggio; i racconti che emergono dalla memoria; il desiderio di esplorare persino i pensieri di chi ci sta accanto.

 

 

Ripeté questa breve frase alcune volte, poi s’interruppe. Fu allora che il comandante gli propose, se lo riteneva possibile, che ogni sera, all’ora del tramonto, ci saremmo riuniti sul ponte di poppa o nel teatro della nave e avremmo ascoltato le storie che il poeta esule voleva raccontare, per non dimenticarle, per alleviare il suo esilio e per rallegrare la nostra crociera. La donna austera ma delicata che era seduta accanto a me obiettò che a quell’ora desiderava approfittare della vasca idromassaggio della sua cabina (aveva apposta prenotato una suite sul ponte principale per poterla avere in uso) e che quindi si sarebbe persa il racconto. Il comandante la rassicurò: qualcuno di noi, appena terminato lo show, sarebbe passato nella cabina, si sarebbe seduto dietro la porta del bagno e avrebbe ripetuto per lei la storia narrata poco prima. Ci sembrò un’eccellente soluzione che permetteva anche a noi di immaginare la donna ascoltare nuda le vicende che il poeta avrebbe voluto raccontare. Questi dichiarò ad alta voce quel che prima aveva ripetuto a se stesso in maniera determinata: parlerò di ninfe e satiri, di divinità lacustri e cacciatori che ormai stanno scomparendo. Raccontare queste vicende, ricordare queste divinità le terrà in vita ancora per qualche tempo.

 

A quel punto la donna ci confidò che sarebbe stata lieta se l’avessimo immaginata come una delle ninfe che sarebbero state oggetto della narrazione. Rimanemmo stupiti della sua disponibilità e la ringraziammo. Il sole era ormai tramontato, la bottiglia di Falerio finita e i bicchieri erano stati vuotati. La donna si alzò per raggiungere la sua cabina. Sapevamo che in breve si sarebbe immersa nuda nella vasca. Ci sembrava un buon inizio di crociera. Venere splendeva all’orizzonte e la notte stava invadendo il cielo.

 

 

Che sia un teatro romano o greco

O un palcoscenico rinascimentale


Un bosco d’Arcadia o un sito dell’Attica

Sabbioneta o Vicenza o un altrove

Visitato in gioventù o immaginato adesso

Questa è la memoria di una rappresentazione

Un atto recitato e osservato da chi è al di fuori

La messa in scena

Garantisce l’artificio letterario

La meraviglia dello spettatore

Coincide con l’esperienza personale

Ovidio fa questo

Mette in versi


Il nascondiglio e gli occhi dell’osservatore

In posizione opposta al palco

È sulla comunicazione tra evento e testimone

Che si gioca la messa in scena


Le battute da guitti l’avanspettacolo


Le ninfe ballerine che eseguono il can can

Sono le tavole del palcoscenico

A rendere vivo il reale

Nient’altro che l’equilibrio instabile

Degli zoccoli imposti a un bipede

Produce il movimento costante


Del satiro ellenico o arcade

Zampe caprine flesse su zoccoli minimi

Comportano quella costante irrequietezza

Che attribuiamo alla lascivia

Ma è destino che una bestia su due zampe

Sia incerta instabile insicura

Salvo nel corroborare il desiderio

Che sempre la muove

È costretto al movimento altrimenti cade

Per questo è sempre animoso

 

Si rilassa solo quando prende da tergo una ninfa

Allora torna quadrupede com’era in origine


E può stare sul posto trombando


E far sesso per riposarsi

 

Afferma nella costante conversazione

Che accompagna la stesura del libro

In questo non meno ossessivo del satiro

Avanza e indietreggia nell’uso delle parole

Sempre inappagato com’è nella natura dell’ibrido

Che imita nei gesti e nei modi

L’inseguimento è l’atto centrale

Del rapporto tra satiro e ninfa

La copula descritta sempre sommariamente

Del resto è esercizio meccanico

Nonostante le molte varianti


Enumerate dall’Aretino

O altri artisti rinascimentali


Di norma noiosissimo se descritto

Avvincente solo se praticato

Vario e in infiniti modi

Si sviluppa l’approccio

Tra i due abitatori del bosco

Ed è sulla rapidità della femmina

E la pervicacia del maschio

Che si gioca l’esito dell’incontro

Il come e il quando della seduzione

La disponibilità e l’insistenza


La vana resistenza

La penetrazione finale

Il satiro svanisce una volta concluso l’atto

Come se non esistesse che per quello

La ninfa per prassi è abbandonata

O trasformata in altro

 

 

Porto di Galaxidi

 

Per come ne abbiamo memoria è sbarcando da questo porto di Galaxidi che si può raggiungere il santuario di Delfi dedicato al vendicativo Apollo e governato dalla sua atroce sacerdotessa dall’aspra voce e dagli enigmi spesso irrisolvibili. Varie volte abbiamo attraccato qui e s’è sempre formata una pattuglia di volenterosi che partiva a dorso di mulo o in jeep alla volta del santuario. Se ci si dirige sempre verso l’Elicona, punto di riferimento che non viene mai meno, non è difficile raggiungere la meta. Si attraversa un’amena e vasta distesa di ulivi; segue poi un sentiero in salita, non troppo aspro, che conduce al santuario. Qualunque sia l’epoca di questa crociera: dall’8 a.C. al 2023, anno di pubblicazione di questo libello, molte sono state le spedizioni, qualcuna più fortunata di altre; qualcuna ritornata integra, qualcuna dovendo segnare defezioni; qualcuna riporta fatti notevoli; qualcuna nessun evento degno d’essere menzionato.

 

Non so perché un gruppo di viaggiatori si sia allontanato dal porto e punti diretto alle pendici del monte che si staglia in lontananza. Alcuni dicono che, ponendo quesiti alla sacerdotessa del tempio di Apollo che lì si erge, costei potrebbe indicare la ragione del nostro viaggio. Altri che bevendo alla fonte Castalia che sgorga dalle pendici del monte – e io l’ho fatto in precedenti pellegrinaggi – si verrebbe in contatto con la Verità. La questione è che se il contatto avviene, non viene percepito come tale poiché chi è in grado di stabilire cosa sia la Verità. La fonte esiste da sempre, rendendoci tutti minimi, imberbi, appena nati. L’impressione di fragilità è accentuata quando si scorge ad altezze notevoli la figura dell’aquila, sentinella di quel che avviene in basso, che ci osserva e che domina. È comprensibile che gli antichi avessero attribuito a questo animale il lato mancino di Zeus, dando al destro dominio sulle saette.

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