di Enrico Manera

 

[La Fondazione Feltrinelli ripropone l’Introduzione scritta da Furio Jesi per l’edizione Longanesi 1978 de Il tramonto dell’occidente di Oswald Spengler, con interventi su Jesi interprete di Spengler (di Enrico Manera) e sulle letture dell’opera del pensatore tedesco (di David Bidussa). Pubblichiamo parte dell’intervento di Manera per gentile concessione dell’editore, (mc)]

 

Gli ingranaggi della “morfologia della storia” di Spengler*

 

All’interno di una attivissima officina culturale – che ha prodotto una eredità con cui continuiamo a confrontarci – nel 1978 con il gruppo di lavoro palermitano composto da Margherita Cottone e Rita Calabrese Conte, il mitologo e e germanista torinese Furio Jesi dà alle stampe una nuova edizione de Il tramonto dell’occidente[1] di Oswald Spengler: un classico del pensiero politico di destra, di cui viene proposta una lucida decostruzione e una attenta problematizzazione. Il monumentale ed epocale testo è introdotto da un brillante saggio, ora riproposto; le successive edizioni della medesima traduzione de Il tramonto sarebbero infatti state sostituite da una nuova introduzione di Stefano Zecchi, intonata valorizzazione della «difesa della propria tradizione culturale» e del «significato mitico» e «simbolico» del mondo, che sembra marcare il cambio di clima nella stagione culturale che inizia con gli anni ottanta del Novecento[2]. […] L’opera di Spengler era già da tempo un classico della cultura di destra, benché sia sintomatico come proprio il suo libro più famoso e iconico – centrato sull’idea di un pessimismo culturale e di una decadenza inarrestabile tale da invocare una risposta politica basata sulla forza – arrivi in traduzione italiana nella forma completa molto tardi: la prima edizione tedesca, in due volumi, è infatti uscita tra il 1918 e il 1923. L’edizione italiana Longanesi del 1957 era da tempo ormai introvabile al momento della ristampa del 1978, ed è in ogni caso un testo molto lungo e complesso (che nella riedizione Guanda del 1991 consta di quasi 1500 pagine). Cottone scrive che «l’interesse per Spengler e per le sue opere non è mai stato un fatto di cultura, nel senso di conoscenza oggettiva di qualunque espressione del reale in qualsiasi forma esso si manifesti, bensì espressione di una “determinata cultura” e quindi fittizio strumento attraverso cui rendere operante ancora una volta “quel retaggio dei nostri padri che abbiamo nel sangue: idee senza parole”»[3]. Spengler sembra cioè essere prima di tutto un autore-simbolo, un riferimento identitario da citare e esibire: l’espressione spengleriana «idee senza parole» è nell’analisi proposta da Jesi la formula-chiave che caratterizza il vocabolario della cultura di destra, fatto da parole tali da comunicare in modo mitico, a partire dall’enunciazione e dalla grafica, un di più di valore simbolico e capaci di evocare “Verità” che si vogliono eterne, preziose e a tratti iniziatiche, in cui il passato possa essere la promessa di un futuro. Si tratta di una forma verbale dell’azione, del gesto e del rito che per Jesi indica il «linguaggio letterario adatto a “idee senza parole”, cioè fatto di parole tanto spiritualizzate, tanto lontane dal “materialismo”» tipico della destra tradizionale, fascista e neofascista, «creato dentro la cultura borghese» e «pronto all’uso»[4]: una «trama di luoghi comuni, stereotipi, frasi fatte, formule che paiono chiare ma che non richiedono di essere capite, che anzi sembrano chiare proprio perché non devono essere capite: riducendo le parole a ciò che sarebbe già in noi prima di tutte le parole»[5].

Questo snodo teorico è centrale in Cultura di destra (1979)[6], libro che contiene saggi editi tra il 1975 e 1978 e che è oggi forse il lavoro più noto di Jesi, nel quale sono messi in luce diversi aspetti del mondo mentale della destra, a partire dalle sue diverse manifestazioni (destra tradizionale, fascista e neofascista): la sua analisi si concentra su cosa definisca il paesaggio mentale della destra da un punto di vista qualitativo e comunicativo a partire dai suoi materiali testuali e visuali. In una genealogia di lungo periodo, per Jesi il modo di interpretare il mondo da destra è difficilmente separabile dalla cultura classica, umanistica e borghese e da una matrice conservatrice ed eurocentrica che dai Lumi al Romanticismo si è trasformata radicalizzandosi dalla fine dell’Ottocento al Novecento in connessione con le trasformazioni sociali della Rivoluzione industriale e della Guerra dei trent’anni del XX secolo. La cultura di destra così intesa si situa all’incrocio di correnti che si trasmettono in modo irriflesso nel linguaggio e nell’immaginario, si realizza in culture dogmatiche e autoritarie, si riflette nella produzione degli intellettuali e dei partiti come nei dispositivi legislativi statuali e si riflette nei canoni e nel monumentalismo, nel luogo comune e nelle rappresentazioni sociali di largo consumo. Parole, simboli, immagini sono strumenti per fare cose, determinare azioni collettive e siglare appartenenze: in estrema sintesi, creare identità e comunità[7]. […]

La ricostruzione di Jesi colloca l’opera di Spengler all’interno di una “malattia” dell’interpretazione storica che ha intaccato lo spirito tedesco tra Ottocento e Novecento[8]: si focalizza su figure  di artisti e intellettuali che hanno elaborato e reso disponibile un immaginario politico e ne mette in luce componenti ideologiche e pratiche devozionali attraverso le quali questi si sono autorappresentati come «“Erlöser” (redentori) della storia, quali depositari di qualità profetiche»[9], in continuità con la produzione ideologica di partiti e governi di destra che a quelle si ispirano. Nei suoi saggi, prestando attenzione a momenti e ambienti caratterizzati dalla religio mortis e dal mito del mito[10], dalla cultura illuministica e romantica alla Monaco della Reggenza e ad alcuni protagonisti degli incontri di Eranos[11], Jesi ha indagato correnti della storia delle idee con un livello di profondità e radicalità che incrocia la filosofia politica e che, ponendosi il problema degli “sfondi irrazionali della razionalità”, ha inteso ampliare i confini della religionistica e dell’estetica in quel territorio della storia delle idee che è anche una «scienza di come ci si sbaglia» e una «scienza di ciò che non c’è»[12]. La sua analisi fa emergere l’idea della profezia come tratto di lungo periodo della «vicenda “mistica” […] dell’iniziazione della cultura europea, nel XIX e nel XX secolo, ad un rapporto configurabile in termini di scienza con il mito e la mitologia, dunque con il presunto motore immobile della macchina mitologica e con i prodotti di tale macchina»[13].

 

(da: Furio Jesi, Una grandiosa profezia. Il tramonto dell’Occidente di Spengler, a cura di D. Bidussa e Enrico Manera, Fondazione Feltrinelli, Milano 2023)

 

*           Desidero ringraziare Margherita Cottone, Giulio Schiavoni e David Bidussa per il confronto sul testo, i materiali d’archivio e la memoria.

[1]           O. Spengler, Il tramonto dell’occidente, a cura di R. Calabrese, M. Cottone e F. Jesi, Longanesi, Milano 1978.

[2]           S. Zecchi, Introduzione, in O. Spengler, Il tramonto dell’occidente, Milano, Guanda, Parma 1991, pp.  XI-XXVIII. Cfr. A. Gnoli, Fu vero tramonto?, in «La Repubblica», 29 dicembre 1991, p. 30.

[3]           M. Cottone, Recezione di Spengler in Italia, in O. Spengler, Il tramonto dell’occidente, Longanesi, Milano 1978, p. XL. La citazione interna viene da O. Spengler, Anni decisivi, Bompiani, Milano 1934, p. 4.

[4]           F. Jesi, Cultura di destra, Nottetempo, Roma 2011, p. 24-25.             [4]

[5]           A. Cavalletti, Prefazione, in F. Jesi, Cultura di destra, cit., p. 11.

[6]           La prima edizione di Cultura di destra è quella Garzanti, Milano 1979 (rist. 1993).

[7]           Cfr. E. Manera, Un linguaggio di “idee senza parole”, in «Doppiozero», 2 novembre 2019, https://www.doppiozero.com/cultura-di-destra-di-furio-jesi; Id., Mito e religione politica, in G. De Luna, Fascismo e storia d’Italia. A un secolo dalla Marcia su Roma, Feltrinelli, Milano 2022, pp. 45-68.

[8]           Cfr. F. Jesi, Rilke, Nietzsche e il nietzscheanesimo del primo 900, in «Studi germanici», XIV, 2-3, giugno-ottobre 1976, pp. 255-295.

[9]                 G. Schiavoni, Rovine della simbolica, in F. Masini e G. Schiavoni (a cura di), Risalire il Nilo, Sellerio, Palermo 1983, pp. 349-369, p. 357.

[10]          F. Jesi, Mitologie intorno all’illuminismo, Lubrina, Bergamo 1990; Id., Esoterismo e linguaggio mitologico. Studi su Rainer Maria Rilke, Quodlibet, Macerata 2002.

[11]          Non si dimentichi l’influenza di Jung e Kerényi su Jesi. Cfr. R. Bernardini (a cura di), Jung a Eranos. Il progetto di una psicologia complessa, Franco Angeli, Milano 2011.

[12]          F. Jesi, Mitologie intorno all’illuminismo, cit.,  p. 184; Id., Il mito, Isedi, Milano, 1973 , pp. 35-36.

[13]               [13] F. Jesi, Introduzione a F. Nietzsche, La nascita della tragedia, in Id., Opere 1870/1881, Newton Compton, Roma 1993, p. 105.

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