di Francesca Donazzan
Esistono numerosi articoli su Dissipatio H.G. di Guido Morselli in rapporto al tempo: ora ne è stata evidenziata la profeticità, ora l’attualità sotto diversi aspetti. Scritto nel 1973 e pubblicato postumo da Adelphi nel 1977, il romanzo antivede le crepe che si allargano sulla nostra fragile civilizzazione, come è stato sottolineato più volte: The italian novelist who envisioned a world without humanity è, ad esempio, il titolo dell’articolo che è stato dedicato a Morselli dal New Yorker due anni fa[1]. Analogamente – complice anche il passare del tempo, che tramuta i presagi in segno dei tempi – si è scritto molto sull’attualità dell’opera di Morselli, che può a ragione essere letta anche in chiave ecocritica: «La fine del mondo? Uno degli scherzi dell’antropocentrismo: descrivere la fine della specie come implicante la morte della natura vegetale e animale, la fine stessa della Terra. La caduta dei cieli. Non esiste escatologia che non consideri la permanenza dell’uomo come essenziale alla permanenza delle cose. Si ammette che le cose possano cominciare prima, ma non che possano finire dopo di noi. […] Andiamo, sapienti e presuntuosi, vi davate troppa importanza. Il mondo non è mai stato così vivo, come oggi che una certa razza di bipedi ha smesso di frequentarlo» (p. 54, corsivi del testo) è, non a caso, uno dei paragrafi citati più frequentemente. Insomma, il dissolvimento del genere umano come cammino del mondo verso l’involuzione dell’Antropocene, una regressione che sa di conquista, progresso – e oggi più che mai è evidente quanto l’inversione non sia un paradosso, bensì un auspicio.
Dissipatio H.G. si è prestato a numerose interpretazioni attualizzanti nel 2020, al propagarsi del Covid-19: Linda Terziroli, autrice della biografia di Morselli (Un pacchetto di Gauloises, Castelvecchi 2019), sottolineava in limine lockdown come il protagonista del romanzo fosse simile a noi, ipocondriaco e fobantropo, di fronte alla pandemia che avanzava, e come leggere Dissipatio H.G. «significasse strappargli di dosso la definizione di ucronia, di astrazione, scoprire nuove inattese letture del nostro mondo e trovarci dentro un ritratto nitido dei nostri giorni convulsi, assurdi, in pasto alla pestilenza moderna del Coronavirus»[2]. Gli articoli della primavera del 2020 sull’attualità del romanzo evidenziavano, oltre alla funzione della letteratura di farmaco contro le angosce, di dispositivo che consente ampi respiri e sguardi larghi al di là delle proprie quattro pareti e degli affanni asfittici da mascherina, i numerosi punti di coincidenza tra quel periodo e la storia dell’eletto/del reietto: la malattia come epicentro, il silenzio da assenza umana ai tempi del lockdown stretto, che «è un silenzio che non scorre. Si accumula» (Dissipatio H.G., p. 33), la natura che si appropria delle strade, delle città, lo stato di abbandono dei crocevia e dei luoghi di massa (di assembramento, come saremmo diventati usi a dire), l’aeroporto di Teklon nella fiction come lo scalo di Francoforte nella realtà. Tale panorama predittivo è stato esaltato non solo in Italia, ma anche come si diceva negli Stati Uniti, dove il romanzo è stato provvidenzialmente pubblicato proprio al termine del 2020 (Dissipatio H.G. The Vanishing, traduzione e introduzione di Frederika Randall, New York Review Books).
Guido Morselli come autore che sa parlare all’oggi e insieme profetico: per motivi diversi lo si può dire anche di Roma senza papa, scritto nel 1966, frutto della riflessione sul Concilio Vaticano II appena concluso e al contempo fortemente visionario, e suo primo romanzo pubblicato da Adelphi nel luglio 1974, pienamente coevo ai grandi dibattiti sui diritti civili su cui la Chiesa non si è mai tirata indietro dall’esprimersi (il referendum abrogativo sul divorzio è del maggio 1974; il tema della regolamentazione dell’aborto si affacciava nello stesso arco di mesi) e a ridosso del Giubileo ordinario indetto da Paolo VI l’anno successivo – un’attualità che si rinnova nella congiuntura di queste settimane, nelle tensioni tra il polo conservatore e la parte più “progressista” della Chiesa, a seguito della morte del Papa emerito Benedetto XVI. Senz’altro un aspetto che rende vivi agli occhi contemporanei i romanzi di Morselli è la sua capacità di realizzare nella scrittura l’incontro fra movimenti diversi, perfino opposti, e purtuttavia non in contraddizione tra loro: non soltanto per quanto riguarda la dinamica temporale, ma anche in merito al rapporto tra Realismo e fantasia, titolo di uno dei due saggi – l’altro è Proust o del sentimento – che egli ebbe modo di veder pubblicato nel 1947, alla diade Fede e critica (Adelphi 1977) oppure all’interazione tra metafisica e contingenza, che si amalgamano in modo naturale sulla pagina. Dissipatio H.G. è permeato infatti dalla riflessione filosofica sull’esistenza e sulla morte, sull’Essere e sul senso dell’esserci in rapporto alla presenza o all’assenza dell’Altro – una speculazione che si interroga su questioni assolute, fuori della Storia – e al contempo dalla contingenza della vita del protagonista, tra annotazioni su capitalismo, inquinamento, tendenza alla psicologizzazione esasperata («un’operosa industria clinico-culturale», p. 66) e resoconto di concreti tentativi di incontrare altri esclusi, come le telefonate o la visita all’aeroporto: richieste di senso universali calate nel reale e, viceversa, idee prosaiche all’affermarsi della volontà di metter fine al proprio Dasein (i pensieri sulla qualità del cognac spagnolo rispetto a quello francese, sulla soglia del suicidio).
C’è, tuttavia, un ulteriore aspetto legato al tempo che, a mio parere, va sottolineato, al di là della semplice (e forse sbagliata, vista la resistenza sia del protagonista di Dissipatio H.G., sia di Morselli stesso, nell’onorare le ricorrenze: il primo, volendo rifuggire il quarantesimo compleanno; il secondo, suicidandosi due settimane prima di inaugurare il settimo decennio di vita) occasione celebrativa, cioè il cinquantesimo anniversario della composizione del romanzo, nonché della morte dell’autore. Ciò che gli articoli menzionati non mettono in luce è che Morselli può essere letto non soltanto come un autore profetico – ossia nella prospettiva di un passato teso verso il futuro – oppure attraverso la lente dell’attualità, per la quale il passato può parlare alla contemporaneità; il punto è come l’opera risuona in noi, nel presente, alla luce di un certo passato. Nulla di nuovo, a quanto pare: la relazione con un’opera è sempre biunivoca, essa ci attraversa portando i suoi significati e insieme noi la attraversiamo facendo interagire, più o meno consciamente, letture precedenti, la nostra sensibilità, la temperie socio-culturale in cui ci troviamo a vivere. Ad esempio, per me Dissipatio H.G. dialoga con un altro libro, illuminandosi a vicenda: il Pincher Martin di William Golding (1956; tradotto La folgore nera nel 1963 da Giorgio Monicelli per l’editore Martello, ora introvabile), storia di un giovane ufficiale, naufrago alla deriva nell’Oceano Atlantico. Egli riesce a raggiungere uno scoglio isolato e tenta di sopravvivere bevendo acqua piovana, nutrendosi di alghe e molluschi, cercando di combattere il terrore e l’angoscia del proprio isolamento aggrappandosi alla razionalità; col passare del tempo, però, nella sua mente il confine tra realtà e irrealtà si fa sempre più labile. Il romanzo si chiude in modo terribile e meraviglioso: al ritrovamento del suo cadavere, viene notato come non abbia avuto nemmeno il tempo, al momento del naufragio, di togliersi gli stivali. Ciò che l’ufficiale pensa, vive e sente è dunque, in realtà, il turbinio della mente negli attimi precedenti l’annegamento. E se il protagonista di Morselli, come l’ufficiale Martin, fosse morto, come sembra insinuare la chiusa del cap. XIV, se la ragazza dall’occhio nero avesse effettivamente sparato, e tutto quello che ha vissuto dalla notte della dissoluzione in poi fosse frutto del travaglio della mente nel frangente della morte? E se tutti gli uomini stessero vivendo quello che sta sperimentando lui, nella propria individualità, incomunicabilità e invisibilità agli altri? L’interazione tra i due libri genera ai miei occhi un’interpretazione suggestiva, anche se forse a quelli altrui poco ortodossa, di Dissipatio H.G.. Oppure, per fare un esempio non letterario, il romanzo ben si accorda nella mia mente a Nerissimo, album del 2016 di Teho Teardo e Blixa Bargeld, le cui sonorità e i testi riecheggiano per me in molte pagine morselliane[3].
Al di là di come un’opera interagisce con la nostra biblio-, disco- o cineteca mentale, credo che ci siano esperienze collettive che modificano – sarà da capire se transitoriamente o in modo duraturo – la capacità di instaurare il dialogo tra un’opera e ciò che siamo; come si diceva, un presente che è continuamente abitato da un passato condiviso, non necessariamente nelle forme di un trauma. La più recente di queste esperienze va rintracciata proprio nella pandemia, che ha spostato i termini della nostra comprensione di opere come il romanzo di Morselli – ed è una delle poche eredità positive che essa forse ci lascerà. Pertanto, la riflessione sul binomio letteratura e covid intende essere più ampia rispetto, ad esempio, ai punti di tangenza che, come è stato fatto nel 2020, si possono rinvenire tra gli avvenimenti reali e le narrazioni apocalittiche[4]: si avanza l’ipotesi di ciò che si potrebbe definire un’ermeneutica postpandemica.
La pandemia, per la maggior parte della popolazione, ha rappresentato il primo evento collettivo che ha determinato un turbamento profondo e prolungato. Nei mesi in cui il covid, benché con velocità diverse, si propagava nel mondo, ci siamo ritrovati improvvisamente senza via di fuga, entro una dimensione globale senza scampo: uscire dalla pandemia era impossibile tanto sul piano geografico quanto su quello mentale, avendo il virus colonizzato progressivamente i tg e i dialoghi a distanza, le modalità di lavoro e le pubblicità, finanche l’inconscio (sognare di mangiare patate fritte con i propri amici, pescandole direttamente con le dita da un’unica ciotola. Momenti allegri e senza pensieri, fino a quando ci si ricorda che c’è il covid, e bisogna essere proprio degli scriteriati a comportarsi così). Nessuna scappatoia possibile, a parte i tentativi di evasione in mondi altri, che fosse la letteratura o, più prosaicamente, quello dei manicaretti lievitati: l’emergenza è globale e totalizzante. Assoluta, per dimensione e per il tipo di interrogativi, di riflessioni che portava con sé. Una volta passata la fase acuta, non poteva passare facilmente l’esperienza fondamentale di quel ripensamento che ha coinvolto tutti. Credo, insomma, che la pandemia – soprattutto ciò che abbiamo vissuto nel 2020 – sia una lente che ora ci consente di intendere qualcosa di più delle opere che definirei totalizzanti, che siano libri o film. Dissipatio H.G. ci parla di più dopo la pandemia: la dimensione totalizzante che abbiamo esperito ci permette di leggerlo non più (non solo) come un esperimento narrativo postapocalittico interessante ma sostanzialmente fantascientifico, bensì di considerarlo con una sensibilità diversa, un coinvolgimento profondo per le istanze che il libro pone e che adesso suonano più vicine a noi. L’esperienza ci ha portato ad una ricettività che ci fa prendere più sul serio le narrazioni assolute, che ci interpellano ora in modo più intenso. Un altro libro postapocalittico che può godere di questo approfondimento dello sguardo, benché sia molto diverso dal romanzo morselliano, è La strada di Cormac McCarthy (2006), che racconta di un padre e di un figlio che cercano di raggiungere l’oceano; una catastrofe ha ridotto il mondo a luogo inospitale e la maggior parte dei sopravvissuti a pericolo per gli altri simili. È un libro che ho cominciato e abbandonato dopo circa 1/3 per ben due volte: mi davano ai nervi i dialoghi, spesso poco verosimili, che parevano alludere a una profondità sempre promessa e mai in verità germinata. Ci ho provato una terza volta nel 2021, ed è stata una folgorazione: non era diventato il mio libro preferito, ma mi parlava in modo completamente diverso rispetto ai tentativi precedenti. Trovavo giustificata l’asciuttezza dei dialoghi, che prima mi erano così fastidiosi, anche nella loro insensatezza allucinata. Capivo il senso di claustrofobia e non di rado la lettura soffiava sul fuoco dell’ansia. Finalmente il libro aveva trovato il momento per avere risonanza dentro di me. Il romanzo rappresenta un mondo alle prese con gli ultimi spasimi dopo l’Apocalisse, uno scenario com’è ovvio difficilmente paragonabile a quello pandemico, eppure quest’ultimo ne ha rischiarato la lettura. È ciò che accade anche con alcune serie tv in cui il genere umano è messo di fronte alla propria sopravvivenza, come The Leftovers. Adattamento del romanzo omonimo di Tom Perrotta pubblicato da E/O nel 2012 e andata in onda ben prima della pandemia, la serie narra le vicende di una cittadina tre anni dopo la Dipartita, ossia il giorno in cui improvvisamente il 2% della popolazione mondiale svanisce nel nulla. È una serie complessa e introspettiva, che sicuramente ha trovato i suoi estimatori anche prima della pandemia perché affronta temi come l’elaborazione di una perdita, il senso del proprio esserci in assenza degli affetti, la fede e il paradosso di un vuoto sempre presente e impossibile da spiegare. Tuttavia, ritengo che la pandemia consenta una lettura più attenta di certi aspetti centrali, come le possibili risposte all’evento traumatico: c’è chi si abbandona al nichilismo, chi tenta di andare avanti negando l’accaduto, chi si aggrappa alla fede, chi soffre di depressione e chi, infine, diventa parte di una setta, quella dei Colpevoli Sopravvissuti, i cui membri vestono solo di bianco e sono votati al silenzio, al tabagismo sfrenato e alla missione di tenere sempre vivo e presente, a sé e al mondo, il momento della Dipartita. I principi della setta ci sarebbero apparsi, prima, soprattutto come bizzarri, pura fiction, anziché sentirli come reazioni plausibili e comprensibili.
Siamo, insomma, più coinvolti, siamo più implicati nelle questioni assolute che queste narrazioni pongono, se le lasciamo risuonare. Sarebbe interessante rilevare tra qualche tempo se tali opere godano, in quest’epoca di comprensione maggiore, di una riscoperta, o di successo. Allora potremmo constatare se davvero ne siamo usciti migliori, perlomeno come lettori.
Note
[1] https://www.newyorker.com/magazine/2021/01/04/the-italian-novelist-who-envisioned-a-world-without-humanity.
[2] L. Terziroli, “Tutto cominciò con una malattia…”. Leggere “Dissipatio H.G.” di Guido Morselli per capire l’uomo nell’era del virus.“Io sono l’eletto. O il dannato”, Pangea, 09/03/2020. Su Dissipatio H.G. letto in tempo di pandemia e lockdown, v. anche M. Crippa, Quando ci scoprimmo soli, Il Foglio, 15/03/2020 (che cita anche The leftovers, di cui si dirà oltre); senza firma, Guido Morselli, lo scrittore che aveva previsto tutto, Wired, 21/03/2020.
[3] Un paio di esempi: la notevole consonanza fra la situazione vissuta dal protagonista e la sua attesa di Karpinsky, e una strofa di Nirgendheim («Stück für Stück wird aufgegeben / aufgelöst, atomisiert / nur der eine Punkt, der wehrt sich / solange noch etwas übrig ist / was übrig ist verlangt noch mehr / bei null und hellen Nächten / die Zeit verlangt nach mir / warten: Malatesta» – traduzione: «A poco a poco viene abbandonato / dissipato, atomizzato / soltanto l’unico punto si difende / fintanto che qualcos’altro rimane / ciò che rimane pretende ancora di più / vicino allo zero e alle notti chiare / il tempo mi reclama / aspettare: Malatesta»); fra le ore trascorse nell’albergo vuoto e il testo di Animelle («Die Rezeption hängt in einer Warteschleife, stundenlang. / Die Gäste haben ausgecheckt / aber ihre Habsligkeiten sind noch da» – «La reception rimane in attesa per ore e ore. / Gli ospiti hanno fatto il check out / ma i loro averi sono ancora qui»).
[4] Gli articoli che intrecciano letteratura e pandemia si concentrano anche su altri due temi: l’excursus diacronico sulle narrazioni di pestilenze ed epidemie, da Omero in poi, e la letteratura – saggistica e non – proliferata attorno al coronavirus.
[Immagine: The Leftovers].