di Adelelmo Ruggieri
Grandi viaggi, rubrica a cura di Adelelmo Ruggieri
Vai dove non c’è sentiero e inizia il percorso.
Quando ero giovane e avevo in corpo la voglia di essere da qualche parte, la gente matura m’assicurava che la maturità avrebbe guarito questa rogna. Quando gli anni mi dissero maturo, fu l’età di mezzo la cura prescritta. Alla mezza età mi garantirono che un’età più avanzata avrebbe colmato la mia febbre. E ora che ne ho cinquantotto sarà forse la vecchiaia a giovarmi. Nulla ha funzionato. In altre parole, non miglioro. Vagabondo ero, vagabondo resto. Metto giù questa roba non per istruire gli altri, ma per informare me stesso.
Comincia a questo modo Viaggi con Charley. Alla ricerca dell’America, di John Steinbeck, tradotto da Luciano Bianciardi. Il suo piano era chiaro, conciso, sensato, così almeno credeva. Aveva viaggiato in molte parti del mondo, ora stava a New York, “ma New York non è America”. Si convinse che non conosceva più il suo paese, lavorava a memoria ma la memoria “è una cisterna fallosa e contorta”. E allora decise di guardare ancora. Partì il 5 settembre, nel Labor Day del 1960, ma il viaggio era cominciato molto tempo prima che partisse – scrive l’autore dei Pascoli del cielo e di Al dio sconosciuto, di Uomini e topi e Furore, della Valle dell’eden e dell’Inverno del nostro scontento – e finì prima che ritornasse.
Finì ad Abingdon, in Virginia, “alle quattro di un pomeriggio ventoso, senza avviso e senza addio”. Il suo viaggio se ne andò – finito, chiuso – e lo lasciò lontano da casa, e la strada allora gli divenne “un interminabile nastro di pietra”. E accadde che fino ad Abingdon era in grado di rivedere tutto di quel lungo viaggio a circumnavigare il continente statunitense. Rivedeva ogni incontro, felice o meno felice. Rivedeva le campagne serene e chete, le giornate fragranti e chiare d’autunno nell’Illinois, la luce che trafigge la sostanza solida delle cose, le strade intasate.
Rivedeva Fargo nel North Dakota, era come in un libro di Erodoto, le notti cariche di presagi. Rivedeva il grande spartiacque delle Montagne Rocciose, con la pioggia sul piede destro che finisce in un oceano e quella sul piede sinistro in un altro, risentiva il silenzio solenne delle sequoie.
Dopo Abingdon non ricordava nulla, solo quell’interminabile nastro, un tunnel senza tempo. E anche a Charley, il suo fedele compagno di viaggio, il suo cane barbone, accadde lo stesso. Si addormentò sul grembo di Steinbeck – finito, chiuso, anche per lui.
Il suo corpo, dopo Abingdon, era in un vuoto senza nervi né stanchezze, e a questo modo seguiva il fiume crescente di auto che lo avrebbe portato a New York, davanti casa sua, ma non fu semplice tornare a casa. Che succede, amico? Gli chiede un poliziotto. E lui, Agente, ho guidato questo arnese per tutto il paese, montagne, pianure, deserti. E ora che sono qui, a casa, sono sperso. Non ci badi, dice l’altro, sabato mi sono sperso anch’io, a Brooklyn. Dov’è che vuole andare?
Prima di Abingdon c’era stata New Orleans, mille e duecento chilometri di strada in mezzo. E a New Orleans viveva una bambina di sei anni, si chiama Ruby Bridges, una dei sei bambini afroamericani che partecipano nel 1960 al processo di desegregazione scolastica. Ruby e sua madre furono scortate a scuola da quattro agenti federali per l’intero primo anno di scuola. Ad aspettarla c’è una ressa di mamme bianche e razziste che gridano, urlano, lanciano cose. Vogliono che l’istituto resti bianco, e ogni mattina si accalca una folla ad incitarle. Steinbeck ne è venuto a conoscenza e ora è lì, vuole vedere con i suoi occhi quanto sta accadendo.
Adesso la folla è inquieta, “come fa un pubblico quando è passata l’ora e il sipario non si alza”, ma “lo spettacolo” comincia in orario. Fischi di sirena. Poliziotti in motocicletta. Scortata da quattro agenti federali arriva Ruby; “la più piccola ragazza nera che tu abbia veduto, vestita di un bianco abbacinante”. Da dietro le barriere arriva uno strepito di strilli. Lentamente i quattro agenti e Ruby salgono gli scalini ed entrano nella scuola. Ma non è finita.
Adesso la folla sta aspettando l’uomo bianco che vuole portare a scuola suo figlio. Sta arrivando, è vestito di grigio chiaro, tiene per mano il figlio impaurito. Si leva una voce stridula, le grida non erano in coro, ma alla fine di ogni urlo la folla ruggiva.
Steinbeck sente le parole; sono bestiali, sozze, degenerate, il vomito degli umani indemoniati, una dissennata bestialità. È disgustato. Eppure conosceva New Orleans e aveva molti amici lì, gente assennata, gentile, con una tradizione di cortesia e di finezza. Cerca fra la gente facce così, ma non le trova. Dov’erano gli altri, si chiede, quelli che avrebbero sostenuto quella bambina impaurita? Ma non sa rispondere. Scrive, Non so dove fossero.
Tra il vagabondare dell’incipit e quel perdersi finale davanti casa, dopo i fatti di New Orleans, c’era stato il suo grande viaggio di tre mesi, a bordo di un camper con la casetta montata sul cassone del pick-up verde bosco. Lo aveva chiamato Ronzinante.
Mi mancavo, questo libro! Da leggere subito!