di Daniele Comberiati e Chiara Mengozzi
[E’ uscito da poco per Carocci Storie condivise nell’Italia contemporanea, a cura di Daniele Comberiati e Chiara Mengozzi. Pubblichiamo un estratto dell’introduzione].
La curatrice e il curatore del volume che avete tra le mani hanno iniziato la propria esperienza di ricerca accademica lavorando su quella che all’epoca veniva chiamata “letteratura italiana della migrazione”. Si trattava, all’inizio degli anni Duemila, di un filone di studi relativamente nuovo all’interno dell’italianistica, e forse i nostri successivi percorsi lavorativi – svoltisi in gran parte all’estero durante o in seguito al dottorato di ricerca – potrebbero mostrare che a distanza di una ventina d’anni vige ancora, nell’accademia italiana, una difficoltà o una renitenza nell’accettare tali ricerche e tale corpus come appartenenti “di diritto” alla letteratura nazionale. Ma non è questo – o non è solo questo – il punto cruciale di questo libro. […]
All’origine del lavoro di assemblaggio dei contributi ci sono un sentimento di insoddisfazione rispetto allo stato della ricerca e un’esigenza di rinnovamento. Poco prima dell’ormai tristemente nota primavera del 2020 […] ci siamo confrontati sui cambiamenti apportati da e in questa letteratura “migrante” rispetto agli inizi del nostro percorso di ricerca e sui paradigmi teorici che venivano e vengono utilizzati per analizzarne il corpus. Entrambi percepivamo che la produzione postcoloniale e migrante […] mostrava una sorta di impasse, una stanchezza e reiterazione di temi e strategie narrative, che sembravano ripetersi quasi uguali almeno dagli anni Dieci del 2000. […] Ci siamo dunque chiesti se questa stagnazione fosse propria all’oggetto di studio oppure dipendesse dallo sguardo critico che continuava a concentrarsi sulle stesse tipologie testuali, a dispiegare gli stessi paradigmi critici, a insistere sempre sulla stessa manciata di autori e autrici. Forse era semplicemente necessario cambiare approccio, inquadrare il fenomeno in maniera più ampia, autenticamente interdisciplinare e comparatistica, e dirigere lo sguardo altrove (non solo oltre la letteratura prodotta nei formati cartacei tradizionali e attraverso i consueti canali editoriali ma anche oltre la letteratura tout court), per individuare quali fossero gli ambiti discorsivi più vivaci per riflettere sull’Italia transculturale di oggi.
Ci siamo naturalmente domandati se avesse ancora senso definire questo corpus in maniera alternativa rispetto alla letteratura italiana contemporanea e, in seconda istanza, qualora, come immaginavamo, la divisione avesse perso senso, quali fossero le ragioni, i lasciti critico-teorici e le possibili piste di ricerca. […]
Innanzitutto è bene ricordare che il venir meno della necessità di differenziare i due campi – di cui […] non vanno comunque trascurate le ragioni strategiche e gli effetti positivi – non nasce da imposizioni critico-accademiche provenienti dall’alto né soltanto da preoccupazioni etiche, pur importanti, ma, molto più semplicemente, dall’analisi delle produzioni letterarie contemporanee e dalla constatazione che, fra scrittori “migranti” e non, le convergenze sono ormai numerose. Da un lato, gli scrittori migranti hanno sperimentato diverse “strategie di affrancamento” dal “ghetto” della letteratura migrante (Fracassa 2012) […]; dall’altro, le tematiche migratorie o postcoloniali non sono più appannaggio esclusivo degli scrittori definiti migranti, ma a partire dai primi anni Duemila sono stabilmente entrate nella narrativa italiana […]. Da qui l’esigenza, anche in questo volume (si veda in particolare l’articolo di Silvia Contarini), di abolire la linea di frontiera e di considerare i romanzi degli autori italiani e dei nuovi italiani congiuntamente, proprio per mettere in primo piano i testi, le strategie narrative e, molto onestamente, anche i limiti, senza fare della biografia il criterio guida.
Le convergenze, inoltre, non riguardano soltanto i temi e i contenuti dei testi, ma sono ben più strutturali. In quella che resta a tutt’oggi la presentazione più articolata della letteratura italiana ultracontemporanea nel suo complesso – il volume di Gianluigi Simonetti intitolato La letteratura circostante (2018) – l’autore menziona alcuni tratti e criticità che da anni caratterizzano anche la produzione degli scrittori migranti, con la differenza, però, non del tutto irrilevante, che per gli scrittori migranti l’adeguazione alle attese del pubblico e alle richieste di un’editoria in cerca di vendite era una condizione necessaria per acquisire una voce pubblica a partire da una posizione indubbiamente svantaggiata: tra gli altri aspetti, il prevalere di narrazioni testimoniali e la sovraesposizione dell’io narrativo, l’appiattimento del letterario sull’attualità e i fatti di cronaca, l’insistenza su temi a forte effetto di realtà, l’ausilio di una lingua ipermedia, semplice e colloquiale, e di una sintassi rapida, scattante, per non dire a volte frettolosa, l’ingrediente esotico-turistico come meccanismo di evasione nello spazio e nel tempo, l’impiego di generi ibridi tra fiction e non-fiction, l’uso/abuso del documento grezzo (stralci di giornali, processi, interviste).
C’è da aggiungere che queste dominanti formali, che Simonetti individua a ragione come prevalenti nel panorama letterario italiano circostante, sono solo effetti locali di una ristrutturazione ben più ampia del sistema mondiale delle lettere e del suo mercato. Questo ci ricorda la necessità non soltanto di situare la letteratura nei suoi luoghi materiali di produzione (da qui la presenza nel volume del saggio di Giulia Molinarolo proprio sulle strategie editoriali), ma anche di accostare alla scala nazionale di analisi quella mondiale e transnazionale. Questo è tanto più indispensabile per abbordare la produzione culturale centrata sui temi della migrazione. […]
Trattando le ragioni per cui la delimitazione del fenomeno da necessaria, in un primo tempo, è diventata superflua se non fuorviante, abbiamo di fatto già introdotto il bilancio sui lasciti e gli effetti di questa produzione, ma soffermiamoci ancora un attimo su quest’ultimo aspetto. […]
Oggi, a distanza di trent’anni, possiamo dire con onestà che gli effetti prodotti dalla letteratura migrante sulla letteratura italiana tout court in termini di rinnovamento linguistico, stilistico e narrativo non appaiono così preponderanti, innanzitutto perché, molto banalmente, la distinzione è artificiale […]; la letteratura migrante, inoltre, non poteva che inserirsi nel mercato editoriale italiano, accettarne le dinamiche e i compromessi per tentare di ritagliarsi, nel contesto della società di accoglienza, un luogo da cui essere ascoltata. E per questo non la si può soltanto biasimare, rimproverandole di non essere stata sufficientemente sperimentale, di non averci regalato il tanto atteso Salman Rushdie o la tanto attesa Zadie Smith italiani. Prima di imputare agli scrittori migranti l’incapacità di rivoluzionare le lettere nazionali come altri hanno fatto nei contesti anglofoni o francofoni, sarebbe forse più giusto chiedersi se il sostrato letterario, editoriale e ricettivo entro il quale gli scrittori migranti in lingua italiana si sono inseriti fosse sufficientemente propizio, dinamico e internazionale per permettere l’emergere di voci altrettanto uniche e potenti come quella del già citato Rushdie. «Se essere di nicchia è lo stadio definitivo per molti intellettuali – scrive Nadeesha Uyangoda in L’unica persona nera nella stanza, un saggio lucidissimo sulla questione razziale in Italia – questo non è un lusso che ci si può permettere quando si è neri: essere di nicchia per un bme equivale a essere marginale» ([…] pp. 11-2). Teniamone conto.
Comunque, anche senza clamorose rivoluzioni letterarie, alla letteratura migrante va certamente il merito di aver introdotto in Italia nuove tematiche e nuove forme di articolazione tra esperienza biografica e scrittura attraverso dei dispositivi narrativi ripresi in seguito anche dagli autori italiani che hanno cominciato a occuparsi di migrazione e storia coloniale proprio su impulso della letteratura dei migranti o delle cosiddette seconde generazioni.
Infine, se proprio dobbiamo valutare in una battuta gli effetti a lungo termine di questa produzione, possiamo concludere dicendo che il suo lascito maggiore – non solo all’interno delle lettere nazionali, ma in maniera più ampia all’interno del contesto culturale italiano – è rappresentato proprio dal riposizionamento degli studi di italianistica, che ora sono in grado di dialogare in chiave internazionale su tematiche attualmente centrali quali, fra le altre, gli studi sul genere e la razza, ma anche i Black Studies (come il contributo di Emma Bond presente nel volume), le teorie culturali e postcoloniali, la relazione fra cultura “alta” e “bassa”, le nuove forme di fan-fiction e le influenze reciproche tra scrittura letteraria e altri linguaggi e forme artistiche. […]
Quali criteri ci hanno guidati nella raccolta dei contributi e che cosa accomuna questi ultimi a parte i presupposti generali che abbiamo appena esplicitato?
Innanzitutto, volevamo dare un segnale chiaro nell’ambito della critica che si è occupata di tali questioni. Fare un bilancio, certo, ma soprattutto spostare l’attenzione altrove rispetto ai problemi che hanno dominato la riflessione tra gli anni Novanta e la prima decade degli anni Duemila, in primis la preoccupazione definitoria. […]
Il secondo elemento trasversale a gran parte dei contributi, e che contraddice ancora una volta la divisione fra scritture migranti e non, riguarda lo spazio accordato alle esperienze di scrittura e creazione collaborativa: ne parlano, tra gli altri, Jessica Sciubba in relazione alle installazioni e ai documentari prodotti su e a Lampedusa, Barbara Spadaro al fumetto, Paola Ranzini al teatro, Anna Finozzi alla letteratura per l’infanzia, Manuel Coser al gaming, Alessandro Portelli e Luciana Manca alla musica e ai cori. […]
La curatrice e il curatore di questo volume provengono da un’esperienza accademica e da una formazione soprattutto – anche se non esclusivamente – letteraria, ed è da tale posizionamento che hanno concepito il libro. L’idea iniziale, però, che si è rafforzata nel prosieguo del lavoro, è stata proprio quella di rompere i confini troppo rigidi della disciplina, per cercare di capire in che modo l’apporto – anche e soprattutto artistico – dei migranti avesse inciso nel panorama culturale italiano. Ci sembrava infatti che spesso fosse proprio nei percorsi artistici e critici non letterari che si celassero le forme e le riflessioni più innovative nel contesto attuale, pronte a indicare nuove linee culturali e teoriche per uscire da quell’impasse di cui scrivevamo in precedenza. Per questo motivo abbiamo scelto di insistere su quei discorsi e quelle pratiche di confine dove la letteratura entra in relazione con altri linguaggi: il fumetto (Barbara Spadaro), le arti visive (Emma Bond e Jessica Sciubba), il teatro (Paola Ranzini), il gaming (Manuel Coser), la musica (Alessandro Portelli e Luciana Manca).
La volontà di andare oltre i confini disciplinari si è legata, fin dall’inizio, all’interesse per i percorsi e progetti di ricerca di giovani studiose e studiosi. Per questo nel volume è possibile trovare almeno tre generazioni di ricercatori e ricercatrici: da chi, come Alessandro Portelli, è stato fra i primi ad occuparsi di letteratura della migrazione a giovani che hanno appena concluso o stanno concludendo il proprio ciclo dottorale. Questo dialogo intergenerazionale – che è anche, ci preme ribadirlo, un dialogo transnazionale, vista la provenienza accademica della maggior parte delle persone che hanno contribuito al volume – è il segno che l’interesse per l’argomento non si è esaurito e che l’ipotetico impasse di cui parlavamo può essere superato proprio indirizzando lo sguardo altrove, uscendo dalla letteratura “stricto sensu” per affrontare quei territori di frontiera dove il discorso letterario si ibrida con altre forme di espressione e altri linguaggi. È anche questa, in fondo, una delle conseguenze e uno dei lasciti della lette- ratura migrante – intesa come corpus e come critica – nel contesto culturale nazionale.
[Immagini: Coro “Voci dal mondo”. Foto di Saraluna Zuin].