di Isotta Piazza

 

Vogliamo fare un discorso sulla didattica letteraria universitaria? Allora sto senz’altro dalla parte di Verga: non riesco a concepire un avviamento alla lettura della modernità letteraria che possa prescindere dal “tassello” Verga, senza il quale si capirebbe poco o nulla della modernizzazione delle strutture narrative dei romanzi e dei racconti novecenteschi (Verga è ovunque), e si perderebbe uno dei momenti più alti della produzione letteraria nazionale.

Vogliamo occuparci della didattica letteraria nella scuola secondaria superiore? Allora di nuovo sto dalla parte di Verga, perché, se ben accompagnati nella lettura, i ragazzi dell’ultimo anno devono essere in grado di capirne l’importanza storica e di goderne appieno il valore estetico ed etico.

 

Ma la domanda che occorre porre sul tavolo del dibattito, secondo me, è un’altra: come si fa ad essere sicuri che, nell’odierna scuola di massa, uno studente diciamo medio, alla fine del suo percorso di scuola secondaria, sia in grado di accogliere il testo verghiano (senza rifiutarlo a priori, cercando su Internet la sintesi della novella o del romanzo assegnato), di comprenderlo e di apprezzarlo?

Io credo e temo che la condizione perché questa ipotesi si realizzi su larga scala (non solo cioè all’interno di classi che hanno la fortuna di imbattersi in docenti “illuminati”, oppure in gruppi sparuti di studenti con una loro propensione innata per la lettura), sia rivedere alcune idee e modelli di apprendimento della letteratura a scuola.

 

Ad esempio, qual è il senso di un avviamento alla studio della letteratura italiana nella scuola secondaria di primo grado? Cosa pensiamo/vogliamo ottenere dal confronto (esperienziale, ma ancora prima linguistico) tra un ragazzino/a di dodici anni con la Divina Commedia? Oppure con Alla sera di Ugo Foscolo o con La roba di Giovanni Verga? Io non nego che sia possibile che docenti particolarmente bravi riescano nell’arduo obiettivo di superare la distanza lessicale, sintattica, concettuale, religiosa, filosofica, storica che separa un capolavoro del passato dalla vita reale e dalle competenze linguistiche di uno studente di dodici anni. Nego che sia possibile realizzare questo su larga scala.

 

E ancora: perché la storia letteraria novecentesca è quella più trascurata nel percorso della scuola secondaria superiore? Perché può accadere che intere classi, cioè generazioni di studenti, concludano il ciclo scolastico senza essersi neppure affacciati al Novecento (accade davvero!), oppure leggendo frettolosamente Pirandello e Montale (degli Ossi di seppia) a maggio inoltrato?  Fortunatamente, anche in questo caso, ci sono docenti che trovano il modo di anticipare autori imprescindibili del Novecento, sfruttando le letture estive, oppure progetti trasversali di educazione civica ed altro ancora.

Ma allora da che parte stare?

 

Io credo abbiano ragione tanti colleghi ad essere insorti contro l’affermazione della Tamaro al Salone Internazionale del libro di Torino: se vogliamo scrivere una petizione a titolo “Verga non ha scritto brutte opere, ma capolavori”, io sono pronta: sottoscrivo!

Eppure (pur mandando avanti la petizione), che qualcosa non funzioni più nell’insegnamento della letteratura a scuola ce lo dicono i dati sugli indici di lettura degli italiani (siamo tra i lettori più scarsi d’Europa!) e ce lo confermano le indagini sociologiche (secondo le quali, i lettori forti lo sono e lo diventano in Italia per tradizione familiare). A ciò vorrei aggiungere l’esperienza empirica di chi, come me, ha osservato (a malincuore) come nel passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado gran parte dei bambini (che pure sono stati lettori) smettono di leggere. Di solito questo coincide con il possesso di uno smartphone o di un analogo dispositivo elettronico che li catapulta nella dimensione della Rete, dei Social Network, dove la lettura dei testi è segmentata, discontinua, costantemente intervallata da immagini, se non direttamente sostituita da contenuti audiovisivi. L’ingresso dello smartphone li rende lettori più svogliati, più distratti, più confusi. Una delle cose che cominciano a chiedere insistentemente è: a cosa mi serve leggere? Perché devo farlo?

 

La risposta che dà loro la scuola secondaria (quella di massa, intendo, non quella dei docenti illuminati o degli studenti superdotati) è che “devono” farlo. Punto.

Mi si potrà obiettare che l’insegnamento della letteratura a scuola ha sempre funzionato così, e che questo per decenni è riuscito a fidelizzare generazioni intere di studenti che avevano alla spalle famiglie di non lettori (a volte addirittura famiglie con genitori scarsamente alfabetizzati). Insomma questo modello austero, certo, ma altamente formativo è riuscito nel compito di democratizzare insieme all’accesso scolastico anche la fidelizzazione al libro e alla lettura. Ma a partire dagli anni Novanta del Novecento (come ben chiarisce Giovanni Solimine, in L’Italia che legge, Roma-Bari, Laterza, 2010) questo non è più accaduto: l’incremento negli indici di fidelizzazione alla lettura non è più cresciuto in modo proporzionale ai processi di scolarizzazione. Quel meccanismo virtuoso si è inceppato, più precisamente, alla fine degli anni Ottanta, il che significa che Internet non ha tutte le colpe, anche se, indubbiamente, la democratizzazione del suo utilizzo ha aggravato la situazione.

 

Ma torniamo, allora, alla domanda da cui siamo partiti:  come si fa ad essere sicuri che, nell’odierna scuola di massa, uno studente diciamo medio, alla fine del suo percorso di scuola secondaria, non rifiuti a priori la lettura del testo verghiano, abbia competenze linguistiche sufficienti per capirlo, e una capacità di lettura consolidata al punto da riuscire ad apprezzarlo?

Io credo che potremmo anzitutto raccogliere la sollecitazione di Calvino, secondo cui quando un lettore «si deve sorbire tutte queste pagine, bisogna che si diverta, bisogna che abbia anche una gratificazione. Questa è la mia morale». Insomma, quella lettura avvincente, divertente, apparentemente futile di cui ancora (fortunatamente) i bambini fanno esperienza negli anni della scuola primaria, bisogna che persista, come modello, nei percorsi di scuola successivi (magari rubando qualche ora ogni mese alla letteratura istituzionalizzata), che “legittimi” l’ingresso a scuola di generi come il giallo, il fantasy e il graphic novel, che sproni i ragazzi a riconoscere buoni o ottimi prodotti di intrattenimenti (all’interno del mare magnum di un intrattenimento dozzinale ci sono anche trame e personaggi ben strutturati!), che sfrutti il campo sterminato della letteratura novecentesca per individuare opere di buona qualità e leggibilità, capaci di garantire un’affinità emotiva con il lettore di oggi, pur nella ricchezza esperienziale di una Storia oramai lontana dalla loro.

 

Insomma, per consentire a Verga di continuare a parlare alle nuove generazioni di studenti giunti all’ultimo anno della scuola secondaria, io credo che si debba aprire il canone scolastico a percorsi più spuri e duttili, e integrare l’educazione alla storia della letteratura con percorsi che abbiamo come scopo prioritario la fidelizzazione alla lettura.

Eppure, sia ben chiaro, neppure questo viaggio attraverso variegati modelli e generi della letteratura può darci la certezza che ogni studente sia alla fine pronto per accogliere ed apprezzare il testo verghiano. Lo scopo (vero) di questo viaggio attraverso le città invisibili del mondo scritto è altro ancora: consentire a ciascuno studente di capire cosa significhi (per lui/lei) leggere, cosa possa aggiungere al senso della vita che anche i giovani di oggi vanno cercando, cosa possa riservargli in termini di intrattenimento, ma anche di appropriazione del mondo non scritto, di conoscenza del sé e degli altri. Che senso abbia oggi essere lettori, al di fuori delle costrizioni scolastiche, e perché valga la pena rimanere lettori (per tutta la vita) nonostante il possesso, ormai imprescindibile, di uno smartphone.

24 thoughts on “Dalla parte di Verga o della Tamaro? Una riflessione e una proposta

  1. in quanto “verghiano” sfegatato, sottoscrivo convintamente. avevo “risolto”, si fa per dire…, il problema insegnando la storia della letteratura “à l’inverse”, dal Novecento a Jacopo da Lentini. qualche risultato l’ho ottenuto…

  2. L’invettiva della Sig.ra Tamarro è veramente imbarazzante. Perché non Manzoni allora o Pascoli. Incomprensibile. Sono pienamente d’accordo con l’articolista.

  3. In questo articolo vedo un barlume di luce in fondo al tunnel oscuro della cultura ottocentesca, che purtroppo è anche qui ben presente. Purtroppo tutta gente che non è in grado di vedere la realtà perché ottenebrata proprio da quella pseudocultura di cui tanto si vanta. Quella pseudocultura umanistica che rende le università fabbriche di asini e di disoccupati.
    Oggi la realtà corre molto più veloce di quanto le masse siano in grado di seguirla, quindi c’è un disperato bisogno di guardare al futuro e di insegnare a vivere in questo mondo: l’avvento dei computer è stato un piccolo assaggio, adesso l’AI appena nato sta già cominciando a ribaltare il mondo e noi perdiamo ancora tempo col Verga e con un mondo che non ci appartiene nemmeno di striscio?
    Chi dice che Verga è un grande scrittore? Un grande scrittore sa creare emozioni e interesse in chi legge. Settanta anni fa passavo intere notti a leggere i romanzi di Salgari, ma mi schifava anche solo una pagina di Verga o della Deledda: perché Salgari non solo scrive anche meglio dal punto di vista letterario, ma è anche molto più coinvolgente. Questo perché ha saputo creare opere che non hanno i gravi limiti del tempo e del luogo in cui sono state scritte. Forse vi sfugge che oggi, come 70 anni fa, la Sicilia dell’Ottocento è vicina ai ragazzi come lo Zimbabwe o il Tagikistan. E sotto certi aspetti lo è anche la Sicilia di oggi se parliamo di innovazione.
    Non è certo un problema di distanza lessicale, sintattica o concettuale: su questo i ragazzi abituati a navigare sul web potrebbero dare lezioni a voi tutti. È solo distanza storica, distanza dalla vita reale, distanza dalla creatività che oggi è esplosa e che voi non sapete vedere.
    Affermare che “valga la pena rimanere lettori nonostante il possesso, ormai imprescindibile, di uno smartphone” è la maggior dimostrazione che non avete capito nulla: sul web si legge dieci volte di più, perché la lettura è molto più veloce che sulla carta stampata, che solo gli asini continuano a preferire. Ed è anche una lettura trasversale che attraversa tutti i campi dello scibile, non la monotonia di un giorno passato a leggere sempre lo stesso tomo di 1000 pagine. Il lettore sul web diventa parte attiva, non passiva come chi legge un libro!
    Molti anni fa un noto scrittore mi raccontava di essere stato messo all’indice nel suo mondo perché scriveva i libri col PC: era opinione comune che scrivere col PC e non con la penna uccida la creatività e la cultura.
    Mutatis mutandis voi ragionate ancora come allora. Vedete la lettura come si guarda un bel pacchetto avvolto in carta luccicante: non vi accorgete quando dentro non c’è nulla che valga la pena di aprirlo.
    Vi posso dare ragione solo su un punto: una politica italiana dissennata, interessata solo a tenere i sederi incollati alle poltrone e a raccattare voti in modo disonesto, ha appiattito tutti verso il basso e favorito la delinquenza. E chi delinque non ha né tempo né voglia di leggere.

  4. Togliere Verga dal programma scolastico di Italiano, con la scusa della difficoltà – leviamo anche Dante? È ancora più difficile – significa non solo omettere un eccelso romanziere come Verga, ma anche tutto il Verismo, cancellando il collegamento con Zola e con il Verismo europeo. Ma quello che intravedo è peggio: cioè il tentativo negazionista di omettere la letteratura di denuncia sociale, per lasciare unicamente tematiche tipo Va’ dove ti porta il cuore o la collana Harmony.

  5. Per non parlare dei collegamenti di Verga alla questione meridionale, o del Verismo come antecedente esplicativo del Neorealismo.

  6. Non vi è progresso letterario senza basi classiche. Verga è una parte reggente e imprescindibile della colonna vertebrale della letteratura italiana; credo che la signora Tamaro questa volta abbia “stonato Un monumento non si regge senza un basamento solido, non vi è il nuovo senza il classico. Gettate alle ortiche le sintesi al computer e prendetevi in mano un libro e leggendolo lasciatevi ammaliare dal profumo della carta. Grazie

  7. Sul dibattito Verga o Tamaro c’è una questione di fondo: sono i libri della Tamaro così importanti da inserirli nella formazione degli studenti? Il dibattito ha questa angolatura molto interessata da chi lo ha suscitato. La guida del docente nella lettura di testi con un linguaggio ormai datato esiste e la famosa ‘ analisi del testo’ è la metodologia di lavoro che risponde a queste richieste. E poi basta parlare di giovani che non sono stati guidati alla letteratura del ‘900 oppure salvarsi relegando i docenti che hanno operato con attenzione e lavoro ad un gruppo minoritario. La scuola non ha bisogno di questi contentini che servono a dare un colpo al cerchio ed uno alla botte: ‘Ci sono dei bravi, ma noi guardiamo agli incapaci’. Si fa un pessimo servizio al dibattito, suscitato da un interesse personale della Tamaro, e alla scuola .

  8. Sono scandalizzata. Alla maturità (1973) ho portato una tesina : situazione Economica, Politica, Sociale nel Regno delle Delle Due Sicilie prima ,durante e dopo il Risorgimento viste attraverso VERGA, DE ROBERTO, TOMASI DI LAMPEDUSA .60/60 e lode! Ringrazio il mio Prof. GIOSUE BONFANTI. All’università, pur essendo matricola, il prof.Spinazzola mi chiese con chi ero in tesi. La scuola vera è questa signora Tamaro.

  9. Nel corso del “divenire” è naturale un dipanarsi armonico della “matassa” che il creatore ha messo nelle nostre mani quindi, mai frammentarne o interromperne il percorso sebbene ci siano sempre male e bene a lottare fra loro.E’ comunque sempre ” l’insegnante “che fa da mediatore e da filtro tra un’epoca ed un’altra ; far capire i cambiamenti che purtroppo non sono sempre positivi per la societa’ e fare un sano discernimento .
    La societa’ del “troppopieno” è il modello permissivo americano di Spoke ha smarrito le coscienze delle famiglie e “pseudoeducatori”.BISOGNA SALVARE IL SALVABILE DA UN MONDO SENZA DIO CHE NAVIGA NELL’OSCURITA’ TOTALE.

  10. Al ginnasio 50anni fa e più leggevo verga e Manzoni.li amavo sopra tutti perché insegnante di lettere ginnasio me li fece amare.si chiamava Lidia casolati.ginnasio liceo berchet.

  11. Credo che nell’articolo in questione, involontariamente, ci sia un aspetto inquietante, non da addebitare completamente all’autrice ma che , ora, vorrei sottolineare.
    Dico subito che nell’infelice uscita della Tamaro, ci possa essere anche un’idea di promuovere se stessa, al di là della sua volontà di ” far scegliere” tra Verga e se stessa.
    L’ alternativa, a mio giudizio, dovrebbe essere un’altra e cioè decidere, forse una volta per tutte, che tipo di scuola vogliamo.
    Una scuola rivolta essenzialmente all’oggi, che si accontenti di offrire nozioni, informazioni, letture sempre più ” veloci ” e per questo sempre più distratte o una Scuola che si prenda l’incarico di poter ” costruire una coscienza critica ” nei nostri ragazzi?
    Una scuola che non abbia caratteri pseudoscientifici o tecnici ma che ” costringa ” a ricercare cause ed effetti di tutte le cose che accadono, ci circondano e ci coinvolgono.
    Non una scuola dei Number One ma una Scuola che sappia tenere nel debito conto, anche, i processi e i tempi di apprendimento coniugandoli con quelli personali di ciascuno.
    Una scuola che abbia lo scopo di fermarsi, di aspettare fino a che tutti abbiano compiuto lo stesso percorso
    Nolli Francesco

  12. Per una siciliana e per di più catanese quale sono, la Tamaro, che pure stimo, ha quasi bestemmiato. Certo, leggere i Malavoglia non è facile, specie per degli studenti del Nord Italia, specie se poco allenati alla lettura… ritengo però che una lettura guidata di testi più brevi, quali La lupa o Cavalleria rusticana o ancora Rosso malpelo, proprio per le loro implicazioni e i loro rimandi al mondo attuale dal punto di vista sociologico, culturale e morale, possa risultare appassionante e, perché no, costituire un valido trampolino per accostarsi successivamente a letture forse un po’più ostiche per le nuove generazioni. Questa almeno è la mia esperienza pluridecennale di docente

  13. Ho insegnato letteratura italiana nella scuola media superiore per più di quarant’anni. Ho assistito a un graduale e inarrestabile degrado del gusto e delle capacità di lettura dei giovani, spinti dalla scuola stessa alla noia e al fastidio nei confronti di qualunque libro. Penso realmente che i primi colpevoli siano colleghi formatisi su testi antologici e completamente digiuni di capacità critiche e competenze, quasi sempre lontani dalla conoscenza diretta dei testi. L’università degli anni ’70 consentiva agli studenti di lettere di conseguire la laurea senza essere mai chiamati a rendere conto di letture complete dei testi studiati, ma solo di vaghe e mnemoniche competenze della “storia” della letteratura. Non mi stupisco se oggi qualche banale scribacchina, neppure degna delle pagine di una scrittrice considerata minore come Liala, ha la faccia tosta e l’arroganza ignorante di mettere in discussione l’emozione profonda e formativa che può coinvolgere un giovane nella lettura delle pagine di Verga. Oggi l’unico autore italiano degno dell’appellativo di scrittore e’ Aldo Busi, eppure anche lui inviso al lettore medio italiano perché “difficile”. Susanna Tamaro dovrebbe essere solo citata a scuola come esempio di ciò che “non si deve leggere”, per non allontanarsi del tutto dalla bellezza della lingua italiana e dalla profondità della vera letteratura, non dalla spazzatura di carta da macero e di pseudo- scrittori costruiti dal mercato.
    Cancelliamo dalla scuola le antologie e la storia della letteratura e leggiamo a loro e con loro gli scrittori ” difficili” per guidarli a capirli e comprenderli, con amore e con lo sforzo necessario e indispensabile per penetrare nella scrittura e nella vita.
    Superficialità di emozioni e sciatteria nel linguaggio sono i veri killer della cultura e della scuola italiana.

  14. “Una scuola rivolta essenzialmente all’oggi”: certamente perché viviamo oggi per costruire il domani di figli e nipoti, non nello sfigatissimo Ottocento con tutte le sue miserie e non in quella Sicilia abbandonata da Dio e dagli uomini. Ma se si è rimasti con la testa nell’Ottocento e con una cultura da trogloditi rispetto alla realtà di oggi certo non si è in grado di capire le letture veloci. Non intendo quelle dei tanti che scrivono idiozie su Facebook, ma della necessità di sapere tanto di tutto perché oggi qualunque attività richiede conoscenze multidisciplinari e anche aggiornate quotidianamente. E letture veloci, per chi è in grado di capire quello che legge, sono il mezzo più efficace per restare inserito nella realtà. Chi non è capace può fare il bamboccione mantenuto dai genitori, può drogarsi, o può andare a insegnare materie umanistiche. Comunque un inutile peso per la società. Quanto al commento finale “Una scuola che abbia lo scopo di fermarsi, di aspettare” mi ricorda troppo l’appiattimento generale verso il basso che ha distrutto l’Italia. I bravi vengono penalizzati e scappano all’estero, i cialtroni e i fannulloni vengono premiati dai partiti in cerca di voti facili (una volta si chiamava voto di scambio) e dai sindacati, interessati solo a mantenere il sedere incollato a comode e lucrose poltrone. E così uccidendo la meritocrazia si distrugge una nazione che non certo il Verga, ma veri geni come Leonardo, Galileo, Volta, Marconi, Fermi e tanti altri avevano reso grande.

  15. Il senso dell’articolo, credo, è che bisogna rinforzare la lettura a partire dalla scuola media inferiore e a ciò i libri di Susanna Tamaro possono servire. Non bisogna togliere Verga, però, perché anche oggi le periferie urbane sono piene di “Rossi Malpelo”. A proposito della lingua di Verga alla scuola media inferiore, io chiederei ai ragazzi di: a) sottolineare quello che sembra loro oscuro; b) scambiarsi informazioni gli uni gli altri (cooperative learning) sulle parole che hanno o non hanno capito; c) riscrivere la storia (o brani della stessa) nell’italiano che conoscono meglio.

  16. Ma perché continuate a dire che sono testi difficili e per questo non li leggono? Non li leggono solo perché sono tristissimi, noiosi e lontani anni luce dalla realtà di oggi. A parte quelli interessati solo ai contenuti demenziali di Facebook, i ragazzi di oggi sanno trovare e usare informazioni e nozioni che voi professoroni non trovereste solo difficili, ma impossibili da capire. Se la sanno cavare bene anche quando devono interagire con varie lingue straniere: e voi? Sanno mettere le mani su pezzi di software per tirare fuori qualcosa che funziona, anche senza avere una formazione specifica. Non posso dire lo stesso di tutti gli esimi professori e laureati con background umanistico con cui ho a che fare tutti i giorni: con loro è come parlare con bambini dell’asilo infantile, e anche un po’ handicappati. Gente che non è capace di lavorare in multiprogrammazione, che non sa gestire un ragionamento ramificato ma procede solo in linea retta. E soprattutto gente graniticamente attaccata a quello che sa, tutto il resto è come non esistesse. E alla fine la risposta è sempre la stessa: “è meglio se fai tu”.

  17. Gentilissimi lettori e lettrici, anzitutto grazie per l’attenzione che avete riservato al mio articolo. Ho letto con interesse i vostri commenti da cui ho raccolto numerosi spunti di riflessione (soprattutto dalle posizioni più distanti dalla mia!). Ci terrei, però, a precisare una cosa: non mi ha mai sfiorato l’idea di sostituire Verga con la Tamaro o di proporre attraverso questo articolo un’equivalenza tra i due. Se non l’ho scritto con sufficiente chiarezza, allora lo ribadisco qui. Su tutto il resto, invece, ben venga il confronto, il dialogo e anche (se serve a ricollocare la letteratura al centro del dibattito) un po’ di animata discussione! Grazie ancora

  18. Articolo che mi ha arricchito. Analisi profonda e tagliente, che apre una discussione. Da amante della letteratura, ma proveniente da studi tecnici, mi sono sempre chiesto: perché anche nello studio delle lettere, così come avviene per la matematica, e le scienze, non si segue un percorso che segua l’aumento della complessita’? In matematica si affrontano le 4 operazioni come primo argomento, e si arriva alle geometrie non euclidee per ultimo. Perché non fare un percorso di questo tipo anche per la letteratura?

  19. Trovo assolutamente ridicolo qualsiasi confronto tra Giovanni Verga e Tamaro.
    Verga è, probabilmente, il più grande narratore italiano dell’epoca moderna.
    Tamaro non credo meriti commenti.
    Se, da studenti, i nostri esperti di comunicazione e i loro insegnanti avessero veramente letto Verga, adesso, forse, non avremmo questi imbarazzanti abissi di analfabetismo.

  20. Consapevole del fatto che in Italia, con movendo alcun biasimo alla struttura della scuola pubblica (qualificata come ”gnosticheggiante” da un accademico di pregio, che non cito), si agguaglia il delitto di lesa maestà, dico che, se ne avessi l’autorità, farei quivi tenere corsi di dizione (ad esempio, giova ricordare che Vérga si pronuncia con l’e chiuso) e, per buona giunta, vi tornerei la coltivazione delle arti liberali (come la retorica, ossia, l’arte dell’adorno parlare, e scrivere), pezza fa al tutto trascurate, sostituendo quelle in luogo della letteratura critica, la quale, a partire dalla sua adozione, o veramente introduzione già nelle scuole del Regno proprio al posto delle sopraddette arti liberali, tanto à mosso a tedio e disamorato generazioni intere di studenti.

  21. Confesso di non aver mai letto un rigo di Susanna Tamaro, mentre ho letto per intero l’opera di Verga. Verga ha scritto un capolavoro (le 15 pagine di “Rosso Malpelo”) e un buon poema narrativo (“I Malavoglia”), per il resto è uno scrittore mediocre, monotono, angusto. Nulla a che vedere con “Malombra” di Fogazzaro o “I Viceré” di De Roberto, ma anche con altri autori dimenticati che l’opzione realistica degli storici della letteratura ha lasciato cadere.
    Tuttavia l’articolo di Isotta Piazza parla di didattica della letteratura. La letteratura è un’arte, e il suo insegnamento dipende in enorme misura dalla qualità umana di chi lo propone e – direi – lo incarna. E’ questa qualità che i giovani avvertono, prima ancora delle caratteristiche dei testi. Ogni vero insegnante insegna la gioia che ha avuto nell’imparare. Chi si annoia insegnando, annoia coloro cui si rivolge.
    La chiave della scuola è: come attrarre sulle cattedre le persone migliori. Pagarle, invece di farle sopravvivere a stento, sarebbe forse un modo. Non sufficiente, ma necessario.

  22. Si è passati nei commenti da Verga come migliore scrittore dell’epoca moderna a Verga come narratore mediocre (della Tamaro non so, non ho mia letto una riga, e non un rigo che non mi piace e fa molto sinistra finta intellettuale): forse la verità è nel mezzo. Direi che i Malavoglia sono un ottimo romanzo: forse mediocri sono tanti scrittori di oggi o del novecento che vengono celebrati come maestri (penso ad Italo Calvino su tutti, fra quelli celebrati in questi mesi)

  23. Nel consesso dei pareri che ho letto, ho notato pregevoli e possibili aperture per invitare a capire meglio gli scrittori “fondamentali” come Verga, ho letto di tentativi di accettazione di autori novecenteschi, ma ho letto anche i termini , diciamo ‘gogliardici’ (vorrei dire di peggio), di chi è talmente assuefatto al web da idolatrarne le possibilità anche in fatto di Letteratura. Gli altri( che chiaramente non sono asserviti al web ma sono riusciti ad affrancarsi a quella schiavitù) sono stati considerati ‘trogloditi’. Nel contesto umano del rispetto, questi commenti hanno un che di ‘gretto’. E il continuo degrado, nelle scuole e nell’apprendimento, mostra tutte le possibili lacune della digitalizzazione. I risultati di vita sono sotto inostri occhi tutti i santi giorni. E vedremo sempre di peggio .
    Non mi sorprende, che si sia arrivati alla diatriba Verga-Tamaro e non si sia capito che l’uno non disturba l’altro, riguardo al loro valore letterario.
    Grazie.

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