[È uscito in queste settimane per Terracqua La natura ostile. Visioni e prospettive nella narrativa contemporanea di Paolo Lago. Ne proponiamo un estratto]
di Paolo Lago
«Inutile negare che la crisi climatica sia anche una crisi della cultura, e pertanto dell’immaginazione».
Amitav Ghosh, La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile
La natura ostile può essere raccontata anche senza apocalisse, cioè senza il travestimento eco-distopico di un futuro, più o meno lontano, rivestito di connotazioni post-apocalittiche. Come nota Scaffai, oltre alle immagini distopiche e apocalittiche, ci sono altre due linee tematiche lungo le quali si sviluppa la relazione tra letteratura ed ecologia nelle opere degli ultimi anni, cioè il tema dell’io di fronte alla natura e la trasformazione del paesaggio[1]. La natura ostile può allora rappresentare un semplice scenario narrativo e, come sfondo, può costituire un ostacolo alle attività degli esseri umani. Pur conservando alcune peculiarità tipiche della visione romantica (natura sublime e terribile), essa – osserva ancora Scaffai – oggi viene percepita in modo assai diverso:
Rispetto al periodo romantico, la polarità è invertita: se prima la natura, nel suo aspetto sublime e terribile, era rappresentata come forza materialmente preponderante sull’uomo o come residuo mitico da celebrare, nella letteratura recente (in cui all’idea di natura si affianca e subentra quella di ambiente) essa appare privata di quell’energia. La natura, cioè, è un valore da preservare e non più un avversario con cui misurarsi; anche lo scatenamento dei fenomeni, rappresentato di frequente nell’immaginario catastrofico contemporaneo, conserva ben poco di sublime e di “naturale”: le trame tendono infatti a rivelare come quelle manifestazioni siano il risultato di azioni umane e conseguenze del suo dominio[2].
Tuttavia, essa può conservare alcune sue caratteristiche ‘sublimi’ anche nella contemporaneità, e gli esseri umani possono apparire piccoli e insignificanti, come l’Islandese che dialoga con la Natura nell’operetta di Leopardi. Ad esempio, certe descrizioni dell’isola nordica su cui si svolge l’azione narrativa di Eclissi (2016) di Ezio Sinigaglia sono rivestite di connotazioni tendenti verso il sublime mentre diversi scenari naturali, caratterizzati da enormi alberi secolari, che circondano la solitudine di alcuni personaggi in Il sussurro del mondo (The Overstory, 2019) di Richard Powers, possiedono in sé una forza mitica e ancestrale che allontana dalla quotidianità svariate situazioni narrative.
La rappresentazione di un disastro naturale, poi, può essere benissimo raffigurata all’interno di un romanzo senza per forza dover ricorrere alla finzione post-apocalittica. Amitav Ghosh scrive che «proprio le strategie mediante le quali [il romanzo “realista”] evoca la realtà sono quelle che occultano il reale»[3]. Secondo lo scrittore, è estremamente difficile, in un romanzo che si ponga al di fuori di determinati generi come il fantasy, l’horror o la fantascienza, poter incontrare una scena «in cui un personaggio percorre una strada nel preciso istante in cui viene investita da un fenomeno meteorologico inaudito»[4]. Eppure, è proprio quello che viene descritto in Eclissi di Sinigaglia: anche se in un momento allontanato in una dimensione di passato ormai lontano, il 1738 (elemento che allontana la vicenda anche dall’attuale emergenza climatica) lo scrittore descrive come, in modo fortuito, un uomo non incontri sul suo cammino una distruttiva tromba marina che, durante la sua assenza, rade al suolo il suo villaggio uccidendone tutti gli abitanti. Il personaggio, un anziano di nome Gunnarsson, si era infatti allontanato, quel giorno, per seppellire il suo cane. Nello stesso modo, gli uomini del paese si sono salvati dal tornado mentre erano a pesca, in alto mare. Rovesciando una situazione narrativa presente, ad esempio, in un romanzo verista come I Malavoglia di Giovanni Verga in cui sono gli uomini pescatori – come, nella fattispecie, Bastianazzo – a morire in mare per una tempesta, Sinigaglia rappresenta come più pericoloso e più esposto alla natura ostile lo spazio della terraferma. Certo, non si può dire che la narrazione di Eclissi appartenga al genere fantasy, horror o fantascientifico. Anzi, nel racconto della tromba marina che distrugge il villaggio di Storbygd sono presenti diversi elementi di ‘realismo’, a cominciare dalla presenza dei pescatori che, come abbiamo visto, caratterizza anche uno dei più noti romanzi veristi italiani, I Malavoglia appunto.
Questa seconda parte del saggio, come la prima, è a sua volta divisa in due sezioni: spazi estremi e lontani e spazi antropizzati. Dopo Eclissi, l’analisi compresa nella prima sezione si sposterà su Gli oscillanti (2019) di Claudio Morandini. Qui, lo spazio estremo e lontano è rappresentato dall’immaginario paesino di Crottarda, che si trova da qualche parte nelle Alpi occidentali. La natura ostile che attanaglia il paese, la quale assumerà anche connotazioni oniriche e soprannaturali, è rappresentata soprattutto dalla particolare conformazione del territorio che condanna Crottarda a essere divorata dall’umidità e dalle muffe. Pure se Crottarda può essere considerato come uno spazio antropizzato, essendo un paese, per come emerge dalla caratterizzazione attuata dallo scrittore, ho preferito considerarlo uno spazio «estremo» e «lontano», connotato da una profonda alterità rispetto a qualsiasi altro spazio antropizzato. Successivamente in Io e Mabel (H is for Hawk, 2014) di Helen MacDonald la natura ostile sarà quella dei boschi e degli intrichi vegetali della campagna inglese dove la protagonista, la stessa autrice Helen, si reca assieme al suo astore. A chiudere questa prima sezione saranno le spazialità estreme che Richard Powers mette in scena nel già ricordato Il sussurro del mondo: le foreste selvagge dove Patricia Westerford si ritira a studiare gli alberi secolari o lo stesso albero che funge da casa agli attivisti ecologisti.
La seconda sezione è invece dedicata all’analisi della natura ostile negli spazi antropizzati: luoghi, cioè, in cui maggiormente si fa sentire la presenza dell’uomo. Non si tratta soltanto di spazi urbani e cittadini, ma anche di quelle campagne che lambiscono le città e che, in Italia, a partire dagli anni Cinquanta del Novecento hanno cominciato a essere invase dal cemento e dall’edilizia selvaggia. La vicenda raccontata da Alessandra Sarchi in Violazione (2012) intende denunciare l’abusivismo edilizio che ferisce il territorio italiano: una storia di violenza sull’uomo e sulla natura, al cui centro vi è una casa, a cinque chilometri da Bologna, costruita su un terreno a rischio idrogeologico. Una delle tante aree del paese che sono state aggredite dall’edilizia galoppante, che cementifica la campagna in modo indiscriminato[5].
A fianco degli spazi estremi e lontani anche in Io e Mabel e in Il sussurro del mondo incontriamo spazi antropizzati. Nel primo romanzo, Helen, insieme al falcone, spesso si reca nelle campagne di Cambridge che potrebbero essere private ma in cui gli stessi confini, spesso, non sono visibili oppure sono mancanti. Si tratta di spazi che prima erano selvatici ma che poi sono stati – se così si può dire, utilizzando la già ricordata terminologia di Deleuze e Guattari – «striati», sottoposti al processo di controllo e di separazione dello spazio in griglie di confini. Sono luoghi, perciò, toccati dall’opera dell’uomo, il quale ha agito in profondità sulla stessa estensione dello spazio. Anche ne Il sussurro del mondo la natura ostile si palesa spesso in spazi antropizzati, come ad esempio nel momento in cui Nicholas Hoel cerca di rientrare a casa durante una tempesta di neve oppure, addirittura, assume un aspetto virtuale e digitalizzato, come nel videogame Destiny 7 di Neelay Mehta.
Note
Cfr. N. Scaffai, Letteratura e ecologia. Forme e temi di una relazione narrativa, Carocci, Roma, 2017, p. 211.
Ivi, p. 83.
A. Ghosh, La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile, trad. it. Neri Pozza, Vicenza, 2017, p. 31.
Ibid.
Cfr. G. Corona, Breve storia dell’ambiente in Italia, Il Mulino, Bologna, 2015, p. 91: «Le realtà urbane italiane – grandi, medie e piccole – sono cresciute seguendo un processo di frammentazione casuale e disordinato e finendo non solo con il divorare territori agricoli e paesaggi di pregio, ma anche con l’aggredire aree esposte a rischio idrogeologico. In un territorio che, come si è visto, presenta una originaria fragilità geomorfologica per la qualità dei suoli e dei sistemi idrografici, l’impermeabilizzazione dei suoli, la cementificazione degli alvei dei fiumi e la loro deviazione, l’edificazione su aree di massima pendenza, l’estrazione di materiali dal letto dei torrenti hanno accentuato i fenomeni di dissesto».