di Simone Giusti

 

[Il primo articolo di questa serie si può leggere qui].

 

Quasi ogni università ha oggi dei corsi di studio dedicati alla didattica della letteratura, e tuttavia non è scontato riuscire a definire cosa vi si debba insegnare e, soprattutto, su cosa e con quali metodi si possa fare ricerca. Mancano poi dei dottorati di ricerca specifici che possano assicurare la costruzione di gruppi di lavoro in grado di programmare attività di ampio respiro (mentre esistono in Italia dottorati di ricerca in didattica dell’italiano e delle lingue moderne, didattica della matematica, della fisica, eccetera). La specializzazione, in questo settore, avviene per ora direttamente sul campo, visto che buona parte della ricerca è portata avanti da insegnanti di scuola secondaria che documentano la loro attività di insegnamento, partecipano alla gestione delle associazioni professionali locali o nazionali, svolgono attività di formazione per i docenti, insegnano a contratto nelle università o realizzano manuali e strumenti didattici per l’industria editoriale, oppure da docenti universitari che sono ex docenti di scuola secondaria, o hanno avuto occasione di conoscere la scuola grazie alla collaborazione con insegnanti coautrici o coautori di manuali scolastici di letteratura italiana. Si dà poi il caso di chi ha fatto esperienza come consulente in progetti di ricerca nell’ambito della formazione professionale, dell’orientamento e anche dei servizi educativi per l’infanzia (tutti settori di competenza delle Regioni) o direttamente con le istituzioni scolastiche autonome, che specialmente nell’istruzione professionale e tecnica, sono abituate a reperire fondi per risolvere, anche con gli strumenti della ricerca, specifici problemi didattici.

 

Qualunque sia il percorso compiuto, il fatto è che oggi la presenza di personale universitario che insegna didattica della letteratura nell’ambito dei percorsi di formazione per i docenti o nei corsi di laurea fa supporre che si assisterà, nei prossimi anni, a un incremento delle pubblicazioni scientifiche, delle collaborazioni tra università e scuole, e alla nascita di nuove riviste e collane specializzate che potrebbero accelerare il percorso di progressiva istituzionalizzazione di un campo di ricerca che, lo abbiamo visto, continuerebbe ad esistere, nei fatti, anche in assenza di una precisa identità scientifica, e che si sta comunque consolidando a livello internazionale. È il momento di fermarsi a riflettere e discutere su quanto avvenuto e su come procedere nel cammino intrapreso.

 

Di cosa si occupa la didattica della letteratura

 

E dunque qual è specificamente l’oggetto della ricerca della didattica della letteratura? Se pure è impossibile rispondere in poche battute, occorre ribadire l’importanza di tenere viva l’attenzione su questa domanda ineludibile. Le risposte possono essere cercate nel dibattito pubblico che ha interessato l’insegnamento letterario a partire dagli anni Settanta a oggi e, anche, nei dubbi e nei problemi che affliggono i laureati e le laureate in lettere impegnati professionalmente a scuola. In tal caso, si deve mettere in conto il rischio di rimanere schiacciati sul passato e sul presente, e di ridurre la funzione della ricerca ai soli bisogni del mercato pubblico dell’istruzione.

 

Per uscire da una visione esclusivamente utilitaristica occorre cercare anche altrove: nei bisogni di apprendimento dei cittadini e delle cittadine che frequentano l’istruzione obbligatoria, nei risultati della ricerca educativa e di tutte quelle discipline che ci forniscono informazioni utili a comprendere gli effetti della fruizione letteraria sulle persone, o, anche, a interpretare cosa accade a chi studia e legge letteratura a scuola oggi, quali sono i metodi e gli strumenti usati, che risultati ottengono e a quali condizioni, eccetera.

Soprattutto, per evitare di ridurre la ricerca alla risoluzione dei problemi già esistenti – che spesso sono creati dai metodi e dagli strumenti scelti – sarebbe importante mettere al centro dell’attività di ricerca non le opere letterarie e, in generale, la letteratura come oggetto culturale, bensì le interazioni letterarie, ovvero ciò che succede quando le persone interagiscono con le opere, dando vita a esperienze significative. I testi e la loro tradizione, sia che li prendiamo in considerazione come monumenti (testimoni della memoria culturale di una determinata comunità), sia che li trattiamo come opere (dispositivi artistici da fruire esteticamente), non interessano in sé ma nella loro relazione con quello che Spinazzola ha di recente definito “io leggente” (Spinazzola 2018), che in area francofona viene chiamato sujet lecteurscripteur (Massol 2022) e che è divenuto il paradigma dell’insegnamento letterario degli ultimi vent’anni.

 

Chi si occupa di didattica della letteratura, quindi, da una parte è interessato a conoscere i risultati delle ricerche condotte sugli effetti, le condizioni e le motivazioni dell’esperienza letteraria, dall’altra è spinto a sviluppare la capacità di indagare quel tipo di esperienza, specialmente quando si svolge nei contesti educativi e con soggetti di una determinata età, cultura, lingua eccetera. Comportamenti come la lettura, la scrittura e la condivisione dei prodotti della lettura e della scrittura, già indagati dalla sociologia della letteratura, dalla sociologia della narrazione, dagli studi sull’esperienza estetica, dalla psicologia della fruizione narrativa, dalla poetica cognitiva e dall’antropologia culturale, possono essere studiati grazie alla conoscenza di una letteratura scientifica che si colloca sul confine degli studi letterari o nel campo della teoria letteraria e della letteratura comparata, e che sempre più integra i saperi delle scienze della vita e delle scienze sociali con i saperi propri degli studi umanistici.

 

Per quanto la didattica della letteratura abbia preso forma nel contesto degli studi letterari, laddove prevalgono approcci filologici, storici ed ermeneutici, essa non può permettersi di rinunciare all’apporto di quei metodi e approcci di ricerca che consentono di avere informazioni su cosa accade alle persone che assumono dei comportamenti letterari, ovvero che leggono romanzi e ne parlano con gli altri, che ascoltano letture ad alta voce o che parlano dei libri letti o, anche, ne scrivono di propri.

 

Per una classificazione dei metodi

 

Seguendo le orme di due studiosi francesi, Florey e Cordonier (2019), nel mio recente manuale dedicato alla ricerca e all’insegnamento universitario della didattica della letteratura (Giusti 2023) propongo di catalogare i metodi di ricerca in quattro categorie:

 

  • ricerca teorica
  • ricerca descrittiva
  • ricerca sperimentale
  • ricerca-azione.

 

A partire da queste categorie, Florey e Cordonier hanno notato come, tra il 2001 e il 2005, agli esordi di questo nuovo campo di ricerca, dominasse la ricerca teorica: una categoria abbastanza generica, usata per descrivere quegli studi fondati sulla speculazione e sull’argomentazione, più vicini alle strategie di ricerca tradizionali degli studi letterari, caratterizzati dall’assenza di un protocollo esplicito e dalla centralità assegnata all’interpretazione. Può trattarsi di argomentazioni su un problema teorico posto dall’apprendimento-insegnamento della letteratura, che può essere indagato facendo riferimento ai metodi di insegnamento, ai programmi o ai manuali, oppure di studi più marcatamente critici – e anche polemici – sulla letteratura e sul suo insegnamento, o anche di lavori che prendono in esame alcuni aspetti della letteratura (l’analisi di un testo, un problema letterario, un genere, eccetera) dal punto di vista di un’eventuale applicazione didattica. Con la progressiva diminuzione del numero di ricerche teoriche, notano i due studiosi, si è assistito a un incremento delle ricerche descrittive: studi storici, analisi strutturate di corpora di testi (normativa, manuali, eccetera), inchieste, studi di caso, analisi delle produzioni degli allievi o degli insegnanti in formazione.

 

Gradualmente, in seguito a una maggiore istituzionalizzazione e internazionalizzazione della didattica della letteratura, è poi aumentato il ricorso ai metodi della ricerca educativa, con un prevalere degli approcci qualitativi. I metodi della ricerca sperimentale e della ricerca-azione sono rimaste pressoché stabili negli ultimi vent’anni, occupando circa il dieci per cento degli studi del settore. Si tratta d’altronde di metodologie di ricerca che richiedono la collaborazione di più competenze disciplinari e la costituzione di gruppi di ricerca che agiscono sulla base di protocolli condivisi, e quindi distanti dalle consuetudini degli studi letterari.

 

Nello specifico, la ricerca sperimentale nell’area educativa è volta a misurare l’impatto di un determinato intervento didattico su una popolazione di studenti, i cui risultati sono messi a confronto con quelli di un gruppo di controllo, mentre la ricerca-azione intende trasformare dall’interno un determinato contesto educativo e le relative pratiche didattiche attraverso il coinvolgimento diretto di chi insegna. I risultati di una ricerca-azione, espressi in forma discorsiva, sono volti a documentare e descrivere il processo, non puntano a produrre risultati replicabili – che è invece lo scopo specifico della ricerca per esperimento – ma mirano ad aumentare la consapevolezza dei partecipanti e a migliorare la qualità della didattica.

 

Non disponiamo di classificazioni sistematiche per il caso italiano, ma alla luce delle mie conoscenze credo di poter affermare che in Italia la ricerca sia tuttora più sbilanciata sul versante teorico di quanto non fosse quella francese di vent’anni fa, nonostante si assista a un graduale incremento dell’interesse per i dati raccolti sul campo attraverso l’osservazione delle pratiche didattiche da parte di chi insegna e scrive articoli o manuali a partire dalla riflessione sulla propria esperienza in aula (per esempio in Poletti Riz 2017; Brovia 2018; Carnero 2020; Zinato 2023) . Per la ricerca-azione, poi, possiamo segnalare il caso eccezionale del progetto Compìta (Tonelli 2013), che ha rappresentato un primo embrione di ricerca trasformativa, e che probabilmente avrebbe avuto ben altro impatto se avesse fatto ricorso a un maggiore rigore metodologico e alla collaborazione della ricerca educativa.

 

Sperimentazioni o quasi

 

Se in ambito scolastico con il termine sperimentazione intendiamo, secondo quanto previsto dalla legge 419 del 1974, un’attività tesa alla «ricerca e realizzazione di innovazioni sul piano metodologico-didattico», allora non c’è dubbio che nelle scuole italiane si conduca un certo numero di sperimentazioni. In realtà, trattandosi spesso o quasi sempre di iniziative promosse da scuole e da gruppi di docenti che si candidano a mettere alla prova le loro ipotesi di lavoro e poi a scrivere dei resoconti delle attività svolte, sarebbe più appropriato parlare di ricerca descrittiva o, anche, di documentazione didattica, una forma di scrittura professionale abbastanza praticata anche da insegnanti di lingua e letteratura che contribuisce al miglioramento della pratica attraverso la riflessione sull’esperienza (Sposetti 2013, pp. 218-219).

 

Raccontare le cosiddette “buone pratiche” di docenti che volontariamente mettono alla prova nelle loro classi determinati approcci, tecniche o metodi didattici, per quanto sia utile alla costruzione di una comunità scolastica fiduciosa nelle proprie possibilità, non è ancora un’attività di ricerca, così come non possiamo considerare dei prodotti di ricerca i manuali scolastici, che anche nei casi più riusciti e fortunati rappresentano degli strumenti didattici la cui elaborazione è determinata da esigenze di mercato e dalle regole dell’industria editoriale, e il cui impatto dipende sempre e comunque dal contesto e dall’uso che ne viene fatto in ogni classe (e questo sarebbe un interessante oggetto di ricerca).

 

Per parlare di ricerca sperimentale, e quindi pervenire a dei risultati di ricerca generalizzabili, basati sull’evidenza, pubblicabili su riviste o in collane editoriali scientifiche nazionali o internazionali e utili al progresso della disciplina e a quelle politiche scolastiche – che, come auspicato da Gianluca Argentin (2021, p. 170), dovrebbero essere guidate da una prospettiva evidence-informed e non su prese di posizioni ideologiche –, occorrerebbe mettere in campo ben altre competenze e altri strumenti, che possiamo acquisire dall’area della pedagogia sperimentale, dalla ricerca internazionale in didattica della letteratura (per una sintesi: Giusti 2023, pp. 94-110), o, anche, dalla ricerca empirica pratica nell’ambito degli studi letterari (Nemesio 2012).

 

Infine, per dare davvero valore all’esperienza di chi insegna e per fornire informazioni necessarie ad affrontare l’insegnamento alle nuove generazioni di docenti, diventa urgente e necessario acquisire quell’atteggiamento scientifico che spinge a considerare l’esperienza come uno stimolo a cercare nuove soluzioni e, anche, a mettere costantemente in dubbio le metodologie più consolidate e le stesse regole della comunità scientifica. Un atteggiamento – si legge in un saggio di John Dewey del 1939 tradotto da Pietro Lucisano (2000, pp. 33-37) – che corrisponde con «il desiderio di ricercare, esaminare, discriminare, tracciare conclusioni solo sulla base dell’evidenza, dopo essersi presi la pena di raccogliere tutti i dati disponibili», e con la consapevolezza che «i fatti sono privi di senso a meno che non indichino idee» e che queste ultime sono anche «ipotesi di lavoro da verificare sulla base delle conseguenze che producono».

 

Riferimenti bibliografici e approfondimenti

 

ARGENTIN G. (2021), Nostra scuola quotidiana, il Mulino, Bologna.

BROVIA R. (2018),  A scuola con i classici. Lo studio dei testi letterari nella scuola secondaria di primo grado, in Insegnare italiano nella scuola secondaria, a c. di E. Ardissino, Mondadori Università, Milano, pp. 17-37.

CARNERO R. (2020),  Il bel viaggio. Insegnare letteratura alla generazione Z, Bompiani, Milano.

FLOREY S., CORDONIER N. (2019), Dix-sept années de recherches en didactique de la littérature (2001–2016). Typologie, histoire, perspectives, in N. Denizot, J-L. Dufays, B. Louichon (éds.), Approches didactiques de la littérature. Nouvelle édition, Presses universitaires de Namur, Namur.

GIUSTI S. (2014), Per una didattica della letteratura, Pensa Multimedia, Lecce-Brescia.

GIUSTI S. (2023), Didattica della letteratura italiana. La storia, la ricerca, le pratiche, Carocci, Roma.

LUCISANO P. (2000), L’unità della scienza come problema sociale di John Dewey, «Cadmo», 22, pp. 33-37.

MANGANARO A. (2020), Per la didattica della letteratura italiana, Bonanno, Roma.

MASSOL J.-F. (2022), Le sujet lecteur-scripteur: brève histoire française d’un paradigme didactique contemporain, «Effetti di Lettura / Effects of Reading», 1, 1, pp. 17-29 (https://doi.org/10.7347/EdL-01-2022-02)

NEMESIO A. (2012), La ricerca empirica negli studi letterari: lo studio della lettura, «Fictions», 11, pp. 11-23.

POLETTI RIZ J. (2017), Scrittori si diventa. Metodi e strumenti per un laboratorio di scrittura in classe, Erickson, Trento.

SPINAZZOLA V. (2018), Critica della lettura. Leggere, interpretare, commentare e valutare un libro, goWare, Firenze.

SPOSETTI P. (2013), Documentare la didattica, in P. Lucisano, A. Salerni A., P. Sposetti (a cura di), Didattica e conoscenza. Riflessioni e proposte sull’apprendere e l’insegnare, Carocci, Roma, pp. 211-222.

TONELLI N. (a cura di) (2013), Per una letteratura delle competenze, Loescher, Torino.

ZINATO E. (a cura di) (2022), Insegnare letteratura. Teorie e pratiche per una didattica indocile, Laterza, Roma-Bari.

1 thought on “Istituzioni di didattica della letteratura /2: La ricerca

  1. Forse è una mia impressione ma mi sembra che questo articolo, mentre parla di “sperimentazioni”, tenda in realtà a sottrarre valore all’esperienza degli insegnanti e a qualunque forma di elaborazione culturale e pedagogica che non rientri nel ristretto campo di validità delimitato abbastanza artificiosamente dall’autore dell’articolo.

    La delegittimazione degli insegnanti – i meno titolati, secondo qualcuno, a parlare del proprio lavoro e apprezzabili solo nella misura in cui siano disponibili a consegnarsi senza condizioni alle indicazioni o imposizioni degli “esperti” – non è certo una novità. Ciò che colpisce, in queste righe, è invece una certa autoreferenzialità nel considerare “attività di ricerca” – non si capisce se coincidente o meno con la “sperimentazione” rigorosa ma comunque grazie a “ben altre competenze” rispetto a quelle degli insegnanti – solo quella svolta nel campo di interesse dell’autore dell’articolo, le ipostatizzate “ricerca internazionale in didattica della letteratura” e “ricerca empirica pratica nell’ambito degli studi letterari”, di cui l’autore si sarà di certo un importante rappresentante, cui si aggiunge naturalmente l’area della “pedagogia sperimentale” (Corsini, immagino).

    L’impressione, a dirla tutta, è che il sottinteso dell’articolo sia “la ricerca siamo noi”; eppure nell’articolo, anche nella parte finale comprensiva delle citazioni di Dewey, non sembra che la categoria della scientificità e la prospettiva “evidence informed”, che dovrebbe prendere il posto di “prese di posizione ideologiche” (ma sappiamo che non c’è niente di più ideologico della pretesa dell’oggettività), siano definite in modo così chiaro e univoco. E il rischio di considerare Scienza le proprie posizioni – con un cherry-picking mirato tra teorie e autori congeniali – è sempre altissimo, specie nelle scienze umane.

    “I presupposti ideologici intervengono non soltanto (e una volta per tutte) nella formulazione del tema, ma anche, via via, nella scelta delle fonti e della bibliografia, nella loro lettura e interpretazione, nell’esposizione dei risultati della ricerca. In tutte queste fasi la possibilità di lapsus e di autocensure dettate da presupposti ideologici (e non) è infinita. Le testimonianze che tendono a invalidare le premesse iniziali vengono involontariamente soppresse, o confinate pudicamente in una parentesi o in una nota
    a piè di pagina. A ogni passo lo storico si trova a lottare con la tentazione irrazionale di confermare i presupposti da cui è partito, di trovare a ogni costo quello che sta cercando. In questo contesto, anche l’ipotesi non è, come sostengono i manuali di metodologia, un disinteressato tentativo di verifica, ma una domanda carica di speranza che viene rivolta alla documentazione” (Carlo Ginzburg, Adriano Prosperi, Giochi di pazienza, Macerata, Quodlibet, 2020 [1975], pp.194-195).

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