a cura di Lorenzo Mari e Gianluca Rizzo

 

[Qualche mese fa, Lorenzo Mari e Gianluca Rizzo hanno dato avvio un un’indagine, in forma di questionario, sulla valenza sociale della poesia contemporanea. Dopo Ivan Schiavone, Charles Bernstein, Marilina Ciaco, Nathalie Quintane e Rachel Lamoureux, ospitiamo oggi un contributo di Michele Zaffarano.

I testi qui presentati sono stati occasionalmente pensati e scritti per l’installazione e azione teatrale di Antonio Syxty Through the Night Softly, prodotta da Manifatture Teatrali Milanesi al Teatro Leonardo di Milano dal 4 al 14 maggio del 2023, con la collaborazione di Susanna Baccari. Sono di prossima pubblicazione per Tic Edizioni, con il titolo originale: Tre movimenti e una stasi].

 

Michele Zaffarano

Due movimenti

 

 

Primo movimento

 

Va bene, adesso prendiamo e cominciamo a pensare, adesso ci mettiamo a riflettere sul fatto che ci stiamo raccogliendo tutti quanti noi che siamo qui, noi che qui ci siamo incontrati e qui ci siamo raccolti, noi che cominciamo a raccoglierci qui, e allora infatti raccogliamoci, allora, visto che veniamo qui per raccoglierci, e che ci stiamo raccogliendo per partire, ci stiamo per mettere in movimento, adesso ci stiamo infatti per muovere, e ci stiamo per mettere tutti quanti in movimento, tutti quanti, non noi soltanto, anche gli altri che sono diversi da noi, ma che come noi si sono messi e si sono raccolti qui assieme con noi, perché assieme con noi ci sono tutti quelli che formano il gruppo in cui ci stiamo raccogliendo, in cui ci troviamo già raccolti e assembrati e assommati, e siamo quindi tutti quanti noi assieme, e stiamo usando e sfruttando e contando sul gruppo di persone che tutti quanti assieme noi e gli altri stiamo formando per muoverci in avanti lentamente, con lentezza e ponderatezza, per pensare a noi tutti quanti assieme che ci muoviamo assieme, al gruppo di noi tutti quanti assieme, e poi stiamo per forza pensando tutti quanti al fatto che ci stiamo muovendo per muoverci nella direzione dell’avanti, verso quello che ci sta davanti, verso l’ignoto, verso lo sconosciuto, verso il ricamato nascosto ibrido, che lo stiamo progettando, stiamo pensando tutti quanti al fatto che siamo tutti quanti circondati da altre persone che si stanno muovendo tutte quante come noi, così com’è che facciamo anche noi, che ci muoviamo tutti quanti all’unisono quasi, e pensiamo solo a una cosa, cioè a muoverci e ad andare avanti, pensiamo solo ad attraversare questi spazi per andare da qualche parte, per raggiungere un posto che non sappiamo bene qual è e dov’è, un posto che sta da qualche altra parte, e che non sta qui dove siamo adesso, magari sta qualche altro passo più in là, sempre che ci arriviamo a qualche altro passo più in là, sempre che ce la facciamo ad arrivarci a quel passo, e stiamo già riflettendo sul fatto che stiamo per proseguire tutti quanti assieme anche se in fondo nessuno conosce nessuno altro di quelli che stanno qui, o solo alcuni, comunque pochi, e che ci faremo trovare un po’ più in là, e là saremo tutti uguali, e avremo tutti quanti la stessa voglia di proseguire, avremo tutti quanti la stessa intenzione ed estensione del proseguire, penseremo tutti quanti di essere brutti, oppure penseremo tutti quanti di essere belli e interessanti, e notevoli per lo sforzo che facciamo, e per l’intelligenza che tiriamo fuori e ci mettiamo quando facciamo questo sforzo non indifferente di andare sempre nella direzione dell’avanti, senza guardare troppo nella direzione dell’indietro, senza guardare troppo per il sottile, senza recriminare su quasi niente, ed ecco che ci stiamo già muovendo, ecco che ci siamo già concentrati sul nostro sforzo, e sul nostro obiettivo e fondamento di muoverci nella direzione dell’avanti, di andare nell’avanti e di riflettere, oramai vogliamo solo pensare al fatto che ci stiamo muovendo, e quindi per esempio ci stiamo guardando, e ci stiamo guardando con un certo interesse, e con una certa partecipazione, e con una certa solidarietà, ognuno di noi si sta dicendo, volevo andare avanti da solo però adesso sono qui, e ci stanno tutti questi altri altri, e ci stiamo guardando tutti quanti assieme, ma chi è poi questo mio altro vicino, è a questo che pensiamo mentre ci muoviamo da qui, stiamo pensando che magari c’è un modello che rende più facile il fatto di pensarci tutti quanti assieme, il pensiero di pensare a noi, e allo stesso tempo il pensiero di pensare a tutti quanti gli altri che adesso ormai formano il noi di tutti quanti presi assieme, di pensare a chi sono quelli che ci circondano, e ci accantonano, chi sono quelli che sono i nostri vicini, al pensiero che i nostri vicini sono semplicemente quelli che sono proprio qui adesso con noi adesso, i nostri vicini sono quelli che si stanno muovendo esattamente adesso com’è che facciamo anche noi, e che si muovono e pensano di muoversi nello stesso istante in cui lo facciamo anche noi, sono quelli che si stanno spostando esattamente come facciamo anche noi, quelli che stanno facendo le scale, e si stanno scendendo le scale un gradino alla volta, e stiamo tutti quanti affrontando questo sforzo assieme a quelli che ci stanno a fianco, e affrontiamo questo comune sforzo autonomo ma comune assieme ai nostri vicini, ci stiamo anche avvicinando all’idea e al pensiero che sappiamo e ci domandiamo chi sono i nostri vicini, che cosa hanno fatto queste persone che ci stanno a fianco per essere venute qui anche loro a camminare assieme a noi, per partecipare anche loro a questo sforzo che ci porta verso una meta comune, verso un punto dove ci fermeremo tutti quanti noi e i nostri vicini, questi vicini che conosciamo qui adesso ma che in realtà non sappiamo bene con chi abbiamo a che fare, non sappiamo per esempio di che colore hanno gli occhi, questi nostri vicini di adesso, non sappiamo se hanno la camicia o la maglietta, non sappiamo se portano i boxer o gli slip o le brasiliane, non sappiamo bene che scarpe hanno, non sappiamo se le stringhe sono allacciate a otto o a dieci o a dodici buchi, e allora cominciamo a pensare che stamattina ci ritroviamo tutti quanti dentro a questo spazio, pronti a raggiungere un punto di sutura comune e comunista e dipendente, ma poi anche autonomo e indipendente, sempre comune e comunizzato nello spazio-tempo che per adesso è comune accomunato di tutti noi e di tutti gli altri, e poi dopo ma solo dopo prende una certa distanza, e accoglie una certa distanza che ci separa, e scioglie il fatto che adesso siamo tutti un noi unico e solo e individuabile visto dall’alto, e che invece per adesso non funziona come separazione ma solo come congiungimento e accomunamento, e che ci porta a confrontarci in questo momento, a realizzare che i pensieri che facciamo in questo momento, e all’interno di questo piccolo angolo di spazio-tempo, sono pensieri semplicissimi facilissimi utilissimi, sono pensieri circondanti, e avvolgenti, e rifrangenti, e circostanti, e sono pensieri tutti tesi alla tensione sana e allegra, sono pensieri che aggiustano il nostro modo di pensare alla realtà di noi che attraversiamo questa porzione di spazio-tempo per fermarci a un certo punto, per arrivare a un certo punto quando ci dicono, adesso basta, adesso fermatevi, e lì appunto, poi, adesso fermiamoci.

 

Secondo movimento

 

E adesso invece ci troviamo in questa situazione di stare nel mezzo, e dal dentro di questa situazione di stare in mezzo a tutte le nostre cose che stiamo mettendo assieme da qualche momento ci stiamo già in realtà un po’ muovendo, siamo qui nel dentro di qualche cosa che stiamo facendo, che stiamo continuando a fare, davanti abbiamo tutte queste scale, ce le abbiamo oramai anche dietro, e possiamo anche dire che le conosciamo, queste scale, che le affrontiamo e le conosciamo, che le pratichiamo con la conoscenza, che è anche una conoscenza pregressa delle scale, magari non proprio di queste scale che abbiamo qui, magari di altre scale, perché sì, sul fondo le scale sono tutte simili, si assomigliano tutte simili, hanno delle somiglianze di famiglia tutte simili, e questo fa sì che quando abbiamo fatto una scala capiamo subito com’è che possiamo fare tutte le altre scale, però per adesso è lo stesso, il discorso non cambia, fila lo stesso, significa che ci mettiamo a fare le scale con una certa cognizione pregressa e implicita, e naturale di causa, le scale non ci fanno più paura, le abbiamo appena fatte, e le possiamo benissimo continuare a fare, non abbiamo più paura delle scale, magari non ne avevamo nemmeno prima, di paura delle scale, però adesso siamo sicuri che non ne abbiamo più, siamo impavidi, siamo coraggiosi, siamo temerari, magari quand’è che dobbiamo votare alle elezioni politiche votiamo senza coraggio, votiamo solo perché abbiamo la pura paura, e la pavidità, perché ci fanno paura questo e quello, però adesso in questa situazione non abbiamo paura, siamo spaurati, ed è diverso da quando non siamo ancora partiti, perché le scale oramai non ci incutono nessun timore, oramai ne siamo familiari, oramai ci siamo familiarizzati con tutte queste scale che hanno ognuna tutta la loro forma, e tutta la loro particolarità, e tutta la loro peculiarità, e tutta la loro originalità propria, e siccome siamo arrivati scendendo, allora continuiamo a scendere ancora un po’ di più, e facciamo ancora un altro sforzo, e scendiamo ancora un po’ di più, visto che siamo già in una situazione di mezzo a tutte queste scale, e visto che però questa situazione non ci basta, sentiamo che dobbiamo continuare ancora, ce lo stanno dicendo infatti, che dobbiamo andare ancora un po’ nella direzione dell’avanti, che dobbiamo andare più sotto, e scendere più sotto, più in basso, anche perché adesso come adesso abbiamo solo due possibilità, o risaliamo le scale e questo significa che torniamo indietro, o le scale le prendiamo e le facciamo a scendere, cioè appunto scendiamo tutti quanti noi che siamo qui adesso con tutti quanti i nostri corpi che ci seguono, e ci muoviamo quindi nella direzione della discesa, e allora prendiamo e scendiamo, ed è oltretutto la cosa più naturale da fare, visto che qui ci siamo arrivati scendendo, se risaliamo invece magari finisce che cancelliamo tutto quello che abbiamo fatto fino adesso, tutta quella parte di viaggio che abbiamo messo assieme fino adesso, finisce che torniamo da dove siamo partiti senza che abbiamo combinato nulla, e invece adesso qualcosa abbiamo già combinato, visto che siamo in una situazione dello stare nel mezzo di qualche cosa, non siamo più quindi nella situazione dell’inizio, e siamo a un certo punto di qualche cosa, non sappiamo bene a che punto, prima siamo fermi e adesso ci stiamo muovendo di nuovo per andare verso il basso, siamo ripartiti dopo una stasi, ci siamo rimessi dentro nel viaggio continuando la direzione del viaggio che avevamo già preso prima, cioè verso la direzione dell’avanti, e allora andiamo nell’avanti, osserviamo per un momento queste scale e le scendiamo sempre tutti quanti assieme, sempre accanto l’uno dell’altro, sempre però senza parlare, abbiamo sempre paura di parlare con quello che ci sta vicino, magari quello che ci sta vicino già lo conosciamo e gli parliamo, magari invece non lo conosciamo, e nemmeno gli parliamo, e non gli chiediamo niente, e non cerchiamo di entrare nei dettagli della sua vita, e magari lo dobbiamo fare, il viaggio ci dice che lo dobbiamo fare perché il viaggio accomuna, il viaggio mette assieme tutte le cose, il viaggio di chi fa il viaggio spinge alla solidarietà di gruppo, spinge a formare gruppi e gruppettini più grandi, spinge alla solidarietà di zona, a fare i solidali fra i vicini che fanno le cose dello stesso viaggio, e allora noi possiamo anche metterci qui e chiedere al nostro vicino del viaggio quanti anni ha, se magari a casa ha lasciato qualcuno che gli interessa o gli piace o gli preoccupa, se ha mangiato qualche cosa e magari proprio che cosa hai mangiato, qual è l’ultima cosa che ti ricordi che hai mangiato, caro vicino delle mie cose del viaggio, e poi magari di che cosa ti occupi alla mattina quando ti risvegli alla vita, caro vicino, noi tutte queste cose le possiamo chiedere, però dopo invece non le chiediamo, nemmeno adesso le chiediamo, è sicuro che non le chiediamo, stiamo soltanto qui a muoverci con tutta la calma che ci permette il caso di essere vicini e attaccati vicini l’uno dell’altro, tutti quanti assieme, tutti quanti rilassati, senza fretta, come se qualcuno ci sta guidando lentamente, con determinazione, e con attenzione, e con delicatezza, e con rilassatezza, e magari anche con un filino di apprensione, perché possiamo sempre cadere, possiamo sempre scivolare sui gradini delle scale e farci male, sulle scale c’è sempre qualcuno che scivola e si fa male alla schiena, oppure si fa male a un dito, e magari il dito è l’anulare sinistro, magari gli sfugge il corrimano di mano e si fa male, e allora quelli che ci guidano in realtà ci stanno attenti, e ci controllano, e ci parlano, e ci dicono delle cose da lì dove sono nell’ombra, ci seguono, ci stanno addosso, ci danno molte attenzioni per noi, e noi invece neanche parliamo tra di noi, non ci rivolgiamo l’attenzione, oppure lo sguardo, oppure la parola, oppure la mano, per non scivolare anche se non stiamo scivolando, e invece noi non ci preoccupiamo, continuiamo a camminare seguendo le cose che riguardano il nostro viaggio che stiamo facendo adesso, seguendo la nostra direzione del viaggio, andando dove dobbiamo andare, che poi non è che lo sappiamo dove dobbiamo andare, neanche dove stiamo andando, poi però è lì che stiamo andando, è verso quel punto lì che non sappiamo neanche dov’è che ci stiamo muovendo, e prima o poi arriviamo a un’altra stasi, e ce lo diciamo e lo speriamo pure, che arriviamo a un’altra stasi, ci diciamo che ci fermiamo, che molto probabilmente ci stiamo già per fermare, e però non lo sappiamo bene, non si sa mai com’è che funziona, com’è probabile che funziona, com’è probabile che funziona così, e quindi continuiamo a camminare, e stiamo attenti a dove mettiamo i piedi, e poi c’è anche l’altro fatto, che magari ci stiamo mettendo a cercare di parlare con i nostri vicini, dire due cose delle cose del viaggio alle persone con cui siamo viaggianti assieme, e poi invece non facciamo niente, perché se parliamo finisce che poi si rompe subito l’atmosfera, e ci sentiamo costretti a mettere fuori le cose che stanno dentro del viaggio, e questa non è una cosa che si fa, non ci va di farla, di mettere al fuori le cose del dentro, non è una cosa che abbiamo voglia di fare, in questo momento stiamo camminando, poi scendiamo, e mettiamo un passo dopo l’altro passo, e il passo che viene dopo è sempre più in basso rispetto al passo che viene prima, e anche le persone dei vicini che ci stanno a fianco le vediamo che scendono a scatti pure loro, tac tac tac, una spalla giù, tac tac, un’altra spalla giù, e va tutto così, scendiamo tutti quanti così, siamo tutti quanti contenti che scendiamo tutti così, non ci pensiamo, e non ci preoccupiamo, perché in fondo siamo contenti anche così.

1 thought on “Poesia, prima persona plurale /5: Michele Zaffarano

  1. Michele Zaffarano un genio … Le cosmicomiche come prospettiva di scrittura e di lettura, alla “Tutto in un punto”.
    Grazie “Le parole e le cose”

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