a cura di Franco Buffoni
[E’ uscito da qualche giorno per Marcos y Marcos il XVI quaderno italiano di poesia contemporanea, a cura di Franco Buffoni. In questa edizione figurano i testi di Michele Bordoni, Marilina Ciaco, Alessandra Corbetta, Dimitri Milleri, Stefano Modeo, Noemi Nagy, Antonio Francesco Perozzi. Presentiamo la premessa di Buffoni e due testi per ogni poeta].
PREMESSA
di Franco Buffoni
Dopo trentadue anni di esperienza nella curatela dei Quaderni, posso dire di avere una vita binariamente ritmata. Pair e unpair, come la biennale di Venezia: negli anni dispari l’uscita, negli anni pari il cfp. Questi papers, giunti a Massimo Gezzi nell’ordine delle centinaia, che ormai sono tali solo nominalmente da più di un decennio, e assomigliano sempre di più a un cinguettio informatico, che diviene cartaceo solo in dirittura d’arrivo, grazie all’indispensabile collaborazione dei membri del Comitato di Lettura: oltre a Gezzi, Umberto Fiori, Fabio Pusterla, Claudia Tarolo, Marco Zapparoli.
Il primo dato che colpisce scorrendo l’indice di questo XVI Quaderno è costituito dai titoli delle sette sillogi. Ben tre di essi (Il duca di Sullun di Michele Bordoni, Nel pieno di nor di Dimitri Milleri, bottom text di Antonio Francesco Perozzi) necessitano di una chiave interpretativa. Che puntualmente poeti e prefatori forniscono al lettore. È Cristiano Poletti prefatore di Bordoni, storico oltre che poeta, a riportarci al tempo di Luigi XIV, del fratello Filippo di Orléans e del misterioso prigioniero con la maschera di ferro, divenuto duca di Sullun. E Sullun è anagramma di Nullus.
Ed è nuovamente Gezzi, in qualità di prefatore, a ricordarci – citandolo – che il musicista e librettista Dimitri Milleri con nor intende alludere all’operatore logico che nega la valutazione delle possibilità implicata da “or”, inteso dal poeta come l’operatore del né-né. Un avverbio inglese dunque, scagliato con eleganza contro il Re Sole.
Mentre dove intende portarci Antonio Francesco Perozzi proponendo il termine bottom nel suo titolo? Come non manca di rilevare la prefatrice Gilda Policastro, il “bottom text” è propriamente la parte testuale inferiore del meme, un contenuto digitale che diventando virale va a costituire un format, una cornice che si applica a situazioni diverse. Ma bottom non può non rimandare anche alla sottomissione, contrapposta a top. Conclude allora la sua disanima del titolo Policastro con una domanda: qui a che cosa si sottomette il soggetto osservante?
Sempre a proposito di titoli curiosi, se Sempreverde di Alessandra Corbetta, con la sua storia scritta “da custodire”, mi ricorda “Ridiverde”, il nick che Giovanni Pascoli affibbiò all’amico Severino Ferrari, dedicatario dei versi di Romagna, Partire da qui di Stefano Modeo risuona in me col suo “da qui io invece ora me ne vado, non resto” quasi come un controcanto al capolavoro di Troisi Ricomincio da tre. Mentre da quando ricevetti il dattiloscritto di L’osso del collo da Noemi Nagy non riesco in prima battura a non pensare al memorabile Macello di Ivano Ferrari. Infine Gli anni del disincanto di Marilina Ciaco non possono che far riecheggiare in me, zanzottiano convinto, quell’Aure e disincanti che raccoglie i saggi e gli interventi del poeta di Pasque.
Il termine “disincanto”, tuttavia, potrebbe costituire un buon denominatore comune per tutt* i poeti e le poete rappresentati/e in questo Quaderno. E qui non riesco a impedirmi di compiere una riflessione come autore di Betelgeuse e altre poesie scientifiche. Perché il disincanto consegue all’avvenuto assorbimento – da parte dei più avveduti tra gli appartenenti alle nuove generazioni – anche del quarto micidiale convincimento, dopo i primi tre. Con Galileo si perse infatti la centralità della Terra nel Creato; con Darwin, come insegna Antonella Anedda non a caso associandolo a Leopardi, si perse la centralità dell’Uomo tra le Creature; e con Freud la centralità del libero arbitrio nelle nostre scelte.
Il quarto convincimento è giunto come settimo sigillo con Alan Turing, a scardinare la centralità del nostro cervello, alias la sua insostituibilità. Solo noi, prima, almeno sapevamo giocare a scacchi… Non è più vero. E il passaggio dal cyborg all’alieno e alle porte.
Come ha osservato Roberto Cescon, “specie tra gli autori più giovani, vi è un più intenso riferirsi alla dimensione biologica e neurocognitiva dell’essere umano, al suo essere incarnato e situato nell’ambiente (per esempio, accostando nella stessa scena eventi che coinvolgono particelle elementari a altri di natura cosmologica o geologica, o scomponendo il percepire nella sua materialità organica e inorganica). Sembra emergere un’idea di poesia come un’esigenza cognitiva della specie”. Benvenute e benvenuti, dunque, nella modernità giovani autrici e autori, ci (ma soprattutto: vi) attendono nuove sfide, intellettuali e poetiche.
Le sillogi che questo Quaderno raccoglie registrano come un sismografo quanto di nuovo si sta muovendo nella poesia italiana ad opera delle ultime generazioni. Poete e poeti che non si fanno più alcuna illusione circa la possibilità di incidere sulla realtà del mondo in cui viviamo, ma che questa realtà non possono fare a meno di fotografare e di trasmettere filtrata attraverso la mediazione artistica.
Ai prefatori che, oltre a quelli già menzionati, sono i colleghi di Giuria Umberto Fiori e Fabio Pusterla, nonché Stefano Colangelo e Paolo Febbraro, va la mia sincera gratitudine. Perché l’intera “operazione Quaderno”, come sempre basata sulla più assoluta liberalità e gratuità, si regge sul delicato equilibrio costituito da sette poeti/e che comprendono quanto sia proficuo sostenere anche il lavoro di altri sei colleghi promuovendo il Quaderno, coniugato al reale approfondimento critico individuale che i prefatori compiono sul loro lavoro.
*
Michele Bordoni
IL DUCA DI SULLUN
L’anima, il cocchio a due cavalli di Platone,
vi penso in aeroporto, a motori accesi,
in fase di rollaggio sulla pista.
È metà ottobre, ancora verde l’erba
ai lati del cemento.
………………………………….Vi penso come a una corsa
frettolosa, anticipata
se poi la paragono alla fermezza
titanica dei fiori a inizio autunno,
fedeli al loro stelo anche nel vento
rovente delle eliche.
Tὰ φαινόμενα σῴζειν[1], salvare i fenomeni
e anche i dettagli, il folto della terra.
Rianimare l’autunno, inabissarsi
e trovare un azzurro di rimando
anche nel cocchio infranto a terra,
………………………………….chissà dove
………………………………….l’auriga.
Questa porzione d’aria che mi vive
e che sorvola lenta
appena oltre un giogo di colline
la lunga cavalcata della luce
fino al suo largo respiro di crepuscolo,
le danno il nome d’anima, di voce
che varca e che riassume in un’immagine
la distesa vischiosa dei frammenti
attraversata dal vento.
………………………………….Anima sarebbe invece
ridursi alla clausura del mio limite,
trovare la misura della carne,
il suo ostinato indossare la vita.
Se la materia è immobile, conclusa,
bisogna essere esatti, definirsi,
per imparare dalle creature minime
la geometria segreta della croce.
*
Marilina Ciaco
GLI ANNI DEL DISINCANTO
Timer (da attivare per lo svolgimento del test)
Alla fine del nastro c’è sempre un altro nastro. Il timer sarà attivato appena prima della fine del nastro. Qualche tempo dopo il timer segnerà che il suo tempo è scaduto, ma adesso sa che a ciascun intoppo corrisponde la stessa risposta. Forse. Se davvero così fosse (si ferma, cade, si riavvolge) allora nessuno potrebbe più stupirsi di tutto questo. Quando scrivo «tutto questo» mi riferisco a una stanza scontornata ma compatta, i pezzi di intonaco a vista, una stanza scrostata che nessuno abita e che vorrei tu credessi vera. Vorrei che tu ci credessi. Ricorda che il problema delle vocine è che sono tutte vere. Il dispositivo è stato attivato, avverte un forte senso di sollievo.
Quando arrivava la sera Adler diceva sempre me lo ricordo, Occhiblu, quando eri viva. Lo diceva in particolare nelle sere d’estate, forse perché l’afa lo annoiava e non c’è mai davvero qualcosa da dire. Me lo ricordo quando eri tutta occhi e bocca e vita. A volte aveva pensato è strano che una persona sola potesse desiderare tanta vita. La bellezza quando la scopri tardi è violenta e vuole tutto, vuole esistere nella carne, dominare nella carne, mangiare la carne. Una così breve giovinezza, è stato questo, sei sempre stata avida e violenta, sei sempre stata troppo grande per un’idea di innocenza. Adler preferiva pensare che qualcuno gliel’aveva fatta pagare, a lui e a Occhiblu, e che era giusto aver perso la bellezza quando la bellezza rischia di farti perdere te stesso. Adesso restava soltanto qualche sguardo insipido dall’ultimo ubriaco, le attenzioni di un passante strappate a forza, la traccia sbiadita degli umori sui pantaloni. A questo, diceva, ci siamo ridotti.
*
Alessandra Corbetta
SEMPREVERDE
1.
Nel bosco sempreverde nascono le bambine,
ripetono il giro da tempo immemorabile.
Tra gli alberi conservano i fermagli di ogni vita
ma sanno che presto saranno cianfrusaglie.
Dove sia il bosco sempreverde le bambine
non possono dirlo, né indicarlo sulla mappa.
Nessuna gelosia o avarizia, ma solo
un trucco per custodirne il segreto.
Così sulla strada lasciano un’assenza
o un vuoto più chiaro
perché nessuno possa trovarle.
Ma non credere che smettano d’aspettare…
2.
Venute al mondo, le bambine vivono tre volte
recuperano la morte e il tempo perso,
per questo guardano spesso l’orologio
evitano con cura lentezza e dispersione.
Ogni bambina ha la sua storia e un segno
distintivo in qualche angolo del corpo.
C., per esempio, lotta con sé stessa,
una macchia scura sul fondo della schiena.
*
Dimitri Milleri
NEL PIENO DI NOR
L’ingranaggio di Muller
i
i modelli teorici indicano che nelle piccole popolazioni di endosimbionti
il carico mutazionale deleterio può portare all’estinzione
Precipitando da una sedia sul tavolino, l’uomo che dorme è arrivato qui, fra di noi.
Per prima cosa ha firmato delle giustificazioni, poi ha disposto la diavolina nel camino – perdeva muschio dalla testa, le pupille al riparo dalla luce.
Compatirlo con i palmi, come un liquido – avremmo voluto ma era già troppo grande. Ricoperto di aculei, si estendeva oltre il giardino.
Parlargli sinceramente – ma i suoni umani lo facevano arretrare, assumere una posizione per non essere niente. La nostra sola figura lo spaesava, e alla fine è successo.
Sollevandoci per il colletto e fissandoci a lungo – indistinguibile da una figura di controllo, un pesticida o un ricordo in agguato nel sottoscala – ci ha uccisi, quasi, per confidenza.
Poi le valigie nell’androne, la porta chiusa dall’interno. Per un attimo l’ago il punto di luce e di nuovo un residuo, nella cornice anonima del bagno.
Con la puntura che si può immaginare, mai vista, l’uomo che dorme ha pianto internamente – la paura evolveva in risoluzioni più grandi.
Invece lui stava fermo, steso nella sua camera – senz’acqua per bere né per lavare via.
Alien
0
È un pensiero che può accadere nei momenti più semplici – ci si siede sul manto infeltrito della coperta, diminuisce la luce verso i toni del blu.
Le coincidenze che regolano i proiettori degli occhi fanno festa, un riflesso o una vita vengono visti per la prima volta.
Sul sito scopro dei centocinquanta metri, delle schegge e dei fluidi – delle fiamme, della sedia calciata.
Appare il numero 06 77208977. È un pensiero e non sono io, mi cresce contro – può usarmi per riprodursi, può migrare.
*
Stefano Modeo
PARTIRE DA QUI
Due mari
Lungo la linea dei due mari, la città
s’arrocca in una nuvolaglia grigio-scura.
I delfini a volte arrivano sino alle boe
sotto i piloni, dove il sole
fa il cielo arancione. Strano,
è solo un giorno senza vento, scandito
dall’andamento delle auto. Ma un legno
s’è appruato su una roccia
sottraendosi all’approdo – non c’è suono
nel ventre del golfo, solo il coro
stridente dei gabbiani.
Risale per le vie una verità,
un risentimento delle case,
delle strade. Ma la speranza
non si prende i suoi torti,
restiamo ostili con desiderio
se il vento riprende, nostro tormento.
Nel vicolo
Seduti con le ginocchia nere,
non sanno cos’è un bosco di faggi,
né come fugge una volpe.
Ma in questa, di foresta,
sono come uccelli. Dai resti
dei cantieri fischiano al giorno
il canto misterioso del loro mondo.
In due nel vicolo, in sella alle moto,
s’involano ora sfiorandosi appena:
nella corsa impennata in quella via
si sentono meno incapaci
se si fa presto a imparare a migrare.
*
Noemi Nagy
L’OSSO DEL COLLO
Poi hai ripreso di colpo a respirare:
ti sei fatto togliere i tubi dalle braccia,
portare le sigarette Philip Morris One
per colazione una manciata di farmaci.
La scorsa notte sei andato
e ai medici pare tu abbia chiesto perché
cazzo ti hanno riportato indietro, poi riso.
Nel caso me lo stessi chiedendo
comunque non c’è proprio nulla di là
nulla: no luce, no tunnel né cazzate
Nostro padre e nostra madre da Lugano su Zoom:
cosa ti hanno detto in ospedale?
Hanno detto Buongiorno
No davvero
hanno detto così.
E poi?
Arrivederci.
Oggi avete cucinato il csirkepaprikás:
facendolo sobbollire a lungo
siete andati a camminare nei boschi
attorno alla casa bianca.
L’hanno ridipinta – fai – è una schifezza
*
Antonio Francesco Perozzi
BOTTOM TEXT
Sfere metalliche in volo
Ho un’immagine che mi sono costruito da solo:
sono delle sfere di metallo
grandi, sospese
venti metri sulla zona coltivata.
Le vedo – nel pensiero – salendo
sul bus che costeggia il Piave.
Il Veneto si presta a scavare allegorie
di questo tipo nel cielo – ad esempio
il tramonto qui è cianotico,
blu-viola, basso, cloud, robe del genere.
Oppure i tralicci dell’Enel che svettano sul grano
ancora non uscito mi danno le idee
di segnali captati dall’altrove, messi a terra
e convertiti in acciaio.
Allora approfitto della situazione e moltiplico
le sfere contro la capacità
della corteccia cerebrale. Alla fine
ne faccio seimila; io e l’autista
ci inoltriamo fino alla gola
e niente è più traccia di niente.
Pali della luce
Cose come il rame e l’allucinazione
sono connesse nell’intimo.
Per ricreare artificialmente il giorno
si ricorre infatti a piastre d’acciaio
e fasci di rame che sanno spostare energia.
Questa è la nostra esperienza della luce:
qualcosa che spinge dal suolo, a intervalli,
e staziona in placche trasparenti;
qualcosa da manutenere.
Così vi raggiungo la notte
spezzato ogni quattro secondi
da un’illuminazione che è falsa.
[1] Walter Benjamin, Il dramma barocco tedesco, Premessa gnoseologica, p. X
testi molto coerenti con l’atmosfera percepita. belle scritture, vigili, con qualche (necessaria/amabile) stravaganza qua e là