di Paolo Costa

 

Quando salgo in montagna nello zaino ho sempre qualcosa da leggere: fogli volanti, un libro smilzo, più raramente il lettore di e-book.

“Ma non ti basta il paesaggio?”, potrebbe obiettare qualcuno sotto voce.

Sì, certo, il paesaggio mi basta e avanza. E, in effetti, capita spesso che non legga nulla durante le mie escursioni. Se devo essere franco, però, il mio ideale di gita include sempre un momento in cui, dopo essermi abbandonato stanco su un prato o una roccia e avere assorbito tutto quello che l’ambiente naturale può regalare ai cinque sensi, mi immergo nella lettura. A quel punto può anche accadere che scriva qualcosa. La penna è un altro strumento indispensabile tra i monti.

 

Nel mio libro L’arte dell’essenziale ho sostenuto che la diagonalità dell’ambiente montano ha un legame intrinseco con l’attenzione, con la cura per le cose. Esiste, cioè, un’affinità elettiva tra l’avventura che si può vivere a qualsiasi livello nelle terre alte e l’avventurosità del pensiero. Sono due attività, insomma, che entrano in risonanza l’una con l’altra. Si potrebbe anche dire che sono due forme di immersione nella realtà che si intersecano continuamente, che producono uno strano e sintomatico overlap.

In un libro pubblicato ormai più di quarant’anni fa il filosofo tedesco Hans Blumenberg ha dedicato quattrocento eruditissime pagine a un’analisi storico-concettuale della metafora della “leggibilità” del mondo. Tutti più o meno sanno che per Galilei la natura era un libro scritto in caratteri matematici e per Baudelaire una foresta di simboli. In ventidue densi capitoli Blumenberg ci aiuta tuttavia a capire che c’è qualcosa nell’immagine stessa di un volume zeppo di segni decodificabili che ci consente di cogliere il succo di un rapporto riuscito con il mondo.

 

In che cosa consiste il legame sotterraneo tra libro e mondo? Che cosa avviene nella lettura che può dischiuderci un intero universo? E che cosa abbiamo da guadagnare o da perdere nell’insistere sulla leggibilità del cosmo?

Troppo spesso chi legge con agio sottovaluta il miracolo dell’attenzione che si realizza quando ci immergiamo nella lettura. La facilità con cui riconosciamo istantaneamente una parola in un gruppo di lettere, una frase sensata in un gruppo di parole, una storia, un argomento, una figura in una sequenza di frasi o capoversi, ha in sé qualcosa di magico. Il prodigio che si compie senza sforzo in queste transizioni dal primo piano allo sfondo, dal significato all’alone di senso che lo circonda, è un aspetto della forma di vita umana che, proprio come la coscienza – il semplice fatto di fare esperienza delle cose, di essere aperti al mondo – suscita meno stupore di quanto dovrebbe.

 

Se ci si pensa bene, è lo stesso tipo di meraviglia che si risveglia spontaneamente quando camminiamo in montagna. Di norma si tratta solo di trovare il giusto ritmo, la soglia della fatica che ci libera dall’inessenziale senza fiaccarci, perché l’ambiente attorno a noi torni gradualmente a essere un contesto leggibile: diventi, cioè, uno sfondo che ha senso, anzi che ne ha molto più di quanto potessimo immaginare. Ne ha talmente tanto che ci viene spontaneo immergerci in esso, muovendoci docilmente tra il primo piano e lo sfondo, la pietra su cui poggiamo lo scarpone e la linea diagonale che traccia la via, il fiore giallo che spicca nel prato e la nuvola che oscura il sole, il frinire dei grilli e la cima imbiancata verso cui convergono le linee dell’orizzonte.

 

Che ce ne accorgiamo o no, è la natura stessa a diventare leggibile quando passeggiamo senza fretta nelle terre alte e questa metamorfosi è uno dei piaceri più intensi e indimenticabili che sperimentiamo in montagna. È facile dunque capire perché non costi poi grande fatica, sdraiati sull’erba o appollaiati su una roccia smussata, cambiare il “libro” che stavamo leggendo e con esso i significati su cui si concentra la nostra attenzione. In queste circostanze leggere (o scrivere) è solo un altro modo per “risuonare”.

La leggibilità dei monti, in breve, è un fatto della vita che chi va in montagna sa riconoscere senza sforzo, ma con riconoscenza. E tale gratitudine si esprime anche nell’umiltà con cui riconosciamo di non aver capito fino in fondo quello che abbiamo letto.

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