di Adelelmo Ruggieri

 

Grandi viaggi, rubrica a cura di Adelelmo Ruggieri

 

«Alexandra David-Néel [Saint-Mandé, 24 ottobre 1868] non si è mai fermata», comincia a questo modo la nota biografica di Emilia Gut che precede Viaggio di una parigina a Lhasa [Voland, 2008]. Fu così tanto dinamica che oramai centenaria si fece rinnovare il passaporto; poi “si concesse” il riposo, “accettando” di morire. Per riassumere la sua vita sarebbe necessario un articolo monstre, fitto di apparati e mappe. Travestita da pellegrina mendicante raggiunse Lhasa in otto mesi di peregrinazioni, ma questi otto mesi sono soltanto un episodio, così lei lo chiama, dei quattordici anni di fila trascorsi in Oriente. Raggiunse la città proibita con il giovane lama Yongden, la sua anima affine. Il cammino è ogni dove pericolo. Un giorno su due devono sfuggire alle domande curiose dei passanti. Se scoperti dovrebbero tornare indietro, riportati a forza dove erano partiti, ma Yongden è abile a rispondere. Una mattina, lungo il Nou tchou, che scorreva rapido in una gola profonda per gettarsi nel Giamo Nou tchou, li raggiunse un gruppo numeroso di pellegrini e li presero ad assediare con mille domande. Alla fine si avvicina una ragazza esausta, coi piedi rovinati e gonfi dalle marce, e la madre lì a insistere che le venisse svelato il nome del demone che aveva irrigidito le gambe della figlia. Che quanto accaduto fosse del tutto naturale nessuno dei pellegrini lo avrebbe ammesso mai, nemmeno la madre, nemmeno la figlia. E allora Yongden prese a officiare “in modo strettamente ortodosso”. Capisco di cosa si tratta, prese a dire, ascoltatemi, incontrerete un chorten – è il nome tibetano degli stupa buddhisti – sulla vostra strada, non poteva non accadere, numerosi sono i chorten in Tibet, fermatevi lì; la ragazza deve stare seduta per tre giorni, proteggetela dai raggi del sole; tre volte al giorno vi riunirete per recitare Dolma; mentre voi reciterete la ragazza girerà tre volte intorno al chorten, altri passi non deve fare; dopo aver girato così, nutritela, massaggiate i suoi piedi nell’acqua calda; se il demonio sarà ancora lì e la ragazza continuerà a soffrire significa soltanto che avete commesso un qualche errore nel rituale; ripetetelo allora al prossimo chorten, e nessuno lasci i suoi compagni indietro! Alexandra sorride e si compiace della saggezza di Yongden. Poi i due riprendono a camminare. Viaggeranno di notte, li guideranno le stelle, patiranno la fame e il freddo. Non si fermeranno mai. Alexandra non si è mai fermata. Prenderanno sempre di più a comprendere il linguaggio intellegibile che le cose della natura paiono possedere, in specie per chi ha vissuto a lungo a lei attenti e solitari. O forse, scrive Alexandra, più semplicemente, questi ultimi decifrano i propri pensieri e presentimenti sulle fisionomie enigmatiche dei monti, dei boschi e delle acque. Quando finalmente giungono a Lhasa una donna li conduce in un alloggio ai margini della città. La vista è estesa e bellissima e abbraccia il Potala. Alexandra è felice, mai avrebbe sperato di stare in una stanza – una minuscola cella di una stamberga per metà crollata – da cui poter guardare sempre il Potala, l’imponente palazzo di tredici piani e mille e più stanze, sul monte Moburi, bianchissimo e ocra, con le mura spesse tre metri. In verità nel libro non c’è scritto sempre, ma a volontà.

 

 

1 thought on “Grandi viaggi /4: Alexandra e Yongden

  1. Il sol pensar
    Di un posto inviolabile
    Ed inviolato
    Fatto mercè
    Di ideologie traumatiche
    L’identità, del luogo,
    Trasuda ogni singola persona, Lì vissuta.
    Un caro saluto Wu Otto

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