di Rosaria Lo Russo

 

[È uscito in questi giorni per Vydia, per la cura di Cristina Babino, Tande, il nuovo libro di poesia di Rosaria Lo Russo. Ideale continuazione di Comedia – come disse già Pagliarani, “viaggio” dalla nascita all’età matura e “grandioso concerto vocale” – e nuova esplorazione del rapporto con la storia culturale nazionale. Ne pubblichiamo in anteprima tre testi, ringraziando l’editore].

 

 

ancora il padre non è morto! Il padre è vivente, sono vivente ancora
(intercettazione del boss del clan Bandiera, “la Repubblica”, 22/11/22)

 

 

Strabismo di Venere, occhio fisso sul fenomeno, collo tozzo dell’avo
appeso sul camino e guance atticciate sotto i basettoni settecenteschi,
commissariati da è che è solo una palla di grasso con la miccia accesa
e rotola verso di noi alla velocità della luce senza badare a spese
pur di raddrizzarci la colonnina del mercurio vertebrale. Tennis, piscina,
lezioni di inglese, campi estivi, scòle private di ogni fiducia, è picchia
a casaccio con le manine grasse di burro, ma mani_di_merda dice quelle
più piccole ancora, le nostre, quando non disegnano come è vorrebbe
la piana e l’orizzonte marino: la costa dei Feaci dove approdando
Ulisse incontrò Nausicaa, così Wikipedia della grande spiaggia dove
s’arenò negli anni Ottanta lo scheletro nero del pontile della SIR. E
era la terra dei Feaci! Era l’infanzia beata! Ora è dei Fratelli Bandiera,
cosca di costa, ndrina feroce, che furoreggia fra le ndringole in quel mare
pieno zeppo di morti migranti fra gorghi di escherichia, empetigini, fra
schiumare di mucillagini. Divieto di balneazione direi dove all’alba si pesca-
va a sùrici, invece no, nessun divieto, nessuna legge, nessuno Stato, Nessuno.

 

 

Atropo, Atropa Belladonna, specchio delle mie bramebabbo
Madresorella dei bisturi, basta un niente della tua solanina e recidi
da te il mio stame, Belladonna che guardi al futuro della pupa avversa-
ndole nelle pupille gocciole di lacrime atropine, stimoli inesorabili
dilatando con due dita conficcate la puntura al centro dell’occhio
e conficcando nella dilatata una visione cieca che crepitante sfuoca
e non si estingue. Mammottica. Langue a tastoni dentro il baratro
degli aloni e intravede formarsi un’andatura sghemba, un singolare andazzo,
goffo e tremulo entro il confine della montatura degli occhialini duenni,
condicio sine qua non che taccheggia come un orologio di patacca le messe
a fuoco conati, contratture, e ghigna all’ora x: ha visto tutto. E depreca.
Quando fioccano gli elogi che fornicano la visionaria, allora sì che lei sfuoca
e sulla fronte imperlata si dilatano, con le dilezioni, le dilazioni, le delazioni,
fioccando infine un Tuttifrutti messo a fuoco dal terzo occhio, Tictac,
il punto cieco, quello che non si estingue e sogghigna, si lagna, sogna
con livida invidia un impossibile cumulo di bisogna verde. Ma non è
cuccagna del suo sacco, proprio no, e la visione beata sfora, sfarfalla,
non crepita più calorie, non più, non più, proprio no.

 

 

Ecce è. È odore di spirito bruciato e di acqua ragia.
Odore di pulito e di pericolo, disinfetta, accende, cauterizza,
è è speleologo di faringolaringi in fiamme perenni è scruta
agli orali e brucia le tappe all’esaminanda: “non toccar con i ditini/
forbici bisturi e temperini/ e simili strumenti/ affilati e taglienti”,
recita la sacra filastrocca della mia crescita ovulare. Uvulari noi
la gorgheggiamo in coro muto ogni volta che vorremmo oltrepassare
guardinghi la tenda grigia dello studio. Dietro scintillano metalli,
ivi si forgia, indi si levano conati, lamenti, qualcuno lì piange. Ma le
lamette da barba, le lime per unghie mangiate e curate, è ha le mani
assicurate, sono troppo in alto per la man bassa manina. Odore di pino
da autogrill, Proraso. La montata lattea della schiuma prima della luce
è la prima mattina del cosmo. Sciacqua il pennello, gargarizza, scaracchia,
impasta roteando, spennella. Rosi Rosicchia guarda in silenzio il gorgo
saponato sparire, si porta alle labbra ruvide morbide Tande e venera quel
sole neonato che risplende solo per lei, a vanvera. Al tramonto torna, si
cambia, intinge, diluisce, stempera colori a olio nella veranda verde. Dipinge
bimbi che corrono col palloncino. Occhieggia la tela, raggruma oli, corregge,
sciacqua i pennelli. Accuratamente accatasta, mette in ordine, si attribuisce l’opera.
Taglia a fette parole grotte con forbici bisturi temperini e tutti gli strumenti
spartiti. Odore di acqua ragia e di spirito è è rèsina di un bosco che brucia.

 

 

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