di Laura Pugno
Tavola dei nomi e delle materie è un nuovo ciclo di interviste a scrittori e scrittrici, su un loro libro.
A ognuno di loro assegnerò una materia reale o immaginaria – sappiamo che è la stessa cosa –, visibile o invisibile, astratta o concreta, che il loro libro mi evoca, e chiederò di commentare questa scelta.
A ogni scrittore o scrittrice, poi, chiederò di scegliere un nome, alias di parlare di qualcuno, qualcosa, reale o immaginario – anche qui –: luogo o persona, soggetto umano animale vegetale minerale o all’incrocio di tutti questi mondi, del presente o del passato, o addirittura del futuro, che fa parte della materia del libro o che è stato determinante nell’innescare o nel far compiere il processo creativo che ha portato al libro stesso.
Laura Pugno
Ecco la tua materia
Giulio Mozzi, in “Vite parallele e fantastiche di Pellegra Bongiovanni e Teresa Bandettini” (Tetra), la tua materia è il canone, e l’anticanone. Come e perché hai scelto proprio queste due poete, e non altre, per metterle a confronto, tra loro e con noi oggi? Come riverberano le loro vite con i meccanismi di creazione sociale del canone letterario – con i procedimenti materiali e cognitivi che inducono la storicizzazione o condannano alla dimenticanza – o di un possibile anticanone, o canone contrario? E ancora, cosa hanno a che fare queste due vite, nell’ucronia della letteratura, con la tua?
Non ho scelto Pellegra Bongiovanni e Teresa Bandettini: mi sono imbattuto in loro. Sai come succede: trovi un’annotazione, una nota in calce, un paragrafetto in un libro; poi ritrovi, da un’altra parte, un altro riferimento; e a un certo punto hai l’impressione che un nome ti giri intorno, ti solleciti, chieda udienza; e allora fai qualche ricerca specifica, e magari viene il colpo di fortuna – per esempio, scoprire che di Pellegra Bongiovanni esiste un’edizione di pochi anni fa, annotatissima, splendida, pubblicata da un editore che stava – stava, ora è stato assorbito da un altro editore – a centoventitré passi – contati – da casa tua. Poi una persona che ti vuole bene ti regala l’edizione originale, e allora come puoi, come puoi ignorare la cosa? Così Pellegra Bongiovanni si è installata nella mia vita, e l’ammirazione per il suo eroismo – rispondere per le rime nientemeno che a Petrarca, e farlo dignitosamente, è cosa eroica – pian piano diventa voglia di raccontare, di restituire a questa donna un altro po’ di vita nel nostro secolo: visto che, a parte i soliti benemeriti studiosi accademici, pare che nessuno ne porti memoria.
L’interesse per Teresa Bandettini è venuto dopo, e devo dire: a contrasto con quello per Pellegra Bongiovanni. Tanto oscura quest’ultima, tanto ai suoi bei dì piena di fama e di avventure quell’altra. Così lessi un po’ di testi già con l’idea di prendere le due vite, e di scuoterle, e di farle cozzare l’una con l’altra, per vedere che cosa ne usciva fuori. E non poteva saltarne fuori che la solita cosa – solita, dico, perché alla fin fine io mi interesso tante cose, ma poi torno sempre a me, inguaribilmente egocentrico –: una congerie di pensieri miei sulla letteratura, sulla letteratura in sé e sulla sua praticabilità, oggi, e sul modo in cui io me la pratico, praticamente, nella vita mia.
Sono convinto che la formazione di un canone sia questione di potere (e non intendo certo negare il potere, ma direi meglio la potenza, della bellezza); questione di potere, del quale evidentemente non disponevano in solide quantità né la discreta, quasi nascosta Pellegra Bongiovanni né l’esuberante, quasi esibita Teresa Bandettini. Non credo che il mio scrittarello sposterà di un ette le loro sorti. Poi è vero che son poete brave, ma modeste; modeste in un tempo, è vero, nel quale trovare poesia buona non è semplicissimo, in Italia; ma insomma modeste, seppure mai, o quasi mai, per quel che ho letto di loro – e di Teresa Bandettini non ho letto tutto, avendo lei scritto molto –, quasi mai brutte. Non era nei miei scopi canonizzarle. Né m’interessava particolarmente il fatto che fossero donne, benché ovviamente, nel disegnare a grandi linee le loro storie, l’esser loro donne fosse importante. Vedi, io trovo un po’ sterili i discorsi sul canone, e sugli eventuali anticanoni, nel momento in cui si riducono a meri elenchi o a discussioni su chi includere e chi escludere. Ragionare sul canone, a mio avviso, significa prima di tutto ragionare su che cosa fa di un’opera un’opera canonica, ovvero su quali sono le caratteristiche che chiediamo a un’opera per poterla considerare canonica. Per esempio: il De Sanctis formulò un canone su base nazionale e nazionalistica, chiedendo alle opere che via via considerava se e in qual modo contribuissero a formare un’identità e uno spirito nazionali. Oggi ha senso ancora un criterio di tal fatta? Oggi si potrebbe, e lo dico solo per esempio, chiedere alle opere se mostrino, se indaghino aspetti dell’umano essere al mondo non ancora mostrati e indagati: e credo che un criterio simile porterebbe a compilare una lista – che, sì, è l’atto finale del processo canonico – fatta forse più di autrici e autori di quelli generalmente considerati esorbitanti che di quelli generalmente considerati canonici.
Ma ragionando e scrivendo su Pellegra Bongiovanni e Teresa Bandettini io avevo in mente solo, come ho già ammesso, me stesso. Mi sono confrontato io con loro. Ho cercato nelle loro vite ciò che potesse servire alla mia vita. E quel che ho trovato, è scritto nel mio libretto.
Scegli il nome
Chi, o cosa, è stato determinante, per te, per dare forma al confronto di storie di “Vite parallele e fantastiche di Pellegra Bongiovanni e Teresa Bandettini” e per dare avvio al percorso che ti ha portato a scrivere questo libro?
Uno dei più bei libri in prosa del secondo Novecento è, a mio giudizio, Vite di uomini non illustri di Giuseppe Pontiggia: che ha risuscitato, ironicamente, un genere letterario nell’antichità e nell’Evo Medio e financo nella modernità frequentatissimo. Rimuginando nella mia mente ciò che sapevo e ciò che andavo scoprendo sulle vite di Pellegra Bongiovanni e Teresa Bandettini, vidi l’occasione di continuare il lavoro su questo genere letterario – la cui opera di riferimento, per tutti, è e non può essere il Vite parallele di Plutarco. E quindi: nel momento in cui intravidi, per queste fantasie che mi rigiravo dentro, una possibile forma, uno schema d’appoggio, una tradizione disponibile, ecco: in quel momento la vaga intenzione di scrivere qualcosa diventò, concretizzandosi, l’intenzione di scrivere una certa cosa.
Ma poiché il genere delle vite illustri è antico, a questa intenzione ormai concreta se ne aggiunse un’altra: l’intenzione di scrivere una certa cosa e di scriverla in stile antico. Non l’intenzione, sia chiaro, di fare un lavoro imitativo o un pastiche; ma, siccome le scritture settecentesche, per quanto a volte francamente estenuanti, a me nella sostanza piacciono, e mi divertono addirittura, maturai l’intenzione di riportare più di qualcosa di queste scritture all’interno della mia scrittura. Per questo abbondano le citazioni, per questo la sintassi, nel mio testo, mima sovrabbondantemente la complessità – e certi vezzi – della sintassi del Settecento. Nulla di ciò che racconto è inventato, tutto è documentato, ma avrei ben potuto cercare una sintassi piana e semplice, diciamo una sintassi più contemporanea, in cui riversare questi materiali di due secoli fa; ma no, ma no, mi piaceva l’idea di ricreare per le due donne un ambiente, anche sintattico, simile al loro ambiente d’origine. Simile ma, appunto, non ironicamente identico bensì con seria parodia – un po’ come, si parva licet, faceva Stravinskij quando riprendeva le melodie di Paisiello per comporre un balletto russo tutto russo – evocativamente riallestito.
[Immagine: Gaspare Landi, Ritratto di Teresa Bandettini]