di Roberto Cescon

 

[E’ uscito da poco per Stampa 2009 Natura, il nuovo libro di poesia di Roberto Cescon. Ne proponiamo alcuni testi].

 

Da quale parte il canto di due uccelli

lassù, chissà se due, indistinguibili

per me che non so distinguerli

tra i rami radi prima della primavera

e quei suoni nei miei passi

che seguono un futuro che proviene

da altri passi, in un tempo

come ora che mi tocca e non si muove

e l’improvviso frusciare delle foglie

per una biscia o altro che non indovino

come quest’odore nella voce

affiorano i pensieri

non così diversi da quei rami

o dai cinghiali nel bosco

invisibili e presenti

così è scritto all’imbocco del sentiero

e la mia lingua viene da lì

e lì finisce, mai del tutto

in un flusso antichissimo che dai muscoli

proviene e ci fa stare

in questi corpi, nei possibili futuri.

 

 

 

*

 

 

Sono i piedi nell’acqua e l’onda nuova

arriva negli occhi e non finisce

quante parti di te

nella sabbia e nel mare antichissimo

che in un tempo vasto che non vedi

avresti visto spaccato da rocce

e poi rocce spagliate dai fiumi

sfarinare in questa sabbia

e segni a non finire

nell’aria di opere e intenzioni

si parlano da un prima che verrà

adesso, altrove

mentre il sole sposta l’ombra

attorno a te esseri antichissimi

partoriti da millenni, millenni di volte,

come tutte le altre volte sono qui

quante parti di te e di loro sono state il mare

adesso, nella luce

dove trovarti

fuori dagli occhi.

 

*

 

Alla fine della strada aspetti

di vedere perdersi il tuo occhio

nel giallo sovrastante della colza

l’hai visto e lo stai vedendo

cosa ti commuove di quel giallo

nel verde, e resti ancora qui

o sei già nel giallo? E la mia voce

la vedi, nel giallo? La senti,

sei tu, nel giallo, e non c’è tempo

sto aspettando da un silenzio che è tuo,

è stato mio, sarà tuo.

 

*

 

 

Libertà, ma davvero

provi a immaginarla

nelle moltitudini che chiedono

incompiute e originali, anche tu

un tempo l’hai creduto, ma quanto te ne serve

per uscire dall’eterno

della scena che rincorri nella mente?

Magari la confondi con il desiderio

ma l’altro, le parole che pronuncia

sono per un altro, che non è qui

e forse neanche esiste, e voi, a tratti

lo intuite, siete ignoti l’una all’altro.

Tu sei questo corpo che spicca dalla terra

quando senti il profumo

di un dolce dal forno per l’indomani

magari sotto un porticato, d’estate…

ma dove vuoi andare

che qualcuno ti tira sempre giù…

 

Potresti dire che tutto accade

nel tempo in cui viviamo, ma è lo spazio

delle tue parole che fa diventare tempo

lo spazio tuo e degli altri.

Vorresti l’altra luce

che intuisci dal contorno dei palazzi

ma fissi i panni stesi, un oleandro

sotto il cornicione e questo muoversi

di tutti e di ciascuno

nel continuo disfarsi degli eventi.

 

*

 

Guardali, li vedi tutti così

organismi muoversi nello spazio.

Nei loro volti, nei loro amminoacidi

chissà da dove vengono

generazioni di esseri umani

fino a un principio

che non riesci a vedere.

Abitano case, mangiano seduti, fanno figli

come tutto fosse irripetibile

e lo è, perfino un momento come questo

nel succedersi di luce e venti

sopra noi, che qui mangiamo stasera.

 

Non pensi la tua mente

che cambia per restare in equilibrio

sempre in un istante e in tutti gli altri

come questo, e senza storia si ripete

nelle menti di chi vive finché vive,

e dopo ancora, più forte di noi?

 

Dici prima nella mente, prima del fiato

che esce grazie al controllo prefrontale

e ai muscoli, decine, poggiandosi nell’aria:

prima, sentire la vita di ciascuno

e di quanti nei tessuti e negli impulsi

sempre gli stessi, gli stessi di sempre.

 

*

 

A La Pasiega, sessantaquattromila anni fa, prima del Sapiens in Europa: sequenze di punti, clave, rettangoli, esagoni, segmenti, triangoli, tetti. Blombos, Sudafrica: sequenze di rombi. Anche a Diepkloof, sequenze. Ovunque, nel mondo, gli stessi segni, già nelle cose, sono storie uscite dalla mente che vede con le mani. Noi guardiamo indietro il loro guardare avanti lo stesso tempo.

 

*

 

Al MUSE vedi nel visore le sale di Lascaux, uri giganteschi, soffitti e diverticoli, corna di cervi, incurvate, e contorni incisi sull’ocra, un bisonte ucciso e un uomo esangue, tori in ematite, si muovono, da ventimila anni, l’intenzione di compiersi nei segni, li tocchi, insieme ad altri visori nella sala, spinti dalla mente nel futuro. Per le fungine e il respiro dei turisti da tempo non si possono vedere, ma gli esseri umani le hanno replicate in superficie, lì nei pressi, l’impenetrabile varcato col prodigio del lavoro.

 

*

 

Un inganno, non pensarlo

è più forte di te, che la mente

non sia fuori, tra i viventi.

Questo bosco, per esempio: sei sicuro

che quel prato sia fuori dalla mente

del cervo? O la mente di quel cervo

non sia anche dentro l’erba?

E la terra, che ora ti commuove

è davvero sotto i piedi? È solo terra

per la talpa che sta entrando

in quella bica? Per i tuoi batteri, anche tu

sei come quella bica. Sei l’acacia

sei il suo sguardo, è il tuo respiro

sarà il tuo gesto, in un flusso

che interessa anche il resto dei viventi

da millenni, è di nessuno, è ovunque.

 

[Immagine: Foto di Spencer Cox].

 

1 thought on “Natura

  1. Che belle. Mi chiedo solo, a latere, se non sia un gran bene non distinguere i due canti, o quanti sono.

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