di Gaia Giovagnoli

 

[E’ appena uscito per Industria&Letteratura Babajaga di Gaia Giovagnoli, il primo libro della nuova collana “Obtortocollo”, diretta da Riccardo Frolloni e dedicata alla poesia under 35. Ne pubblichiamo i primi testi].

 

 

Molti dicono che la strega
dei tarli
è bianca di gesso
molti dicono che corre
nel bosco
e ha pelle di tronco

 

Che si attacca dal ruvido
dei piedi
e beve dalla terra
con un sorso

 

*

 

 

L’albero

 

Molti dicono che la betulla
ha una chioma di dita:
un folto di ossa
che oscilla;
che fa groppi di funghi
dentro i piedi
e ha la pancia gonfia

 

A testa arresa non chiama
la sua madre mostruosa
che cammina nel verde
e le tocca la gamba:

 

Babajaga torna da sola
sul sangue che le assomiglia

 

*

 

Un anno si è rotto
un palo della luce
ed è mancata la corrente
nelle case

 

Pure loro tastavano
candele nei cassetti
che non hanno mai trovato

 

Quell’anno ci fu buio
undici giorni:
la notte coi telefoni e le torce
le ginocchia sbattute
il cibo cotto poco
ogni spigolo più sporto
ogni mobile più grosso

 

Undici giorni a controllare
che qualcuno risolvesse
la faccenda di quel palo
e il buio attorno

 

Oggi va lei sola:
riconosce dalla strada
il palo mozzo
a testa arresa

 

Ogni spigolo più sporto
ogni mobile più grosso
nel nero di quell’anno
ogni urlo
era uno strappo

 

Ora lei gli si accosta;
lo striscia con il dito
fa forza con l’unghia;
stacca dal legno
una lisca di crosta

 

Poi fissa;
lo tocca;
ricontrolla stravolta:
dal graffio che ha fatto sul palo
esce una goccia

 

*

 

Le resta nel niente
di chi adesso manca
solo un albero graffiato
che sanguina

 

*

 

Il sentiero di chiocciole

 

Si sente nel niente
un passo di croste:
la strega cammina
nel secco
e si graffia le cosce

 

Là il bosco è chiaro e asciugato
là il bosco è acceso di lotta
la strega azzuffa
il cinghiale neonato
e la madre le strilla

 

Qua le mosche bevono ancora
solo gocce di fango
gli alberi ancora non guardano
non parlano i vermi
il morto non canta
la strega trotta
insieme al cervo affamato

 

Sa che casa non è in questo posto
e per trovarla si fa aguzza:
il piede le orecchie gli occhi più stretti
cerca pezzi
sulla strada
per cercarli
ci si accuccia

 

La casa della strega sa di squarci
la sua casa lascia strascico
di cocci
La casa della strega
lascia segni dietro ai passi:
una strada nera e lucida
di bava

 

Si rialza:
riconosce finalmente la traccia
e aggancia con i piedi
i primi scrocchi:
ecco le chiocciole affollate
i gusci tondi

 

La casa la aspetta
sul fondo dei fossi
oltre la striscia di bave
illuminate

 

Segue le ombre Babajaga
cammina svelta
sul tracciato
appiana tutto coi talloni
scrocchia il tondo
t
Babajaga corre sempre
su una via fatta di chiocciole:
la sua strada verso casa
è un tappeto
di ossa rotte

 

*

 

Suona la sveglia
delle sei di mattina

 

La casa si annuncia
con un piatto unto
da sciacquare
le spugne nuove
il calcare nel bollitore
le ciabatte larghe
rotte sulla punta

 

Non si aspetta
le briciole fitte
che nota tutte sparse
tra il tappeto e il pavimento

 

Segue la traccia sospetta
ed è un crollo di coscienza
a ogni briciola che pesta

 

Segue ancora
a occhi bassi
e trova aperta
la credenza

 

Rintraccia se ha mangiato
pane ieri
– o quando è stato;
riformula il gesto del piatto
nel lavello
riformula la scopa
che ha spazzato
– sa però che la tovaglia
non l’ha tolta
ed è rimasta;
che si è aperta
tutta sola
la dispensa

 

Il ritmo del sonno
ora si spezza
le si stringe la saliva
per l’angoscia

 

  • sa che di notte
    è lui che torna per la cena;
    lui che mangia
    capotavola
    e butta a terra
    la mollica

 

*

 

Insegue la casa sul vento
che è nero di mosche;
dove goccia il mestruo
dell’orsa
o sta il grumo di larve
bagnate;
dove i rovi hanno ciglia
e le serrano

 

La casa gallina
le scappa;
fa tracce di bestia

4 thoughts on “Babajaga

  1. Posto che ci si rassegni, obtorto collo, a non capire (ma Giovagnoli è in buona compagnia), questi testi hanno sicuramente momenti di fascino immediato. Che scaturisce da una visione magica in cui i confini categoriali sono offuscati e tutto, diciamo, comunica. Il problema della magia, come dell’immediatezza, è che gli offuscamenti categoriali sono caricati di una fiducia solutoria non si sa quanto ben riposta.

  2. Una lingua poetica che ci regala immagini vivide, icastiche, come in questi testi, a me sembra già tanto.
    Per Violante Ruggeri: vorrei capire meglio (o mi devo rassegnare a non capire?) questo commento, così sibillino: che significa “confini categoriali”? Quali sarebbero? Perché “sono offuscati” e in che senso “sono caricati di una fiducia solutoria non si sa quanto ben riposta”?

  3. @ Debora
    Sulle immagini vivide e icastiche – aggiungerei magiche – sono d’accordo, come ho detto. Desolata invece che il mio commento risulti sibillino, anche perché per esplicitarlo ci vuole un rogito. Comunque, ecco qua.
    Confini categoriali: ad esempio fra “betulla” e il suo predicato “ha la pancia gonfia”. ‘Albero’ e ‘pancia’ appartengono a categorie diverse di enti. Ovviamente, la metafora questo fa: offusca, o se si preferisce “salta”, il confine fra una categoria e l’altra con effetto immediato di visione. Giovagnoli ne fa un uso praticamente esclusivo (almeno in alcune sezioni del testo). Questo ci regala immagini vivide e icastiche, ma rende difficile ragionarci. Forse non impossibile, ma difficile. Naturalmente si può anche sostenere che “ragionarci” sia del tutto superfluo, se non controproducente, e accontentarsi dell’immediatezza. Io non la penso così, ma è un’opinione personale.
    Un uso così radicale della metafora, che investe senza residui intere sezioni del testo, suggerisce qualche analogia con procedimenti magici: intervenire su un oggetto attraverso la manipolazione di un altro, categorialmente diverso – ad esempio influenzare in qualche senso una persona attraverso la manipolazione di un oggetto che le appartiene. Nel caso della magia, è fondamentale la fede/fiducia nell’effetto risolutorio del procedimento magico. Ci si può chiedere se la fiducia sia bene o mal riposta. Analogamente, ci si può chiedere se la fiducia nell’effetto di queste dilaganti metafore sia bene o mal riposta. In parole povere: quale effetto: mutamento, nuova conoscenza, promuovono nel lettore?
    Volendo essere seri, ci sarebbe anche un altro aspetto da considerare. Le sezioni diciamo surrealiste si alternano con altre in cui le categorie di cui sopra tornano al loro posto e ci ricollocano in una realtà familiare e congruente, per quanto poeticamente “misteriosa”. Queste sezioni sono relativamente facili da interpretare (capire) e, immagino, dovrebbero fungere da chiave per la comprensione del tutto. Per quel che posso giudicare, in parte lo fanno. Trovo però che la dimensione babajagana si inghiotta un po’ tutto il resto.

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