di Pasquale Pinto

 

[Esce domani per Marcos y Marcos, nella collana Le Ali diretta da Fabio Pusterla e Massimo Gezzi, La terra di ferro e altre poesie (1971-1992) di Pasquale Pinto, a cura di Stefano Modeo. Pubblichiamo in anteprima sei poesie].

 

                                         A Taranto

 

Io non cammino più

sulle tue pietre greche

Taranto dei Dori

né il tuo odore d’uva a settembre

basta a bruciare

il vento che separa

 

In sogno

a volte mi giungono

acque celesti

battere ai piedi di una donna

 

E quassù

la tua razza

mi parla di te

su queste piane eguali

dagli alberi sottili come spettri

 

E forse ho ancora gridato

d’improvviso con le mani avanti

ma il nero della notte è troppo vile

per serbare un punto

un sol punto di verde

era tanto lontano dai miei occhi

 

E se d’estate tornate al mio paese

sostate accanto ai pozzi

che sempre temono il martirio dei cavalli

 

Sotto il loro intonaco

ritroverete

il nome

dei miei giorni

 

*

 

Come morirò?

 

Come morirò?

Su una sedia?

O di fronte ad uno specchio?

Gli specchi ripetono sempre

le morti degli uomini

Alle 2 servirete la cioccolata

I morti vivono di usanze

So che si apriranno le porte

anche quelle che mi furono chiuse

Se i bimbi mi gireranno attorno

non sgridateli

I morti mettono festa nelle gambe dei bimbi

Quando mi scenderete

attenti all’ultimo gradino

 

Che smacco sarebbe cadere da morto

 

*

Al figlio
 

 

Cammina più piano Luca

quando incontri un mendicante

con la sua mano vuota a mezz’aria

come lo sono le mani

che da sole si preparano le cene

 

Quelle son mani che sanno

come vanno trattati i cani e i gatti

e le donne in cinta

che vengono meno all’improvviso nei mercati

 

Impara dai poveri a salutare i morti

a camminare nei cimiteri

a chiudere la giornata nelle spalle

ed anche a scegliere

quelli con cui alzare il vino

o aprire la giacca al sole

 

Impara da loro

a tenere le mani alla luce

a indovinare l’acqua nel cielo

a trattare il pane col silenzio

 

*

 

Ci son giorni senza nome

come i morti

paternità di silenzi.

Ci son mantelli nella notte

che le ronde inseguono sino all’alba

e destano di rosso una stanza.

C’è una luna su una terrazza

ferita da programmi televisivi

e una rete gialla sulla rena del mare.

E mani di cera che non giungono all’alba.

 

*

 

È nell’ora in cui la ghisa

scende in giallo nelle pance dei siluri

che io vedo uomini senza capo né braccia

prestarsi animo nei riverberi degli altiforni

 

Lì le aste di colate

sono carne rosa che la ghisa

avverte da tempo senza scomporre le sue vene

 

Chi parlerà di voi uomini rossi

senza età senza bestemmie?

Chi parlerà dei vostri Natali

accanto alla ghisa lontano dai canneti

ove vivono gli ultimi gabbiani?

 

Pasquale Pinto è solo un uomo

costantemente denunciato

dai rivoli delle vostre fronti

 

*

 

                                    a Giacinto Spagnoletti

 

Saranno forse queste stelle ferite

di pietà per le occhiaie delle scogliere

che tremano nell’argento dei cucchiai

con le stelline dei piatti dei bimbi

che stasera mi portano madri

parlare a mezza bocca

di un figlio che si perde queste lune

 

Come diverse quelle croci di sole sugli scogli

che vanno dalle salvie ai pagliai

alle mani gentili dei morti

 

Come vero d’estate

l’ossigeno che trema a mezz’aria

e rosso crea palchi sui canneti

 

È quella l’ora che il Sud

sfodera lo sperone dal tacco di cognac

e bimbi hanno sguardi di briganti

per le nubi appesantite di grandine

 

Certo ricorderai

con che piacere la luna

galleggiava nei bicchieri degli amici

 

Ricorderai anche un bimbo

portare nei calzini

l’erba a passeggio del Sud.

 

 

 

[Foto di Paolo Monti, 1964].

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *