di Alberto Scuderi
Flusso di coscienza, memorie disparate, intuizioni improvvise e incontri ravvicinati. Tutto questo è Oceano di suono, il libro del compositore e critico musicale David Toop che la torinese Add Editore, dopo la prima edizione del 1995, ripubblica in una versione del tutto nuova.
Valerio Mattioli, nella prefazione, contestualizza l’uscita del saggio in questi termini:
“Quando Oceano di suono uscì originariamente in Inghilterra era il 1995 – l’anno in cui, per restare alle musiche prese in esame da Toop, escono dischi come …I Care Because You Do di Aphex Twin, Orbus Terrarum degli Orb, e Brian Eno collabora con Jan Wobble nell’album Spinner. Ma anche l’anno in cui, dall’altra parte dell’oceano, si spalancano i portali di quella che di lì a breve diventerà nota come “bolla dot.com”, con colossi informatici oramai semidimenticati quali Yahoo e AltaVista che muovono i primi passi, mentre Larry Page e Sergey Brin gettano le fondamenta di Google e Jeff Bezos lancia Amazon”.
Un testo, dunque, che si pone a cerniera tra due epoche; d’altra parte, si era a fine millennio, con il suo carico di aspettative e visioni hi-tech del futuro, e con una consapevolezza ai limiti della protervia di quante e quali sperimentazioni avessero attraversato l’ultimo secolo di musica.
Già affermato critico di The Wire e altre riviste, David Toop aveva composto un’opera capitale che, come tale, coglieva lo spirito del tempo. Dopo la sbornia e gli eccessi della cultura rave, (di cui si occuperà diffusamente l’altra eminenza della critica musicale inglese, ossia Simon Reynolds) l’autore scelse di indagare, per dirla sempre con Mattioli, “il ritorno dei placidi, eterei, confortevoli suoni della cara vecchia musica ambient, formalizzata da Brian Eno nel remoto 1978 all’interno dell’album Music for Airports.” Di approcciarsi abilmente, diciamo noi, a un genere che diceva nella sua minimale essenza qualcosa di significativo all’uomo del secolo nuovo; comunicava un ritorno, la casa e la terra dell’io profondo; ma anche un di là da venire, uno slancio nella liquidità del domani, per altro teorizzata dal sociologo Zygmunt Bauman proprio in quegli anni.
Con piglio letterario, in un continuo avanti e indietro nella storia personale dell’autore, il saggio ci consegna una mappatura rapsodica totalmente soggettiva e anarchica di cosa intendiamo quando parliamo di un genere così sfuggente, a partire dalle contraddizioni che ne caratterizzano il senso e il destino.
Il pendolo significante di cosa sia e quale funzione abbia la musica ambient pare oscillare dal polo dell’assenza a quello opposto dell’apertura, da una condizione di estrema rilassatezza a una inconsueta percezione aumentata di tutto quello che ci ruota attorno.
Il già citato Brian Eno individuava in questa forma musicale più un’atmosfera, un mood, una “tinta” in mezzo ad altre possibili, in cui la musica può essere ascoltata o ignorata indifferentemente perché non si impone all’ascoltatore con la forza. Affermazione piuttosto avversata da coloro che difendevano un certo modo di fare e recepire l’arte, ma i tempi erano cambiati (questa volta davvero) e, secondo Toop, “la narrazione misurabile e comprensibile degli oggetti sonori autonomi, iper composti ed emotivamente avvincenti era stata disintegrata da missili lanciati da ogni punto della bussola artistica e tecnologica”
D’altronde ci avevano già pensato diversi scrittori a sparigliare le carte. Romanzi quali L’incanto del lotto 49 di Thomas Pynchon, Vermillion Sands di J.G. Ballard e L’androide Abramo Lincoln di Philip K. Dick, vengono citati da Toop in quanto anticipatori di immagini e concetti che autori come Terry Riley, Philip Glass e lo stesso Eno non faranno altro che sistematizzare. Il suono come intrattenimento ambientale, sculture di nuvole, venditori di statue sonore, la reverie musical-tecnologica, erano molteplici le intuizioni presenti in queste opere che hanno precorso e cambiato i tempi più di quanto avessero in animo di fare.
E poi le avanguardie di inizio Novecento.
Il Futurismo di Marinetti, ad esempio, proprio alla musica aveva dedicato una parte consistente delle proprie sperimentazioni. La “guerra elettrica” mossa ai danni del romanticismo wagneriano, di cui la macchina “intonarumori” di Luigi Russolo era l’arma più affilata, nutriva l’ardire di plasmare un mondo nel quale “attraverso i muscoli, le arterie e i nervi della penisola, l’energia dei venti lontani e le ribellioni del mare, trasformate dal genio dell’uomo in molti milioni di kilowatts, si diffondono dovunque, senza fili conduttori, con un’abbondanza fertilizzante regolata da tastiere che vibrano sotto le dita degli ingegneri”.
Dalla Sagra della primavera di Debussy agli estremismi di Edgard Varese (al cui confronto i futuristi parevano fin troppo moderati), dai viaggi cosmici di Sun Ra alla scena dance di Detroit, passando per le sonorità di Tangerine Dream e Aphex Twins, la galleria potrebbe proseguire ancora perché di personaggi d’eccezione questo libro abbonda, capace com’è di restituire la complessità di un itinerario che ha tanti precursori e ancor più geniali rappresentanti.
Gli incontri, le passeggiate, i ritrovi che Toop inanella con alcune delle figure preminenti della scena elettronica sono, con tutta probabilità, le parti più belle e ricche di una lettura già di per sé densissima.
Se la musica è ovunque e dalle “fonti” più diverse proviene, l’insegnamento di Oceano di suono risiede proprio nell’aver ricordato, pedagogicamente, al lettore quanto possa essere esaltante l’ascolto di un mondo inafferrabile, asimmetrico e caotico.
La disgregazione di ogni etichetta o categoria strettamente musicale, sempre che questo sia vero, custodisce un potenziale di cui l’ambient, questa musica che non vuole farsi afferrare, rappresenta solo una delle possibili manifestazioni. Una delle innumerevoli scelte da prendere. Per noi ascoltatori algoritmici e più che mai solitari.
Ottima recensione, una lettura interessante. recupererò sicuramente il libro di David Toop
Artícolo a mio avviso molto bello ! Grazie
Articolo davvero interessante legato a una meritoria ristampa, arricchita da una prefazione che contestualizza il testo originale.
Bene ha fatto Alberto Scuderi a sottolinearne la presenza.
interessantissimo il legame con Marinetti
Buongiorno,
credo ci sia un refuso: La sagra della primavera è di Stravinskij (a meno che Debussy non abbia scritto un’opera con lo stesso titolo che non conosco).
Un saluto cordiale,
Francesco Toscani