di Antonio Latella

 

[In questi giorni è stata pubblicata l’opera Incanto (il Saggiatore), esordio nella prosa narrativa del regista e drammaturgo Antonio Latella. Pubblichiamo un’anticipazione delle prime pagine del volume.]

 

Il colore giallo è la più grande invenzione allucinogena. Pigmenti esplosivi di vita. Mi sono innamorata del giallo quando nella solitudine di un allestimento di una Biennale d’Arte vidi un artista tedesco creare un tappeto giallo fatto tutto di Polline. Fu la prima volta nella mia vita che capii il significato della parola: «INCANTO».

Da quel giorno ho provato a cercare l’incanto in tutto ciò che facevo nella mia vita, ma quella sensazione così precisa non l’ho mai più provata e ho capito che l’incanto è un dono prezioso che in una intera vita potrebbe per sempre esserti negato. Non tutti siamo pronti all’incanto. E se sei tu a cercarlo sarà lui a negarsi. L’incanto è uno svelamento. Non sei tu che cerchi la fede è la fede che viene a te.

 

NOTA: INDIVIDUO DONNA R7 HA UN DIFETTO DI PRONUNCIA PER CUI LA SUA «R» È PROLUNGATA, COME SE OGNI «R» FOSSE COMPOSTA DA 7 LETTERE. VIENE USATA PER SEMPLICITÀ UNA «R» AL POSTO DELLE 7 «R».

 

Individuo Donna r7


Eccomi qui seduta nel giallo. O forse sono sdraiata? Strana sensazione, sembra di nuotare nel tuorlo di un uovo. Questo è un giallo! Gialli i copri‐sedili, gialli i tavolinetti, gialla la rete portariviste, gialla la copertina del menù di bordo, gialla la guida del corrido‐ io centrale, gialle le cappelliere, gialli i numeri delle file e le lettere dei sedili. Tutta la mia stima a chi ha scelto il giallo per rappresentare il colore della compagnia aerea Baum, ci vuole un folle coraggio. Forse il giallo è il colore del coraggio, per questo i libri gialli si chiamano gialli.
A casa mia ho un tavolo da pranzo di cristallo tutto giallo. L’unica macchia di colore in tutta la casa, e forse l’unico modo per vincere la monotonia del grigio che avvolge la città dove ho scelto di vivere con il mio piccolo cane che è tutta tutta tutta la mia vita, se non avete mai avuto un cane non potrete mai capirmi quindi non sforzatevi. Nella nuova casa mi sono trasferita da poco. A dire il vero quindici anni non sono poi così pochi… mamma mia come passa il tempo! Temperare il tempo! Fortunatamente hanno inventato le tastiere dei computer, così consumiamo meno matite, e si tempera di meno e si vive di più. Si vive di più? Mah, incrociamo le dita o tocchiamo ferro. Vivo o non vivo vivo o non vivo vivo o non vivo… appena mi sveglio mi mangio una bella scodella di pop corn ben salati! Ognu‐ no di noi ha le sue debolezze!

 

Che cerchio alla testa. Ieri sera ho superato il limite, che ogni volta è meno limite. Quando faccio così non mi sopporto! Almeno mi ricordassi qualcosa, non so nemmeno come sono arrivata qui. Che stupida, ma come si può prendere un aereo dopo una notte di cin‐cin, di giù giù giù, di tutto in un solo fiato senza lasciare un goc‐ cio. Bevibevibevi! Maledetta festa dei morti, con tutte quelle streghe, quei maghi del malagurio. Quegli zombi porta sfiga, quelle teste da morto parlanti e quelle zucche sorridenti tutte gialle e arancioni.

 

Giallo più mal di testa uguale vomito, e se la matematica non è un’opinione, signorina, signorina, signora Hostess dico a lei, posso avere un pacchettino di carta, prima che sia troppo (vomita in un sac‐ chetto di carta). Troppo tardi! Comunque è tutto bene organizzato! E come si dice: «tutto è bene ciò che comincia bene!». Non è così, sciocca due volte: «tutto è bene ciò che finisce bene!». A questo punto bisogne‐ rebbe almeno sapere come è iniziata, ma a chi interessa, basta essersi messi in viaggio. Il futuro non è ieri, non è oggi, non è domani il futuro è nella capacità di non programmarlo. Questa dovrei segnarla, potrebbe essere di ispirazione per una song. Segnale luminoso, ci sia‐ mo, stiamo per atterrare, se mi ricordassi come è stato il decollo, tut‐ to è bene ciò… Tunz Tunz Tunz, ecco la solita accelerazione, tutte le volte la stessa storia, che cuore fifone il tuo cuore. Una cosa graduale? No, subito a mille, devi darti una calmata, guarda che prima o poi fi‐ nisce male, lo so per esperienza; da un momento all’altro tutto si ferma come per

 

«INCANTO»

 

e non si tratta di un incantesimo, semplicemente è una fine corsa, a volte per un malfunzionamento, altre volte per un incidente di percorso. Altre volte per scelta, l’opzione più auspicabile anche se non viene letta come un atto di coraggio, dipende dai punti di vista, ho una grande stima per tutti quelli che hanno deciso di ritirarsi dalla corsa. Pronti, partenza, via… ma via da che, da cosa, da chi… si potrebbe dire: «Siete pronti e allora via dalla partenza». Si tratterebbe semplicemente di uno spostamento di luogo, di alcuni cm, di alcuni m, di alcuni km; sta a noi deciderlo. Non si può partire per raggiungere un traguardo, sperare nel podio, in una medaglia d’oro, di argento, di bronzo, lo trovo così inutile, così poco intelligente, i problemi nascono nel momento in cui stabilisci dei traguardi, e soprattutto nel momento in cui vinci dei premi. E poi prendi un premio e che si fa, bisogna dedicarlo a qualcuno, e poi una volta che lo dedichi che si fa, bisogna commuoversi, altrimenti non sei credibile, sei troppo fredda, non hai un cuore, e allora ti si spezza la voce. Maledette emozioni! Fottute puttane dei sentimenti! Sempre in vendita! Diventare immuni all’emozioni, che soluzione!!! Ma dai… ma va’… però… poverina… non posso crederci… non mi tocca, non mi tange, non mi interessa, ebbene sì: «Non ho un cuore. E me ne vanto».

 

Individuo Donna Voce di Hostess qualunque

 

Gentili passeggeri e passeggere stiamo per atterrare, vi preghiamo di chiudere il tavolino di fronte a voi, di rimettere il sedile nella giusta posizione e di spegnere tutti gli apparecchi elettronici. Da questo momento non è consentito l’utilizzo delle toilette. Grazie per la vostra gentile collaborazione.

 

Individuo Donna r7


Questa te la potevi anche risparmiare, nessuno di noi è gentile e nessuno di noi ha la minima intenzione di collaborare con quello che costa il volo! E poi con quella voce che ti ritrovi – se la strega dell’Est avesse una voce sarebbe come la tua, non c’è dubbio! – Ma di che parlo? Deve essere qualche personaggio mascherato della festa di questa notte, per un attimo mi è sembrato che la mia «r» fosse… ma no!

Chiudere. Spegnere, allacciare, se fosse tutto qui il problema!!!

 

PRIMO VUOTO D’ARIA, O PRIMO SOBBALZO

Tunz Tunz Tunz, cosa vuole il tuo cuore? Cinque anni che sei con me e non sono ancora riuscita a chiamarti mio cuore; che c’è in me che non va? Giuro che mi sto impegnando, e prima o poi riuscirò ad amarti come se fossi mio amore, volevo dire il mio cuore. Sette, sì sono sette, le ho contate. All’inizio pensavo fosse casuale e invece no, nulla di casuale, la «r» si incespica sempre allo stesso modo, tartaglia per sette volte. Non è né moscia né francese è mia, una «r» perso‐ nalizzata, unica. Mi rilassa saperlo. Mi fa sentire una prescelta, una predestinata. A proposito Una è il mio vero nome, il mio nome d’arte è r7, mi chiamano così fin da piccola. Da quando andavo all’asilo.

 

Tunz Tunz Tunz, ci siamo, si scende. Ogni battito mi ricorda che sei in prestito. Tunz Tunz Tunz, calmati ho detto in prestito non in affitto. Devo rammentarmi di restituirti. I cuori vanno restituiti co‐ me i libri presi in biblioteca.

Tunz Tunz Tunz a chi dovrrestituirti, come farò a riconoscerlo o a riconoscerla? Esiste quel qualcuno, ma soprattutto esistono an‐ cora le biblioteche? È passato così tanto tempo. Da piccola ero un vero disastro, incespicavo su tutte le parole, minuti per comporre una sola frase semplice, poi piano piano dosando il respiro e le emozioni o le mozioni, tutto si è spostato sulla consonante r, È SOLO UNA QUESTIONE DI IMPARARE A GESTIRE L’EMOTIVITÀ, questa era in maiuscolo ma è meglio ripeterlo anche in minuscolo: «è solo una questione di imparare a gestire l’emotività» le emozioni sono maiuscole e minuscole in corsivo e in stampatello; avevo fatto grandi progressi ma poi il nuovo cuore ha fatto esplodere una tempesta emotiva senza precedenti, un vero ciclone, di quelli che arrivano senza preavviso, e la «r» si è fatta viva più forte di prima, ha iniziato a correre, a riprendersi il movimento di tutte le parole dette, vi assicuro che è difficile comporre una frase senza la consonante r, quasi impossibile, mi sono esercitata ma è difficilissimo. Senza la «r» le parole non si muovono restano immobili e vi assicuro che è una bella fatica riuscire a prendere parte a una discussione o anche un semplice dialogo a due… sì, una bella fatica restare in società, ve lo assicuro. E così fin da piccola hanno cominciato a chiamarmi r7, e più o meno hanno tutti dimenticato il mio vero nome, quasi quasi l’ho dimenticato anch’io, diciamo che quando mi chiamano con il mio nome mi fa strano, quasi non rispondo, figuriamoci il tuo cuore quante cose non sa di quella vecchia me? Un giorno bisogna che ci facciamo una bella chiacchierata io e te, niente di compromettente, diciamo poche cose per evitare fraintendimenti o cose che ci potrebbero mettere nei casini in situazioni ufficiali dove sarebbe meglio evitare qualsiasi tipo di imbarazzo, per esempio prima di te io non ho mai avuto paura di volare, da quando ci sei tu un disastro, dico… ma come è possibile! È la testa che comanda non il cuore, al‐ meno così la pensavo prima che ti installassero in me. Installasse‐ ro in me. Beh l’ho detta un po’ come se fosse venuto l’idraulico e ti avesse installato, in realtà è molto più delicata la faccenda! Scusa, ve‐ di prima di te difficilmente chiedevo scusa, ora chiedo scusa per tutto, e giù di imbarazzo e quindi panico, questo sconosciuto… prima di te. Difficilmente andavo in panico, sempre nervi saldi; e ci credo con il cuore che avevo, sempre nervi saldi, guai a emozionarsi. Una la virago, Una l’amazzone, Una la donna tutta d’un pezzo, così dice‐ vano i miei colleghi, i miei amici, i miei amanti, pochi ma buoni, so‐ lo e sempre cose di sesso, nessun legame, ognuno per sé comunque e sempre. Se mi vedessero ora, Una, una donna fatta a pezzi, e i pezzi vanno lasciati andare, non serve trattenerli per farsi una corazza, non siamo tartarughe.

 

 

C’era
C’era Una
C’era una volta Una
C’era
Una volta c’era Una
Una volta tanto tempo fa c’era una bambina di nome Una… Quanto era buffo il mio papà quando rientrava dall’ufficio, guai

a chiamarlo lavoro.
20.00 Puntuale. Campanello campanello campanello, segnale per

me per correre a nascondermi, poi lui apriva la porta, un colpo di tosse e cominciava a cercarmi così, dove si è nascosta, qualcuno l’ha vista…

C’era
C’era Una
C’era una volta Una
C’era
Una volta c’era Una
Fino a quando mi scopriva nel mio nascondino per il troppo

sghignazzare, lo trovavo veramente esilarante come imitava la mia r, ci metteva talmente tanta di quella forza che sembrava il ruggito di un re leone.

Eccolaaaaa la mia Una la mia unica.
C’è.
Una c’è.
Mi ha riconosciuto, «su dillo al tuo papà», faceva l’occhiolino al‐

la mamma che aspettava il suo bacio con pazienza, mentre io cominciavo.

 

Primo è il primo nome del mio papà. Primo è
Il primo uomo della mia mamma. Primo è il Mio primo papà.
«E unico» aggiungeva lui, prima di coprirmi di Baci e di darne uno solo alla mamma, ma di Quelli che si danno gli adulti, di quelli belli, di Quelli giusti, quei baci che non hanno bisogno di Replica.

Tanto tempo fa, prima del tuo cuore accadeva tutto questo, in un piccolo villaggio del Kansas, a quella bambina di nome Una che c’era una volta, ma che ora non c’è più. Il tempo è stato temperato troppo in fretta!

 

Tutto è sparito come per incanto. SONO USCITI INSIEME E NON SONO PIÙ TORNATI. Mi è riscappato il maiuscolo, forse il maiuscolo serve a trattenere il dolore. Alcuni dicono che il maiuscolo indica che stai urlando, questa per me è una sciocchezza io non sto urlando, il maiuscolo mi serve a focalizzare meglio ogni singola consonante ogni singola vocale, altrimenti non sarei una vera dislessica. Della dislessia mi sono tenuta le cose migliori, vedere nelle parole altre parole, vedere che la parola non è una possibilità, ma tante possibilità nascoste. Una parola composta, apparentemente finita, in realtà è il tentativo di comprimere l’infinito, per questo siamo dislessici, perché ci rapportiamo continuamente con l’infinito dell’alfabeto e questo alcune volte terrorizza. Quando i miei non sono più tornati la «r» è peggiorata, troppo infinito il dolore, troppo infinita la solitudine delle vocali e delle consonanti che non riuscivano più a stare insieme, a comporsi. Per molto tempo non ho più parlato. Fortunatamente sono arrivati gli zii, belli belli belli, mi hanno porta‐ ta in campagna da loro ed è iniziata la mia nuova vita, o forse è più corretto dire è continuata la mia vita. Si sono presi cura di me, del mio cane, della mia «r» e delle mie stravaganze, e delle mie trecce. Mi sono sempre fatta le trecce, non so perché.

 

Tunz Tunz Tunz, che hai? È solo un vuoto d’aria, stai calmo! Se il Capitano non dice nulla è tutto ok. Un po’ più di coraggio cuore tuo. LAMENTO! È SOLO UN MOMENTO! Passato! Un po’ più…

Hai ragione non è una questione di coraggio, ma una questione di compatibilità, e apparentemente il tuo cuore era compatibile con il mio, ma questo non vuol dire che il tuo cuore è compatibile con me. È vero non c’è stato nessun rigetto altrimenti non saremmo qui, nessuno dei due, diciamo che abbiamo imparato in questi anni a sopportarci, da qui a dire che siamo diventati compatibili, ce ne vuole. QUANTE «R» IN QUESTA FRASE O ERA UN PENSIERO? UN PENSIERO PUÒ AVERE PIÙ FRASI CONTEMPORANEAMENTE? No, che sciocca, altrimenti perché si dice ho perso il filo del pensiero, avevo un pensiero e mi è scappato. Dove vanno i pensieri quando scappano e quando si perdono? I pensieri si possono intrecciare? Oh mamma, che mi succede ho il cervello in pappa. Che fame, sono ore che non mangio, ci vorrebbero un po’ di zuccheri o sarebbero meglio un po’ di carboidrati, maledetta dieta. Per colpa del tuo cuore devo rispettare una dieta e appena sgarro è un bel casino. Come adesso, una bella confusione o forse è una rivoluzione?

 

Da bambina amavo il Mago di Oz. – Questa poi da dove spunta fuori. Io odiavo il Mago di Oz, è uno di quei libri che ho restituito al‐ la biblioteca il giorno dopo, nemmeno ventiquattro ore dopo era già di ritorno al suo scaffale polveroso. – Se vuoi che cominciamo a esse‐ re compatibili da qualcosa dobbiamo cominciare. – Dove hai messo la mia r, ridammi subito la mia r. – Sei proprio fissata, io non ho la tua «r» e tu non hai il mio cuore, mettiamola così, io non ho scelto te e tu non hai scelto me. Da bambina amavo il Mago di Oz, e ho detto bambina per non crearti dei traumi prima dell’atterraggio, e questo ti assicuro che non vuole essere un indizio, perché comunque quello che è fatto è fatto, e un indizio a questo punto non servirebbe né a te né a me. È inutile girarci intorno, non ci siamo scelti, quindi se tu sei a disagio con me dentro, immaginati come posso sentirmi io con te fuori che mi rappresenti. Per non parlare di quelle tue ridicole treccine che personalmente io non mi farei mai. Posso solo dirti che se tu avessi letto come me il Mago di Oz saresti in vantaggio su molte di quelle cose che stanno per accaderti, e invece sarai in balia degli eventi e con te metterai nei casini anche me. E guai a te se ti lamenti perché il mio Tunz Tunz Tunz cambia ritmo, ci siamo spiegati? – Senti bella o bello, ci mancava solo il cuore ermafrodito, lasciami in pace, la mia vita è già abbastanza incasinata, ci manca solo un muscolo parlante, diciamo questa notte non mi sono risparmiata. Tutto questo non esiste, tutto questo appartiene al mondo magico dei funghetti, quindi – Tunz Tunz Tunz – chiudi il becco e continua il tuo battito, fai il tuo lavoro che io faccio il mio, tu suoni e io canto. – Qua ti sbagli, io non suono io sono suono, tu canti ma non sei canto, forse un giorno lo diventerai e potrebbe essere un bene per tutti. E ora canta che ti passa, ti saluto, se hai bisogno sai dove trovarmi. – E chi ti cerca, me la so cavare da sola, per anni me la sono cavata da sola… Saputello! Ma che mi sono bevuta, maledetta festa dei morti, se solo sapessi controllarmi. Sei solo l’ultimo cuore arrivato. Povero illuso.

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